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Intesa Sanpaolo e le armi a uranio impoverito. Ma non solo

Nelle ultime settimane si è detto e scritto moltissimo sulle tragiche conseguenze per civili e militari dell’uso delle armi all’uranio impoverito. Si conoscono i Paesi e le ditte che producono questo tipo di armamenti e munizioni, molto meno note sono le banche che finanziano queste stesse imprese.

L’ONG belga Netwerk Vlandereen ha pubblicato uno studio intitolato “Too risky for business – Financial Institutions and Uranium weapons” che indaga al riguardo. Nel rapporto compaiono 50 banche che hanno rapporti con tre imprese statunitensi produttrici di armi all’uranio impoverito: la Allianz Techsystems (ATK), la General Dynamics Ordnance and Tactical Systems e la GenCorp. La maggior parte degli istituti di credito sono statunitensi, ma figurano anche banche giapponesi, tedesche, francesi, canadesi, di  Singapore, di Taiwan e una sola italiana: Intesa Sanpaolo.

di Andrea Baranes – Campagna Riforma Banca Mondiale

La sua presenza è legata a un prestito obbligazionario emesso dalla General Dynamics nell’agosto del 2003 per coprire debiti preesistenti. Banca IMI, oggi parte del gruppo Intesa Sanpaolo, avrebbe partecipato all’operazione con 22 milioni di dollari.

Lo stesso gruppo bancario è coinvolto in altre operazioni, non legate alle armi all’uranio impoverito, ma riguardanti aziende decisamente controverse. E’ il caso di un credit agreement con la Honeywell nel quale la Intesa SanPaolo S.p.A. New York Branch interviene con 50 milioni di dollari, o dell’impegno di 52,5 milioni di dollari di Intesa SanPaolo S.p.A. per un’analoga operazione con la Lockheed Martin. Entrambi risalgono alla prima metà del 2007.

Queste due aziende sono state escluse, per motivi etici, dal portafoglio di investimenti dei fondi pensione statali norvegesi. Alcune banche private si sono mosse nella stessa direzione. La belga KBC cita esplicitamente le imprese escluse da ogni operazione finanziaria, perché coinvolte in produzioni “controverse” di armi. In questa lista figurano, tra le altre, la General Dynamics, la Honeywell, la Lockheed Martin e l’italiana Finmeccanica, tutte coinvolte nel settore delle cluster bombs.

Andando sul sito della Borsa Italiana, è possibile scaricare un’analisi del titolo di Finmeccanica svolta all’inizio di luglio del 2007 dalla Caboto, una società finanziaria del gruppo Intesa Sanpaolo. Al termine di questo tipo di studi, la società che svolge l’analisi deve riportare eventuali conflitti di interesse. In questo caso si legge che “il gruppo Intesa Sanpaolo ha fornito sostanziali finanziamenti alla Finmeccanica S.p.A. e al gruppo a cui appartiene ed è uno dei suoi principali finanziatori”.

Sempre nel luglio 2007 il gruppo Intesa Sanpaolo ha emanato una policy che “nell’ambito dell’operatività dell’intero Gruppo nel settore degli armamenti, prevede la sospensione della partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d’arma, pur consentite dalla legge 185/90”. Secondo la stessa policy: “Eventuali operazioni giudicate coerenti con lo spirito di “banca non armata” potranno essere autorizzate in via straordinaria dal Consigliere Delegato e CEO e saranno oggetto di informazione – per opportuna trasparenza nei confronti della comunità esterna – anche sul sito Internet della Banca”.


Le operazioni con la Honeywell e con la Lockheed Martin sono riscontrabili analizzando due documenti della Security and Exchange Commission – SEC, l’organo statunitense che controlla le società quotate e le borse negli USA, pubblicati rispettivamente a maggio e giugno 2007, ovvero solo poche settimane prima della pubblicazione della policy del gruppo in materia di armi. Queste delicate operazioni finanziarie fanno sorgere alcune domande:

–    Cosa è avvenuto per le operazioni citate, e di eventuali altre in essere alla data di entrata in vigore della policy? E’ stata applicata la “sospensione della partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d’arma”?

–    Se il gruppo ha ancora in essere alcune di queste operazioni, ne è stata data comunicazione tramite il sito internet o in altra maniera?

–    Come è possibile verificare l’implementazione della policy in ogni operazione della banca e assicurare al pubblico che operazioni con imprese decisamente controverse non avvengano più in futuro?

–    Quali ulteriori passi per la trasparenza intende mettere a punto il gruppo Intesa Sanpaolo per dare seguito alla propria policy? Non sarebbe ad esempio opportuno, seguendo l’esempio della banca belga KBC, pubblicare sul proprio sito un elenco di imprese categoricamente escluse da qualsiasi operazione finanziaria?

La legge italiana, e in particolare la 185/90, permette di conoscere solamente le banche coinvolte nell’import-export di armi italiane. Un tipo di operazione che non costituisce che una minima parte dei complessi rapporti tra finanza e industria degli armamenti,  sulla maggior parte dei quali non esiste oggi un controllo e una trasparenza analoghi a quelli previsti dalla L.185/90.

Con la pubblicazione della propria policy a luglio del 2007, il gruppo Intesa Sanpaolo, uno dei due più grandi in Italia, ha preso un impegno notevole e fatto un importante passo in avanti sulla strada della responsabilità. Nello stesso tempo, le migliori policy e dichiarazioni al mondo non hanno valore se non vengono implementate concretamente in tutte le operazioni. Gli esempi riportati mostrano come, ancora negli ultimi anni, e potenzialmente ancora oggi, il gruppo Intesa Sanpaolo o alcune sue banche erano o sono direttamente coinvolte nel finanziamento di alcuni dei maggiori produttori di armi del pianeta. E’ ora necessario, in nome della trasparenza richiamata nella stessa policy del gruppo, proseguire il percorso, rendendo noto lo stato delle operazioni finanziarie citate in precedenza, e più in generale eventuali rapporti con aziende attive nel campo della difesa e degli armamenti.

Un passo necessario, oltre che per coerenza interna, per evitare che i soldi dei risparmiatori e dei correntisti italiani possano essere utilizzati, anche se in maniera indiretta, per finanziare alcuni dei più controversi produttori di armi del pianeta, e addirittura chi produce munizioni cluster o armi all’uranio impoverito.



Non solo armi

I rapporti tra finanza e armi non rappresentano che una parte dei finanziamenti con potenziali impatti negativi realizzati dalle banche. La stessa Intesa Sanpaolo è l’unica banca italiana nel gruppo di istituti che ha accordato un finanziamento di 800 milioni di euro alla Slovenske Elektrarne. Sul sito dell’ENEL possiamo leggere che “In Slovacchia, nel febbraio 2005, Enel ha acquistato il 66% della società elettrica Slovenske Elektrarne, il primo produttore di energia elettrica della Slovacchia ed il secondo dell’Europa centro-orientale con una capacità produttiva di circa 7.000 MW ben bilanciata tra nucleare, termoelettrico e idroelettrico.”  In Slovacchia, ENEL ha già stanziato 1,8 miliardi di euro per il completamento di due reattori della centrale nucleare di Mochovce. Un progetto iniziato in epoca sovietcia e duramente criticato da moltissime organizzazioni a causa dei forti rischi che comporta, a partire dalla mancanza di un sistema di contenimento che eviti fuoriuscita di radioattività in caso di incidenti gravi e che protegga i reattori da eventi esterni.

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