Ambiente / Reportage
In Brasile la resistenza contadina ostacola l’estrattivismo di oro
Dopo anni di lotte contro il progetto di sfruttamento aurifero del colosso Belo Sun in Amazzonia, le autorità dello Stato del Parà hanno ordinato la restituzione alle popolazioni locali di oltre duemila ettari di terra. La battaglia continua
Se mai dovessimo vincere questa battaglia e riavere indietro le terre che l’impresa mineraria canadese Belo Sun Mining Corp ci ha tolto, allora le utilizzeremmo per piantare manioca, platano, fagioli, zucche e tutto quello che ci serve per dar da mangiare alle nostre famiglie”. Così ci spiegava Deuzinho, giovane contadino di 26 anni, dentro la sua capanna dell’Accampamento nuova alleanza nella Volta Grande del fiume Xingu, in Brasile. Era l’agosto del 2023. “Siamo rimasti in pochi a resistere contro gli abusi dell’impresa e dello Stato -diceva- ma una voce interna mi dice di rimanere perché otterremo giustizia”.
Oggi Deuzinho può dire di aver fatto bene ad ascoltare quella voce, perché dopo due anni di estenuante resistenza i 2.400 ettari di terreno pubblico che nel 2022 l’Istituto nazionale brasiliano di colonizzazione e riforma agraria (Incra) aveva illegalmente venduto a Belo Sun, sono stati restituiti alle famiglie contadine incluse nel programma di riforma agraria dello Stato del Parà per l’agricoltura e l’allevamento di sussistenza.
Questa battaglia per la terra è iniziata dieci anni fa, nel 2014, quando la compagnia canadese Belo Sun Mining aveva dato avvio al progetto di costruzione della più grande miniera d’oro a cielo aperto del Brasile, proprio nella Volta Grande del fiume Xingu. Con un potenziale di estrazione pari a quasi cinque tonnellate all’anno di nuovo oro, la miniera potrebbe raggiungere una capacità estrattiva di 50 tonnellate in 17 anni, utilizzando 470 metri cubi di acqua all’ora e 10.500 tonnellate di cianuro, una delle sostanze chimiche più nocive. Se anche una piccola quantità di cianuro finisse nell’ecosistema, questa avrebbe conseguenze estremamente dannose per l’uomo e l’ambiente.
Nel suo “Studio di impatto ambientale”, Belo Sun ha avuto modo di confermare che si genererebbe una montagna di 200 metri di altezza di rifiuti altamente tossici, che verrebbe poi immagazzinata in una diga di contenimento situata pericolosamente vicino al fiume Xingu, affluente del Rio delle Amazzoni. Una spada di Damocle sulla vita delle comunità indigene Arara, Juruna, Chipaia e Kuruaia che popolano le anse del fiume.
Le caratteristiche tecniche della diga che Belo Sun si propone di utilizzare, sono infatti le stesse di quelle di Brumadinho e di Mariana, protagoniste di due disastri ambientali che hanno segnato la storia del Brasile, causando la morte di centinaia di persone e danni irreparabili. “Non ci hanno mai consultati”, racconta Rafaela Chipaya, donna indigena e madre di una numerosa famiglia, “solo perché viviamo a più di dieci chilometri dall’area di influenza diretta del progetto, l’impresa sostiene che non abbiamo il diritto di parola. Ma che senso ha? Sappiamo benissimo che il fiume scorre e che in caso di sversamenti di rifiuti tossici saremo tra i primi a pagarne le conseguenze”.
Come la famiglia di Rafaela ce ne sono tante che abitano le sponde del fiume e che non riescono a far sentire la propria voce. È il frutto delle divisioni interne generate circa dieci anni fa dalla Norte Energia, impresa responsabile della costruzione della diga Belo Monte. Inaugurata nel 2016, ha lasciato letteralmente una ferita nel territorio indigeno che forse non si potrà mai sanare: comunità che vivevano unite in armonia da secoli hanno iniziato a farsi la guerra, spinte dagli interessi economici legati al progetto e quelle che erano dieci comunità si sono frammentate a tal punto da diventare oltre ottanta.
Cercando di aggirare il proprio obbligo legale di consultare le popolazioni del territorio, anche Belo Sun ha provato a coinvolgere solo le comunità più grandi e più vicine a dove avrà luogo il progetto minerario, che rappresentano solo una piccola parte della componente indigena del posto. Strategia che a oggi non ha dato ancora i suoi frutti, dato che l’Istituto brasiliano delle risorse naturali rinnovabili e ambientali, responsabile del processo di concessione delle licenze ambientali a Belo Sun dal settembre 2023, sta tenendo in sospeso il via libera che permetterebbe all’impresa canadese di iniziare i lavori. Tuttavia, l’assenza delle licenze non ha fermato l’impresa dall’insediarsi nel territorio, acquistando appunto dall’Incra dei territori agricoli destinati per legge alle famiglie contadine della zona.
La cosa, come detto, è avvenuta nel 2022 e di lì a poco le 98 famiglie interessate hanno dato vita vita all’Accampamento nuova alleanza: un presidio di occupazione permanente di uno dei terreni venduti a Belo Sun partecipato da centinaia di persone, tra cui donne e bambini, con l’obiettivo di reclamare i propri diritti e non indietreggiare. “Qui non abbiamo acqua corrente e luce, viviamo in capanne di paglia e legno, e siamo costantemente perseguitati e monitorati dagli uomini della Invictus, l’impresa di sicurezza privata contrattata da Belo Sun -denuncia Amilson Cardoso, leader dell’Accampamento-. Sono da tutte le parti, ci seguono ovunque andiamo, ci fanno fotografie e ci impediscono di percorrere alcune strade. Ai primi di marzo di quest’anno hanno addirittura aperto il fuoco con pistole semiautomatiche contro il presidio, poi sono scesi dal pick-up e hanno distrutto le capanne”. Per prevenire un’escalation di violenza, l’11 novembre 2023 la Corte di giustizia dello Stato del Parà si è pronunciata in difesa delle comunità rurali della Volta Grande per le denunce ricevute in merito alla condotta della Invictus.
La Corte ha infatti stabilito che “si impedisce a Belo Sun di sfrattare con la forza i residenti delle Fazenda Ressaca, e di apporre cartelli che limitino la pesca, la caccia, l’estrazione mineraria e l’ingresso di persone negli spazi comuni occupati dalle popolazioni rurali, così come è vietato stabilire qualsiasi tipo di restrizione alla circolazione in queste aree, come, ad esempio, l’uso di cancelli con chiusura a chiave o l’uso di sicurezza armata, con l’obiettivo di limitare l’accesso dei residenti a questi luoghi”.
Sono 40 le persone strumentalmente denunciate dalla Belo Sun per le loro proteste contro il progetto minerario
Questa vittoria delle comunità ha dato fastidio all’impresa. Poco meno di un mese dopo la sentenza, Belo Sun ha intentato una causa penale contro i dell’Accampamento, le Ong brasiliane e internazionali che lo supportano, i contadini e gli attivisti locali, per un totale di 40 citati in giudizio. “Belo Sun denuncia i contadini per avere invaso una terra di sua proprietà, aver creato un’atmosfera di violenza e degrado nella zona, e le Ong per aver diffuso notizie false e di dubbia provenienza sul progetto minerario”, racconta Josefa, della Ong Xingu Vivo, organizzazione locale sotto accusa. “Ma la verità è che le informazioni che noi diffondiamo sono basate sui dati presi dallo Studio di impatto ambientale prodotto dalla stessa multinazionale, che è un documento pubblico, e dalle interviste delle comunità che abitano il territorio, con cui collaboriamo da più di vent’anni”.
Il tentativo di criminalizzare i difensori del territorio è però fallito: il 15 marzo di quest’anno, infatti, la Camera di conciliazione agraria dell’Incra ha finalmente sancito per tutte le 98 famiglie che dal 2022 hanno dato forma alla resistenza, il diritto di far parte del programma di riforma agraria e di poter ottenere quindi i pieni titoli sulle terre reclamate. Questa decisione rappresenta una pietra miliare nella lotta contro il progetto ecocida di Belo Sun ed è un importante passo avanti per liberare la Volta Grande da ogni attività mineraria intensiva. Anche se la battaglia non finisce di certo qui, le comunità dell’Accampamento nuova alleanza hanno dimostrato che attraverso un uso strategico della legge, l’appoggio delle Ong locali e internazionali nonché la tenacia dei dimostranti, si possono contrastare i soprusi anche di una multinazionale come la Belo Sun Mining.
Quella delle comunità della Volta Grande nello Stato brasiliano del Parà è una lotta di tutti, consumatori occidentali inclusi. Oltre il 70% dell’oro prodotto a livello mondiale viene infatti trasformato in gioielli e circa l’8% viene impiegato nella produzione di batterie, facendo così del minerale un bene di lusso esclusivo, in larga parte voluttuario e destinato a una ristretta nicchia di persone privilegiate. Una parvenza di ricchezza che per soddisfare il bisogno di ostentazione delle classi benestanti minaccia la sopravvivenza di migliaia di persone appartenenti a popolazioni indigene e contadine, contamina drasticamente l’ecosistema di foreste e fiumi ed è causa di gravi violazioni dei diritti umani.
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