Ambiente / Reportage
In Bosnia ed Erzegovina le comunità locali combattono per i propri fiumi
Sono 122 i mini-impianti idroelettrici già in funzione e altri 354 sono in fase di realizzazione. Molti sono finanziati da società di altri Paesi europei che sfruttano scarsi controlli e corruzione. Ma le lotte stanno cambiando le cose
Nella periferia di Sarajevo c’è un grande parco che richiama centinaia di turisti attirati da un intreccio di ruscelli e cascatelle. È la sorgente della Bosna, il fiume da cui la Bosnia ed Erzegovina prende il nome. Non è un caso che sia un corso d’acqua a ispirare il toponimo di questo Paese, che da sempre vive un legame strettissimo con i suoi fiumi. Che fluiscono, con un andamento spesso selvaggio, per un’estensione di oltre 11mila chilometri.
A partire dagli anni Duemila, però, decine di centrali idroelettriche hanno iniziato a sorgere lungo questo reticolo per sfruttarne il potenziale energetico. In Bosnia ed Erzegovina le chiamano Mhe (sigla che sta per mini-hidroelektrane): piccoli impianti con una potenza installata inferiore ai dieci MegaWatt (MW). “Sono 108 i fiumi, in particolare piccoli torrenti di montagna, su cui sono state costruite delle centrali”, spiega Muriz Spahić, ex presidente dell’Associazione dei geografi bosniaci. Oggi in pensione, Spahić è uno degli scienziati che ha contribuito a definire gli impatti negativi delle Mhe sulla vita che si sviluppa dentro e intorno ai fiumi: “L’acqua che viene immessa nelle tubature diventa una creazione artificiale, in cui la vita animale sparisce”. A soffrirne sono ad esempio i pesci a causa della mancanza di percorsi dedicati per superare gli sbarramenti. Spahić denuncia inoltre come prelievi idrici eccessivi lascino spesso i letti in secca, soprattutto in estate.
Oggi, secondo i dati dell’Ong Eko akcija sono 122 le Mhe in funzione e 354 quelle in fase di progettazione o costruzione. Un dato che include gli impianti della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) e della Republika Srpska, le due entità che, insieme al distretto autonomo di Brčko, compongono l’ossatura amministrativa del Paese. In totale, nel 2022, tutte le Mhe hanno generato circa il 2,7% della produzione elettrica nazionale, come rilevato dalla Commissione statale per l’energia. “Oltre ai danni ai fiumi, spesso abbiamo assistito a ingenti opere di disboscamento per permettere la costruzione delle strade d’accesso”, sostiene Jelena Ivanić del Centro per l’ambiente di Banja Luka, la principale associazione ambientalista della Republika Srpska.
Accanto alla scrivania, una pila di dossier e libri raccoglie le lotte contro l’ipersfruttamento idrico che il centro porta avanti dal 2004. “Eppure, le Mhe erano state presentate come una soluzione meno invasiva rispetto ai grandi impianti”, afferma. In Bosnia ed Erzegovina, secondo i dati del think thank energetico Ember, dal 2000 il carbone genera oltre il 50% della produzione nazionale di elettricità. Il reticolo fluviale è diventato una risorsa appetibile dal 2005, quando la repubblica balcanica ha aderito all’Energy community treaty. Con l’accordo (che punta ad allineare le politiche energetiche di nove Paesi dell’Europa Sud-orientale a quelle dell’Ue) si rendono necessari nuovi investimenti per l’energia pulita. Un fattore che, anche grazie a generose sovvenzioni, stimola “una vera e propria corsa alla costruzione di questi piccoli impianti”, incalza Ivanić.
“Sono 108 i fiumi, in particolare piccoli torrenti di montagna, su cui sono state costruite delle centrali” – Muriz Spahić
Tuttavia, il boom di Mhe non passa inosservato, soprattutto nelle aree rurali dove le persone si erano abituate nei secoli a utilizzare i corsi d’acqua per i propri bisogni primari. Si diffonde così a macchia d’olio un movimento dal basso, capillare e interetnico, per la protezione dei fiumi. Nel 2016 più di 40 associazioni locali si sono unite in una coalizione nazionale, dimostrando un legame intimo tra uomini e acqua, che va oltre il semplice uso della risorsa.
“Per 505 giorni abbiamo presidiato questo ponte, giorno e notte”, racconta Tahira Tibolt. Indica un cartello sul ciglio della strada: “Il ponte delle coraggiose donne di Kruščica”. Dal 2017 questo gruppo locale ha ostacolato l’accesso al fiume del proprio villaggio per bloccare un progetto idroelettrico, nonostante gli arresti, le minacce e alcuni violenti scontri con la polizia. Nel 2021, tutti i permessi sono stati annullati e le donne di Kruščica hanno vinto il Goldman Environmental Prize, una sorta di premio “Nobel per l’ambiente”. Tibolt ricorda come quei 505 giorni siano stati un momento di vera comunità: “Siamo state l’esempio che ci si può contrapporre con il corpo se non è possibile farlo per vie legali”.
“Oltre ai danni ai fiumi, spesso abbiamo assistito a ingenti opere di disboscamento per permettere la costruzione delle strade d’accesso” – Jelena Ivanić
Molte persone hanno anche subito danni diretti dalle Mhe. Meno di venti metri separano la mini-centrale di Kaćuni dalla camera da letto di Salko e Namira Hodžić. “Ancora ricordo i giorni della costruzione -lamenta l’uomo-. È stato un inferno: le ruspe hanno lavorato per 43 giorni, gli esplosivi usati per sbancare la roccia hanno crepato la casa e ci hanno costretti a rifarne una parte. Tra lavori e spese processuali abbiamo perso tra i 25 e i 35mila euro”. Oggi, per la coppia, il problema è il ronzio costante della centrale. “Quando tornano a trovarci, i nostri figli non vogliono più rimanere a dormire. Preferiscono andare in hotel”, racconta l’uomo, che ha denunciato i proprietari dell’impianto. La sua non è l’unica battaglia legale in corso. Al crescere dell’opposizione di associazioni e cittadini, sono aumentate anche le contromisure degli investitori. Attualmente sono più di trenta le cause aperte dall’Aarhus centar BiH, organizzazione che fornisce supporto legale gratuito ai movimenti ambientalisti.
Come nel caso della querela temeraria che ha coinvolto due giovani attiviste di Sarajevo Est: Sara Tuševljak e Sunčica Kovačević. “Eravamo qui quando hanno costruito queste strade d’accesso alle Mhe. Abbiamo sentito le esplosioni, fotografato i detriti e gli alberi franati giù nel letto del fiume”, racconta Kovačević da una roccia a picco sul fiume Kasindolska. Sul suo telefono, mostra le foto dello stesso torrente secco e ricoperto di detriti. Nel 2022, quando le attiviste denunciano pubblicamente il potenziale rischio ambientale di questa situazione, arriva una chiamata dall’amministratore delegato di Green Invest, l’azienda belga a capo del progetto, che chiede loro di ritrattare. Un mese dopo, la compagnia Buk doo -di proprietà della società belga- presenta la prima di tre querele per diffamazione.
“I permessi si ottengono molto velocemente e i controlli quasi non esistono. Agli investitori conviene di più pagare le multe che adeguarsi alla legge” – Nina Kreševljaković
Anche Amnesty International ha considerato il provvedimento come un’azione strategica contro la partecipazione pubblica. Green Invest è solo una delle aziende europee che partecipano, a vario titolo, ai 95 progetti di Mhe censiti da Eko akcija in tutto il Paese. Quelli in cui sono coinvolte imprese italiane sono 14, tra cui la Sol Spa che ne conta ben cinque. “Ci si può chiedere cosa abbia attratto tutti questi investitori stranieri -incalza l’avvocata dell’Aarhus centar BiH, Nina Kreševljaković-. La risposta è molto semplice: qui regna l’anarchia”. Dal suo studio di Sarajevo elenca i vari problemi legati a questo settore: “I permessi si ottengono molto velocemente e i controlli quasi non esistono. Ci sono stati casi di corruzione, e agli investitori conviene di più pagare le multe che adeguarsi alla legge”.
Un sistema, quello delle Mhe, che a lungo si è appoggiato alle feed-in tariffs, un piano agevolato attraverso il quale agli investitori veniva garantito l’acquisto di energia a un prezzo fino a quattro volte maggiore rispetto a quello di mercato, per un periodo di tempo tra i 12 e i 15 anni. “Dopo anni di lotte, grazie alla pressione di associazioni e Ong, nel 2022 il parlamento della FBiH ha adottato una legge che vieta la costruzione di nuove mini-centrali”, prosegue l’avvocata. Nella Republika Srpska il sistema delle Mhe è stato invece fortemente ridimensionato con una norma che vieta alle istituzioni di finanziarne di nuove. “Negli anni il movimento ha raggiunto grandi risultati -racconta Ulrich Eichelmann, direttore di RiverWatch, una delle Ong di conservazione ambientale più attive nei Balcani-. Il numero dei progetti di Mhe è diminuito drasticamente, anche perché ormai gli investitori sanno che la consapevolezza dei cittadini sul tema è cresciuta”.
Il problema, ora, si sta spostando su nuove grandi opere energetiche come il “Gornji Horizonti” attualmente in costruzione in Erzegovina: un massiccio sistema di dighe, canali e sbarramenti concepito in epoca jugoslava e oggi ripreso in mano dal gruppo cinese Gezhouba. Il progetto, denuncia RiverWatch, muterà il corso di diversi fiumi con una portata impossibile da calcolare per la natura inesplorata del territorio. “Bisogna vedere come le persone affronteranno questi nuovi problemi -conclude Eichelmann- ma la radice di tutto ciò risiede in una visione che considera ogni risorsa naturale semplicemente come una risorsa per fare più soldi”.
Questo articolo è stato sviluppato con il supporto di Journalismfund Europe da Marco Carlone e Alex Čizmić
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