Ambiente / Opinioni
In Italia l’agricoltura è una storia di famiglia
Le aziende hanno meno di cinque ettari e sono gestite da persone over 50. Un patrimonio da innovare rispettando conoscenze e saperi locali. La rubrica di Riccardo Bocci di Rete Semi Rurali
A dicembre 2021 è uscito l’Annuario dell’agricoltura italiana redatto dal Consiglio per l’agricoltura e la ricerca agraria (Crea): sono 500 pagine utili per capire i punti di forza e la debolezza del settore e avere una fotografia del sistema agroalimentare italiano. Continua l’emorragia di aziende agricole (-15% nel periodo 2010-2020), composte all’86% da ditte individuali, con una dimensione familiare e meno di due dipendenti in media. Solo il 4% delle aziende è gestito da giovani (meno di 30 anni), mentre oltre il 70% degli operatori ha più di 50 anni. La dimensione aziendale resta piccola e largamente sotto la media europea: il 40% delle aziende ha meno di cinque ettari. Questi dati rispecchiano l’andamento storico della nostra agricoltura legata alla piccola proprietà terriera, il legame ancora forte con la terra di chi abita in provincia e la difficoltà di attuare quel passaggio di consegne generazionale su cui tanto le politiche agricole europee hanno investito in questi anni. Infatti a fronte del denaro pubblico speso nel pacchetto giovani, dobbiamo registrare il fallimento di questa misura in Italia, usata più come strumento elettorale dalle amministrazioni regionali che non come leva per il ricambio generazionale.
Questo modello agricolo familiare ha reso possibile coltivare la diversità orografica italiana (dalle colline alle montagne), creando in ogni contesto paesaggi, varietà, prodotti e ricette caratteristici. Abbandonarlo vuol dire anche abbandonare il territorio su cui insiste.
In tale quadro una domanda sorge spontanea: come portare innovazione nel sistema? Come e con quali strumenti rinnovare il patrimonio condiviso che è la nostra agricoltura? Sempre leggendo l’Annuario si scopre che le politiche europee e nazionali stanno investendo fortemente in quella che definiscono “Agricoltura 4.0”, declinata come agricoltura di precisione (fatta di robot, droni e trattori sempre più sofisticati), digitalizzazione e applicazioni varie per smartphone come supporto alla presa di decisioni.
Ma siamo sicuri che sia la strada giusta? Non sarebbe meglio capire quali innovazioni sarebbero più appropriate in un contesto così frammentato, diversificato e caratterizzato da soggetti medio piccoli con una bassa propensione all’uso della tecnologia informatica? Il punto non è guardare al passato e abbandonare innovazione e tecnologia in un’ottica luddista, ma costruire strumenti per facilitare il lavoro agricolo e rispondere alle aspettative degli agricoltori e non del mercato. Ad esempio per favorire la rinascita della cerealicoltura di collina o montagna, evitando così il loro spopolamento, sarebbe importante sviluppare piccoli macchinari per gestire la semina e la trebbiatura, ovviando all’assenza sul mercato di attrezzature adeguate per queste condizioni.
È pari al 4% la quota di aziende agricole in Italia gestita da giovani che hanno meno di 30 anni, secondo l’Annuario dell’agricoltura italiana redatto dal Crea
Non sarebbe così difficile: basta dare uno sguardo a cosa succede in Francia, dove da alcuni anni è attivo un gruppo di tecnici, agricoltori e ingegneri che si occupa di sviluppare e testare macchinari adatti all’agricoltura familiare. Si tratta della cooperativa Atelier paysan che sostiene gli agricoltori nella progettazione e fabbricazione di macchinari adattati a un’agroecologia contadina. L’obiettivo è recuperare collettivamente sovranità e autonomia tecnica attraverso la riappropriazione di conoscenze e saperi locali, e la mobilitazione dei produttori sulle scelte tecniche intorno ai loro strumenti di lavoro. Peccato che in tutto l’Annuario non si trovi traccia di un’innovazione simile nel nostro Paese.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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