La Bolivia che verrà
Queste ultime settimane sono state decisamente difficili per la Bolivia. La grave crisi attuale non è frutto del momento, ma di un proceso che ha radici profonde nel passato, nell’epoca coloniale e nella fondazione di una Repubblica che ha di fatto escluso le maggioranze indigene, si è sviluppato negli ultimi vent’anni di faticoso cammino verso la democrazia e che dal 2000 ha subito una forte accelerazione.
Le manifestazioni che hanno letteralmente paralizzato il Paese sono dunque espressione di un disagio profondo e di una crisi sociale che non possono essere risolte senza una ristrutturazione radicale dello Stato all’insegna di una maggiore giustizia ed equità.
di Silvia Trombetta, da Cochabamba
Per chi non conoscesse il Paese sudamericano, la Bolivia si trova al centro dell’America Latina, è un Paese ricchissimo di risorse ma al tempo stesso è in cima alla graduatoria dei Paesi più poveri del continente, la presenza indigena è ancora fortissima (quasi il 50%) e si concentra soprattutto nella zona dell’altipiano andino, nella zona occidentale del Paese.
Quello che è successo negli ultimi tempi è una sempre maggior polarizzazione dei diversi gruppi sociali, etnici e di potere, che è sfociata in una lotta di tutti contro tutti.
I temi di fondo sono principalmente tre:
1. Convocazione dell’assemblea Costituente Sovrana: nell’ottobre del 2003 una sollevazione generale ha cacciato il Presidente della Repubblica Gonzalo Sánchez de Lozada (Goni) accusandolo di curare gli interessi delle multinazionali e non quelli del paese. Il suo successore Carlos Mesa, non appartenente a nessun partito politico, ha promesso una rifondazione generale dello Stato per risolvere in modo organico i gravi problemi che attanagliano la Bolivia, e lo strumento più indicato è appunto un’assemblea Costituente Sovrana, che non solo riformuli totalmente la Costituzione, ma sia il principale potere dello Stato. Tuttavia la legge di convocazione non è stata ancora promulgata, una riforma di questo tipo lede troppi interessi, prima di tutto dei partiti politici tradizionali, che hanno fatto di tutto per bloccare o almeno addolcire l’impatto della costituente.
2. Recupero totale degli idrocarburi: alla base della cacciata di Goni c’era essenzialmente il problema del gas, ultima delle risorse naturali boliviane che possano essere ancora utilizzate strategicamente per lo sviluppo del paese. Il governo di Goni aveva varato una legge decisamente a favore delle imprese estere d’estrazione e lavorazione. A luglio del 2004 un referendum popolare, il primo della storia boliviana, ha sancito il recupero degli idrocarburi da parte dello Stato, ma la nuova legge nata dopo 10 mesi di discusioni e confronti non soddisfa nessuno e i movimenti sociali chiedono nazionalizzazione immediata.
3. Autonomia: la regione di Santa Cruz, la più ricca del Paese, controllata da una potente élite impresariale, chiede maggiore autonomia in nome della diversità culturale dei camba rispetto agli indigeni colla dell’altipiano. In realtà i maggiori difensori della Nación Camba sono di origine straniera ed è evidente che l’interesse principale di questo movimento autonomista è quello economico…
Alcuni movimenti sociali hanno per mesi chiesto che la soluzione degli ultimi due problemi fosse affidata all’Assemblea Costituente, ma questo non si è avverato.
La situazione è andata peggiorando di settimana in settimana, le richieste dei diversi gruppi sono diventate sempre più radicali, le manovre politiche e dei gruppi di potere sempre più preoccupanti, l’impossibilità per il Presidente di governare sempre più evidente, l’irresponsabilità e la ricerca dell’interesse personale di molti parlamentari e leaders politici sempre più chiara…
Così siamo giunti a un punto di non ritorno: se non si risolve la crisi il paese precipita nella guerra civile.
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Per fare un rapido quadro di cosa sta succedendo:
– Nelle ultime due settimane i bolqueos (punti d’interruzione delle strade) a livello nazionale sono passati da una decina a oltre 115, impedendo qualunque comunicazione tra le città boliviane, a meno che non si utilizzino gli aerei (ma anche molti aeroporti sono presidiati e non si può nè entrare nè uscire)
– La Paz e El Alto sono paralizzate e assediate da 3 settimane: le strade di accesso alle due città sono bloccate dai manifestanti che lasciano passare solo pedoni e biciclette, il centro, sede di parlamento e governo, è teatro di continue marce e manifestazioni, nei quartieri periferici mancano ormai i generi di prima necessità compresa l’acqua, le ambulanze sono ferme per mancanza di combustibile, gli ospedali sono ormai senza scorte. È stata indetta una tregua per permettere alla popolazione di far scorta di quanto necessario in vista di una radicalizzazione delle misure di pressione
– Santa Cruz si è trasformata negli ultimi giorni nel campo di battaglia di una lotta fratricida: ci sono stati pesanti scontri tra civili camba e colla, fomentati dai rispettivi dirigenti, dando sfogo a una tensione etnica latente da molti anni
– Il Presidente lunedí 6 giugno ha dato le dimissioni
– La Chiesa, chiamata dal Presidente stesso come mediatrice del conflitto, aveva proposto come via d’uscita per riappacificare gli animi che i due successori costituzionali di Mesa, il Presidente del Senata Hormando Vaca Diez e il Presidente della Camera Mario Cossio, rinuncino al diritto di successione in favore del Presidente della Suprema Corte di Giustizia, che a sua volta dovrebbe convocare a immediate elezioni presidenziali, per il rinnovo del Congresso (parlamento) e per l’Assemblea Costituente.
– Il Congresso ha sospeso i lavori da oltre una settimana, oggi giovedì doveva riunirsi in Sucre, capitale della nazione, ma non è stato possibile. Secondo i parlamentari mancano le condizioni di sicurezza a causa di una marcia di oltre 5000 campesinos che hanno invaso la città. C’è stato uno scontro con la polizia e il primo morto di queste 3 settimane di conflitto.
– A tutt’ora Vaca Diez non ha rinunciato alla successione: se diventasse Presidente la conseguenza sarebbe un intensificarsi delle proteste. Vaca Diez è infatti ritenuto corresponsabile del massacro dell’ottobre 2003, incarnazione di una classe politica corrotta che non si cura degli interessi della popolazione, ma svenduta alle multinazionali e al neoliberalismo. E al contrario di Mesa, Vaca Diez non esiterebbe a utilizzare l’esercito e a proclamare lo stato d’assedio e la legge marziale, con conseguenze facilmente intuibili.
– L’esercito tace, ma da alcuni giorni le truppe sono in movimento e si stanno concentrando nei punti strategici del paese
– L’ambasciata degli Stati Uniti, che generalmente non perde occasione di dare il suo parere, tace, ma durante un’assemblea degli stati americani a sottolineato come sia urgente l’individuazione di mezzi comuni per mantenere la democrazia nel continente.
Ma di fronte a tutto questo c’è via d’uscita?
Credo di sì, ma sono in dispensabili alcuni condizioni
– uno sforzo di tutti i gruppi coinvolti, indipendentemente dalle posizioni o dalla legittimità delle richieste, a mettere da parte l’interesse personale e guardare a quello del paese
– definire un cammino realmente percorribile che porti alla soluzione radicale e sistemica dei problemi boliviani: il recupero delle risorse naturali, una vera integrazione dei gruppi indigeni, la fine di un sistema oligarchico basato sullo sfruttamento della maggioranza della popolazione, la diminuzione del divario tra ricchi e poveri, una maggior giustizia, ecc. sono richieste che devono essere finalmente attese e l’Assemblea Costituente potrebbe davvero essere il luogo adatto
– un cambiamento di atteggiamento che conduca alla possibilità del dialogo, smorzando i toni, non incitando più alla divisione ma all’unità, non accentuando le diversità culturali ed etniche ma i tratti comuni e la necessità di una vera unità e integrazione per risolvere veramente la crisiLa Chiesa ha invitato alla preghiera, il Presidente alla responsabilità e alla fratellanza: il “popolo della pace” è chiamato a indicare che la “terza via” è ancora possibile. [pagebreak]
.:AGGIORNAMENTI:.
Il 9 giugno alle 22.45 si è finalmente riunito il Congresso a Camere unificate, ha accettato le dimissioni del Presidente Carlos Mesa e, grazie alla rinuncia alla successione costituzionale dei Presidenti del Senato Hormando Vaca Diez e della Camera Mario Cossio, ha nominato Presidente della Repubblica Eduardo Rodríguez, Presidente della Suprema Corte di Giustizia.
La giornata è stata la più tesa delle ultime due settimane: se Vaca Diez non avesse rinunciato il Paese si sarebbe sollevato, l’esercito, già pronto a intervenire, avrebbe reagito e sarebbe stato un massacro…
Fortunatamente le cose sono andate diversamente, anche se il cambio di presidente non è una soluzione ai problemi che hanno causato le forti mobilitazioni e quindi è troppo presto per parlare di risoluzione del conflitto.
La giornata è cominciata con una massiccia marcia di minatori, indigeni e campesinos che da Oruro e Potosì hanno raggiunto Sucre, la capitale della Repubblica, dove il Congresso avrebbe dovuto riunirsi alle 10.30 del mattino. Alle 13.30 c’è stato un grave scontro con le Forze dell’Ordine che impedivano ai manifestanti l’ingresso alla città, scontro che ha causato tra i minatori un morto da arma da fuoco e cinque feriti piuttosto gravi. La reazione dei movimenti sociali in tutto il paese non si è fatta attendere: i bloqueos si sono intensificati, gli appelli alla disobbedienza civile si sono moltiplicati con l’appogio di sindaci, leaders sindacali e organizzazioni di base delle principali città del paese (con l’eccezione di Santa Cruz), chiedendo tutti a gran voce la rinuncia di Vaca Diez, che però non si è pronunciato in tal senso fino alle 21.30.
Nel frattempo la riunione tra i capogruppo parlamentari per coordinare i procedimenti della sessione del Congresso e trovare un accordo sulla successione si è conclusa con un nulla di fatto e il Parlamento è stato convocato per le 18.00.
Gli scontri con i minatori e le manifestazioni in centro a Sucre, contrastate dalla polizia con gas lascrimogeni, hanno indotto molti parlamentari soprattutto di Santa Cruz a tentare la fuga dalla città, ma i manifestanti hanno bloccato l’aeroporto, costringendo i congressisti a restare nella Capitale e a compiere il proprio dovere.
La situazione non era migliore nelle altre città del paese: anche La Paz e Cochabamba erano totalente isolate a causa della chiusura dell’aeroporto e del blocco totale delle strade extraurbane.
A Cochabamba in mattinata si era riunito il Cabildo del Pueblo, assemblea aperta a tutta la cittadinanza e autoproclamatasi organo di governo della città, che, malgrado la scarsa affluenza, ha deciso intensificare i bloqueos, isolando totalmente la città, la chiusura delle valvole del gas e delle stazioni di servizio, con la conseguenza che alle 19.00 non c’era più combustibile.
Alle 20.30 la tensione era al massimo: la sessione del Congresso era stata nuovamente rimandata alle 21.00, Vaca Diez aveva annunciato un discorso alla nazione per la stessa ora… Cosa sarebbe successo a Sucre? Quale sarebbe stata la reazione dei manifestanti? E dell’esercito?
Poi finalmente la svolta, alle 21.00 Vaca Diez dichiara che se il Congresso accettarà le dimissioni di Mesa, lui rinuncerà alla successione, sempre che il Parlamento sia d’accordo. Alle 22.45 comincia la sessione del Congresso, che accetta all’unanimità le dimissioni di Mesa, quindi Vaca Diez e Cossio dichiarano formalmente di rinunciare alla successione e il parlamento risponde con un applauso liberatorio, condiviso da chi stava seguendo la diretta TV con il fiato sospeso. Alle 23.30 Eduardo Rodriguez giura solennemente come nuovo Presidente della Repubblica e nel suo discorso annuncia che il suo sarà un mandato breve e di transizione, che convocherà elezioni anticipate e che assieme al Congresso affronterà i problemi più urgenti: Assemblea Costituente, nazionalizzazione degli idrocarburi, referendum autonomico. Contemporaneamente chiede ai manifestanti di dargli il tempo necessario per poter assumere l’incarico, studiare la siuazione ed elaborare proposte di soluzione, sospendendo nel frattempo le misure di pressione, richiama all’unità nazionale e alla distensione.
Le reazioni:
– Vaca Diez, a nome del Congresso, ha dato pieno appoggio al nuovo Presidente e ha convocato la prossima sessione per martedì 14 giugno a La Paz.
– Evo Morales e altri leaders dei settori mobilizzati, hanno dichiarato che la soluzione adottata dal Congresso è provvisoria, utile per diminuire la tensione, ma continueranno a pretendere una vera soluzione dei problemi. Morales ha affermato che capisce le difficoltà del nuovo Presidente, che non è possibile pretendere risposte immediate, e che oggi (venerdì) sará un’assemblea d’emergenza dei gruppi di base a decidere se sospendere o no i bloqueos.
– Altri leaders di gruppi coinvolti nella protesta, come la Central Obrera Boliviana, hanno invece deciso di non sospendere le iniziative di pressione fino a quando non avranno ottenuto la nazionalizzazione degli idrocarburi.
– I campesinos, che da oltre una settimana stanno occupando i campi petroliferi di santa Cruz, hanno detto che sospenderanno l’azione.
La vita ha ripreso a scorrere a Cochabamba con una parvenza di normalità, ma siamo tutti coscienti che quella di ieri è stata una dura lezione e che se i problemi non verranno affrontati con responsabilità, buon senso e disponibilità al dialogo, la tregua non durerà molto, senza contare che per altre città come La Paz la calma è ancora lontana.