Domani 22 gennaio l’istituto presieduto da Mario Draghi potrebbe varare il suo primo Quantitative Easing: la creazione di moneta per comprare titoli di Stato e -secondo gli obiettivi- rilanciare l’economia. Un’operazione da 500 miliardi di euro con molti punti interrogativi: ecco come funziona e quali conseguenze potrebbe avere
Il bazooka potrebbe fare fuoco domani, 22 gennaio 2015. Nel corso del consueto consiglio della Banca centrale europea, infatti, potrebbe venir dato l’annuncio -molto atteso- che l’istituto guidato da Mario Draghi darà il via a una manovra monetaria chiamata Quantitative Easing (QE, in italiano qualcosa tipo “allentamento quantitativo”). La definizione ufficiale spiega che il QE è una politica monetaria non convenzionale con cui una banca centrale mira a rilanciare l’economia, e per farlo, acquista sul mercato finanziario titoli di vario tipo (soprattutto titoli di Stato, ma non solo) “stampando” moneta.
Morya Longo è giornalista finanziario per Il Sole-24 Ore. Morya, che cosa sta per accadere?
Domani la BCE potrebbe annunciare la volontà di “stampare” moneta -non stampandola fisicamente, ma creandola con un’operazione finanziaria-, come hanno fatto già più di una volta la Banca centrale americana (Fed) e quella giapponese. Dopodiché inizierà a comprare titoli di Stato sul mercato, in maniera proporzionale da tutti gli Stati dell’area.
Mario Draghi ha da tempo annunciato di voler iniettare 1.000 miliardi di euro di liquidità sui mercati, al fine di favorire l’economia europea. In parte l’operazione era già iniziata quando la Bce concesse prestiti alle banche europee a tassi molto favorevoli, affinché a loro volta queste finanziassero le imprese. Per completare l’operazione e raggiungere i 1.000 miliardi di euro, l’unico modo è comprare titoli di Stato. Si parla di 500 miliardi di euro di acquisti.
La prima parte di questa operazione, il cosiddetto T-LTRO (Targeted long term refinancing operation o piano di rifinanziamento a lungo termine) tuttavia non sembra aver avuto grande effetto. I miliardi di euro messi sul piatto dalla Bce -le banche italiane hanno chiesto in tutto quasi 50 miliardi di euro- non sono arrivati all’economia “reale”.
È vero, le imprese -specie quelle italiane- non hanno ricevuto molti crediti, ma è troppo presto per dire che l’operazione non abbia avuto successo. La Bce ha dato i soldi velocemente, ma l’orizzonte temporale della misura è di 4 anni. Detto questo, il vero problema è che l’economia italiana è in fase di recessione da 3 anni, e quindi manca una vera domanda di credito. Quella che c’è è una domanda di credito “da sopravvivenza”, da parte di aziende sotto stress finanziario. È un credito più difficile da accontentare, poiché le banche italiane hanno vincoli, e perché già oggi scontano nei loro bilanci 181 miliardi di euro di crediti in sofferenza. Ovvero le imprese non rimborsano i prestiti. La domanda di credito arriva poco dalle imprese che sviluppano e investono. Prima che riparta il credito passerà del tempo.
Domani il probabile annuncio del QE. La Bce lo aveva mai fatto prima?
No, si tratta di un inedito per l’istituto. Va ricordato che la Bce è nata da un compromesso tra gli Stati che adottano tutti la stessa moneta, l’euro. La Germania è sempre stata contraria a misure come il QE, poiché secondo i tedeschi non si devono aiutare gli Stati, e acquistare titoli di Stato è come finanziare un Paese. Ma i tempi sono maturi, anche perché uno dei compiti della Bce, come da proprio mandato, è mantenere un certo livello di inflazione, attorno al 2%. Oggi -complice il calo del prezzo del petrolio- siamo di fronte al rischio deflazione, ovvero un calo eccessivo dei prezzi. L’iniezione di liquidità dovrebbe invece svalutare l’euro e stimolare i consumi. Ovviamente, con l’inflazione deve crescere l’economia europea.
Sono entrambi due obiettivi difficili da raggiungere. Secondo un sondaggio, solo il 4% degli investitori ritiene probabile che si riesca nell’intento. Il mercato teme che il QE non riesca ad avere il successo che cerca. C’è invece più probabilità che abbia successo sui mercati finanziari, ovvero che alimenti la speculazione. Certamente non è l’obiettivo che si prefigge Draghi.
Negli Usa il QE ha funzionato -ne sono stati varati tre dal 2009- poiché quella è un’economia molto finanziarizzata, ovvero le imprese chiedono soldi ai mercati finanziari, e non alle banche. In Europa invece il sistema del credito passa dalle banche. Per questo il rischio è che l’effetto del QE sulle imprese europee sia molto limitato. Questo è il maggior punto interrogativo.
Un altro grande tema è il rischio: chi si accolla quello sui titoli di Stato acquistati?
La Germania chiede che gli acquisti siano fatti dalle banche centrali nazionali. Se così fosse, si incrinerebbe uno dei principi fondamentali dell’unione monetaria. Più probabile sarà un compromesso. Ma anche questo è un punto di domanda.
Rimangono poi alcuni paradossi. Ad esempio, il debito greco è ormai quasi del tutto in mano a Bce, Fondo monetario internazionale e agli Stati europei che hanno prestato i soldi ai greci. La Grecia a pochi giorni dal QE andrà a elezioni, e il partito che probabilmente ne uscirà vittorioso chiede di ristrutturare il debito pubblico greco nei confronti degli Stati e delle istituzioni. La Bce comprerà il 22 titoli di Stato greci, sapendo che dal 25 potrebbero essere oggetto di ristrutturazione? Forse no. Ma è paradossale, perché si rischia che vengano comprati titoli di Stato della Germania (che non ne ha bisogno, e i cui rendimenti sono addirittura negativi) e non della Grecia, che invece ne avrebbe bisogno.
Che effetto avrà il QE a livello internazionale?
Non a caso viene definito bazooka, poiché si tratta di una manovra monetaria tra le più potenti. Tra gli effetti collaterali, uno è il ribasso della valuta. Questo aiuterà l’Europa e le sue esportazioni: un euro debole aiuta le imprese a conquistare mercati all’estero. Tuttavia, se una valuta perde valore, le altre salgono. Il caso della Svizzera è indicativo. Gli elvetici hanno da tempo protetto il loro cambio, mantenendo un tetto massimo per il valore del franco rispetto all’euro, in risposta al flusso di capitali verso le loro banche. Per farlo, dovevano comprare euro e vendere franchi. A furia di comprare, l’ammontare di euro detenuti dalla Svizzera corrisponde all’85% del Pil del Paese. Con il QE e il ribasso dell’euro, l’onda d’urto sui conti svizzeri sarebbe stata eccessiva, e per questo la banca centrale elvetica ha sganciato le due valute, col risultato che il franco è divenuto subito molto più forte. Però la Svizzera è un’economia esportatrice, e un franco molto forte graverà sulle imprese che vendono all’estero. È un grave danno: il bazooka di Draghi ha battuto la pistola della Svizzera.
Ma non c’è solo la Svizzera: ad esempio la banca centrale danese ha di recente dovuto tagliare i tassi, nel timore che anche la loro valuta -la corona danese- si rafforzasse troppo. Credo che se l’euro si svalutasse troppo anche la Fed potrebbe alla fine intervenire.
Il QE quindi crea benessere per chi lo fa, ma problemi per tutti gli altri.
Il vero tema è coordinare le politiche monetarie. Il QE è un modo per esportare i propri problemi all’estero. L’abbiamo già visto con la “guerra delle valute” combattuta tra Brasile e Sudafrica con gli Stati Uniti: la Fed stampava moneta e quei soldi venivano utilizzati per investimenti speculativi nei Paesi in via di sviluppo.
Quali conseguenze per l’Italia?
Il 2015 è partito con tre fatti vantaggiosi: il primo è che l’euro debole aiuta le nostre esportazioni. Sappiamo che le imprese italiane stanno bene se l’euro è sotto la soglia di cambio di 1,19 rispetto al dollaro. Oggi siamo a 1,16, e il QE dovrebbe abbassare ancora il valore.
Il secondo fatto è il calo del prezzo del petrolio, che riduce la bolletta energetica. È come una manovra fiscale espansiva, anche se l’adeguamento arriva lentamente. Terzo fatto vantaggioso, o almeno si spera: il QE dovrebbe rendere più agevoli le condizioni del credito. Ma questa è una speranza con molti dubbi.