Esteri / Reportage
Israele/Palestina: dieci fotografi contro il muro
Il collettivo “Activestills” è nato nel 2006 e in dieci anni ha raccolto un archivio di 37mila scatti. Documentano la vita quotidiana tra West Bank, Striscia di Gaza e Cisgiordania
Quando i primi manifestanti si incamminano verso la collina, Oren Ziv si infila il giubbotto antiproiettile con scritto “stampa” e allaccia l’elmetto. Ha già due macchine fotografiche a tracolla e la maschera antigas penzola dalla cintura. È venerdì e siamo a Bil’in, il villaggio palestinese della Cisgiordania in cui da oltre dieci anni, ogni settimana, attivisti palestinesi e israeliani protestano contro il muro costruito da Israele. Le “proteste del venerdì a Bil’in” sono un simbolo, quasi un rituale del dissenso. Nei primi anni la stampa ha coperto con costanza le manifestazioni, poi l’interesse si è spento e solo un gruppo ristretto di fotografi continua a ritrovarsi al villaggio venerdì dopo venerdì.
Oren è un fotografo israeliano, arrivato a Bil’in per la prima volta nel 2004, quando l’esercito stava edificando la barriera di cemento e la popolazione organizzava manifestazioni quotidiane. Non ha mai smesso di tornarci, ed è qui che ha incontrato i colleghi con cui nel 2006 ha fondato “Activestills”, un collettivo composto da israeliani, palestinesi e internazionali. “La differenza con il resto dei fotogiornalisti sul campo era che noi ci consideravamo fotografi ma anche parte di quello che stava succedendo, supportavamo la lotta”, racconta Oren. Con Yotam Ronen, Keren Manor ed Eduardo Soteras, ha fondato “un collettivo, non un’agenzia”, sottolinea Oren. Perché l’idea di fondo era “non esser costretti a coprire qualsiasi cosa, ma continuare a focalizzarci su quello che ci interessa: le violazioni dei diritti umani, gli sfratti e le demolizioni delle case dei Palestinesi, ma anche questioni interne a Israele, come la lotta dei richiedenti asilo, il problema delle case popolari o i diritti della comunità LGBTQ”.
Oggi “Activestills” conta 10 fotografi sparsi fra Israele, la Cisgiordania e Gaza, e un archivio di quasi 37mila foto. Dieci anni fa, tutto è iniziato con l’idea di produrre una mostra a Tel Aviv per raccontare quello che stava accadendo a Bil’in. “Il villaggio si trova a 40 chilometri da qui, ma la gente non sa che cosa succede nel West Bank”. Oren Ziv è cresciuto ad Haifa ma vive a Tel Aviv da tempo. Ha 30 anni ed è attivo politicamente da quando ne aveva 16; è riuscito a farsi riconoscere lo status di obiettore di coscienza dall’esercito israeliano, che lo ha esonerato dalla leva obbligatoria. Mentre siamo seduti nella sua casa di Tel Aviv, spiega che con quella prima mostra autoprodotta i fondatori di “Activestills” volevano “prendere la realtà del West Bank e portarla fino a qui”. Lo spazio di una galleria non sarebbe bastato per raggiungere il pubblico più vasto possibile, così i fotografi hanno cercato i muri più adatti tra le vie della città, quelli con la luce migliore. “Abbiamo stampato le foto su carta di buona qualità, preparato testi e didascalie, e poi ogni notte uscivamo ad affiggere”. Dopo questo esperimento “Activestills” è diventato una realtà strutturata, con un sito e un archivio cronologico e tematico per documentare gli aspetti politico-sociali di questa realtà. Che è interconnessa e inseparabile: “Ci definiamo come un collettivo locale che si occupa di Israele/Palestina, il nome che abbiamo scelto di utilizzare per questo territorio”. Oren afferma che “l’archivio è organizzato per evidenziare la connessione fra i temi e le lotte portate avanti in nell’area. Non per proporre paragoni impossibili fra situazioni diversissime, ma perché noi vediamo un filo che collega la scelta di resistere a ogni forma di oppressione”.
Sparsi tra Israele, la Cisgiordania e Gaza, i fotografi di “Activestills” scelgono le storie da coprire e le seguono per anni. “Uno dei miei progetti a lungo termine riguarda la vita nei villaggi palestinesi della Valle del Giordano, quelli inclusi nell’Area C controllata a Israele”, racconta Ahmad Al-Bazz, un fotografo e videografo di Nablus. Ha 23 anni, si è unito al collettivo nel 2012 e documenta da anni le demolizioni delle case palestinesi che secondo il governo di Israele non sono autorizzate. Ahmad e gli altri fotografi palestinesi possono muoversi all’interno del West Bank. Oren e gli israeliani seguono quello che accade in Israele e nei territori occupati. Poi ci sono gli internazionali come Anne Paq che possono andare dappertutto: “Penso di essere stata il primo membro di ‘Activestills’ a vivere e lavorare in modo permanente nel West Bank”, racconta Anne, francese che fa parte del collettivo dal 2006 e ha passato dieci anni tra Ramallah e Betlemme. “Ho lavorato a lungo nel campo profughi di Aida, vicino a Betlemme, e grazie al fatto di esser donna sono riuscita a fotografare situazioni a cui un uomo non avrebbe mai avuto accesso”. Funerali, momenti di dolore famigliare, o attimi molto intimi che le donne palestinesi non avrebbero accettato di condividere.
Adesso Anne fa la spola tra l’Europa e la Striscia di Gaza, dove ha realizzato “Obliterated families” un progetto fotografico che racconta la storia di 50 famiglie che hanno perso più cari durante l’attacco israeliano dell’estate 2014. Il lavoro diventerà anche un web-documentary focalizzato su 10 famiglie la cui vita è stata devastata dai bombardamenti, e Anne racconta di aver deciso di esplorare questo tema perché “quando sono tornata nella Striscia di Gaza dopo l’attacco ho scoperto che non c’era più nemmeno un giornalista. Tutti i reporter che si erano precipitati a Gaza per coprire gli scontri sono andati via dopo l’attacco, ma a Gaza è rimasta una devastazione umana e materiale che nessuno stava documentando”.
Ahmad Al-Bazz crede che sia lo sguardo dei membri come Anne a dare più autorevolezza al lavoro di “Activestills”. “Penso che il lavoro dei nostri fotografi internazionali sia più autorevole agli occhi di chi vive all’estero. Noi, israeliani o palestinesi, potremmo esser considerati di parte”, racconta quando ci incontriamo in un caffé di Ramallah. Anne invece è convinta che sia fondamentale avere più fotografi palestinesi nel collettivo “per riuscire a documentare problemi interni alla società palestinese come la violenza domestica, la condizione delle donne o la differenza tra classi”. Non è scontato che palestinesi e israeliani collaborino stabilmente e Ahmad racconta di esser contrario alla “normalizzazione”, l’idea che le partnershipfra israeliani e palestinesi siano positive in ogni caso. “Io seguo le linee guida del movimento BDS che propone il boicottaggio, ma i miei colleghi israeliani lavorano per esporre le violazioni dell’occupazione israeliana e in casi come questo non c’è conflitto con i principi del movimento”.
Ahmad Al-Bazz lavora come videografo per una delle più grandi case di produzioni palestinesi, Oren Ziv è stato per anni uno dei fotografi del quotidiano israeliano Haaretz, ora scatta da freelance e insegna fotografia. Tutti i membri di “Activestills” hanno altri lavori con cui si guadagnano da vivere mentre il collettivo procura poche entrate, “ma garantisce molta libertà”, afferma Oren. La missione di “Activestills” è quella di scegliere le storie da seguire, a lungo e in profondità. Come il progetto sul dislocamento dei Palestinesi in Israele e nel West Bank dopo la fondazione di Israele. “Ci dividiamo, ognuno copre le zone geografiche a cui ha accesso, poi ci ritroviamo a editare il progetto”, racconta. Grazie a questo metodo negli ultimi 10 anni il collettivo ha creato un archivio fotografico su alcuni dei temi più importanti dell’area, documentandone gli effetti da più punti di vista. “Per noi è importante mantenere controllo sulle nostre foto e abbiamo scelto di collaborare con media indipendenti che prendono sul serio questi temi quando decidono di affrontarli”. Le fotografie di “Activestills” vengono pubblicate da gruppi come Al Jazeera o Vice Magazine, ma il collettivo coopera prima di tutto con blog di approfondimento come l’isrealiano “+972”, ong, no profit o ricercatori universitari. Quest’estate poi uscirà un libro fotografico edito dalla londinese Pluto Press, per festeggiare i primi 10 anni di “Activestills” e testimoniare una grossa fetta di realtà in Israele/Palestina.
Alcuni palestinesi usano una scala per superare il muro israeliano ad A-Ram, a Nord di Gerusalemme. Cercano di raggiungere la moschea di Al-Aqsa, nella città vecchia, per il secondo venerdì di preghiara del Ramadan. Foto di Oren Ziv
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