Ambiente
Ilva: nel decimo decreto l’immunità per i nuovi acquirenti
di Duccio Facchini —
Il 31 maggio scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato l’ennesimo decreto di "salvataggio" dello stabilimento di Taranto. Oltre a nuove proroghe per le misure di messa a norma spunta un allargamento dell’immunità penale o amministrativa a favore di chi dovesse subentrare allo Stato. "Fantascienza del diritto" secondo Alessandro Marescotti (Peacelink) che ha lanciato un appello ad Amnesty International
Il “salvataggio” dell’Ilva di Taranto è giunto al decimo capitolo, al decimo decreto legge del Governo. Questa volta, nei soli tre articoli che lo compongono, è spuntata una sostanziale immunità "penale o amministrativa" non solo per l’attuale commissario straordinario -uno dei tre è il commercialista Piero Gnudi (oltreché Enrico Laghi e Corrado Carrubba)- ma anche per “l’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati”. La “nuova” fonte normativa è il decreto numero 98 del 9 giugno di quest’anno, firmato dal presidente della Repubblica dieci giorni dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri alla fine del mese di maggio. La sintesi in due punti pubblicata sul portale governo.it reca un titolo apparentemente incoraggiante: “Ilva, centralità alla valutazione del piano ambientale”. Chi l’ha proposto all’esecutivo sono stati i due ministri competenti dello Sviluppo economico –Carlo Calenda, da poco subentrato alla dimissionaria Federica Guidi- e dell’Ambiente –Gian Luca Galletti-.
Galletti, come già scritto da Altreconomia nella primavera 2015, ha peraltro un potenziale conflitto di interessi nell’affare Ilva. Nella “dichiarazione delle spese sostenute e delle obbligazioni assunte per la propaganda elettorale” pubblicata quando ancora era parlamentare erano stati indicati due “contributi” di 30mila e 20mila euro da parte rispettivamente dalla Simbuleia spa e dalla S.E.C.I. spa, entrambe con sede a Bologna.
La prima -che si occupa per statuto di “servizi amministrativi, contabili e finanziari”- era detenuta dalla una fiduciaria (Euromobiliare Fiduciaria spa) e in minima parte da Romano Conti, commercialista bolognese che risultava tra i fondatori -insieme a Piero Gnudi– dello Studio Gnudi e Associati.
Lo stesso Gnudi, già ministro nel governo Monti, che nell’estate 2014 verrà nominato dal governo Renzi “commissario straordinario per la Ilva Spa”.
Ma torniamo all’Ilva e all’ultimo decreto. Il contesto in cui ricade il 98/2016 riguarda il “procedimento di gara per il trasferimento a terzi di Ilva avviato nel gennaio scorso”. Tradotto, lo Stato, pur di cedere a terzi lo stabilimento -che oggi conta ancora 12mila dipendenti, registra una perdita di 2,5 milioni di euro al giorno (Corriere della Sera) e “da tre anni non pubblica un bilancio consultabile” (da quello del 31.12.2011, ndr) , come spiega Alessandro Marescotti di Peacelink-, ha di nuovo messo mano alla normativa.
E questa volta l’avrebbe fatto dando vita a pura “fantascienza del diritto”, come ribadisce preoccupato Marescotti, cofirmatario di un appello inviato ad Amnesty International intitolato “Nuovo decreto ILVA viola i diritti umani”.
Marescotti, come e perché il decimo decreto del Governo viola il principio di eguaglianza?
AM Basta leggere il “nuovo” articolo 2, comma 6 del precedente decreto del gennaio 2015, che il governo è intervenuto a modificare. L’irresponsabilità penale e amministrativa è stata allargata anche a chi acquista lo stabilimento, violando così il principio base del diritto e della nostra Costituzione. L’appello ad Amnesty parte dal presupposto che su 30 articoli della Dichiarazione universale diritti dell’uomo, ben 5 riguardano l’uguaglianza. E quella in atto a Taranto è una palese violazione dei diritti umani.
Come si è giunti a questo decimo decreto?
AM Quest’ultimo passo segue un lungo percorso iniziato nell’autunno 2012 e fatto ad hoc per consentire all’Ilva di produrre nonostante non avesse i requisiti. Gli impianti più inquinanti erano stati infatti posti sotto sequestro, senza facoltà d’uso, ed esecutivi tra loro diversi hanno dovuto ricorrere alla decretazione d’urgenza per trasformare quel “senza facoltà d’uso” in un paradossale sequestro con facoltà d’uso. Eppure la magistratura del territorio ne aveva fotografato i riflessi cancerogeni, bollando peraltro come insufficienti le misure di mitigazione e risoluzione delle ricadute. Stiamo parlando di perizie che certificavano un eccesso di 30 vittime l’anno dovute alle emissioni industriali, e dunque ogni mese protratto poteva causare una o più vittime. Di fronte al rischio che la prosecuzione della produzione potesse produrre malattia e morti, così come concludeva la perizia degli esperti incaricati dal gip Patrizia Todisco, nel timore che ciò potesse avvenire fu emesso dalla magistratura un provvedimento di sequestro.
Che fine hanno fatto i lavori di messa a norma?
AM All’epoca della conversione in legge del primo decreto “Salva Ilva” da parte di Camera e Senato era stato stabilito che i lavori di messa a norma degli impianti fossero fatti subito, nodo che consentì alla Corte costituzionale di riconoscere come legittimo quel decreto. Invece questi lavori sono stati rinviati. E oggi di nuovo, per altri 18 mesi: sarebbero dovuti finire già nel 2014, eccetto la copertura del parco minerali che aveva durata triennale (il completamento doveva avvenire non oltre l’ottobre 2015).
Come leggere l’attuale strategia del governo?
AM L’obiettivo dichiarato di alcuni decreti dell’esecutivo era quello di sottrarre la gestione dell’Ilva al Gruppo Riva per darlo allo Stato, il quale, secondo il presidente del Consiglio, l’avrebbe dovuta trasformare in un esempio a norma. Non ci sono riusciti e quindi vogliono vendere la fabbrica senza aver risolto il nodo della messa a norma, incentivando il privato fino al punto di liberarlo da ogni problema con l’immunità penale, la possibilità di scrivere il piano ambientale senza prescrizioni pubbliche (seppur con un presunto controllo preventivo di esperti), e prevedendo il fatto che anche nel caso in cui il piano “validato” non dovesse essere realizzato ci possano essere possibilità di proroghe. Qualcosa di inaccettabile che ha portato anche la Regione Puglia ad annunciare in questi giorni il ricorso alla Corte costituzionale.
Avete lanciato anche una campagna di boicottaggio di Cassa depositi e prestiti, perché?
AM CDP ha annunciato di voler intervenire nella nuova società che gestirà Ilva, che, ribadisco, registra secondo il Corriere della Sera una media 2,5 milioni di euro al giorno di perdite. L’intervento della Cassa dal nostro punto di vista viola l’articolo 3 del suo Statuto, che le dovrebbe impedire di investire in società decotte, senza prospettive, come del resto è l’intero mercato dell’acciaio europeo. Perché il vero paradosso è che a Taranto non ci si ammala per il profitto, ma solo per le perdite.
© riproduzione riservata