Ambiente / Opinioni
Il varco stretto che ci attende dopo Covid-19: cambiare o subire?
Il mito della crescita è deflagrato ma i fallimenti del passato si rifanno avanti. Condoni, sanatorie, cemento: abbiamo dato. La rubrica del prof. Paolo Pileri
Nel tempo fermo di #iorestoacasa, dicono che cambieremo. Ma in meglio o in peggio? Subiremo o decideremo il cambiamento? Differenze che fanno la differenza. Le proposte per un futuro diverso hanno la voce troppo bassa e così si continua a sentire di sanatorie e condoni per la ripresa: ci risiamo. Nel buio della galera nel 1932, Ernesto Rossi, antifascista liberale, diceva che “quel che manca è, più che le materie prime, il materiale umano che valga qualcosa […] l’Italia non potrà essere diversa se non siamo capaci di volerla diversa. E volere è agire”. Parole dure ma limpide che centrano la questione: senza volontà di cambiare, nulla cambia. È questo il varco stretto dove il post-Covid ci attende.
Il mito della crescita è deflagrato. Alcuni infelici di oggi sono pentiti di non aver tentato la decrescita felice di ieri. Ma ora non serve l’ansia, serve leggere l’economia di Federico Caffè o le pagine di economia civile o di quella circolare o di quella fondamentale. Tutta roba che fino a ieri accartocciavamo assieme alle buone idee per un’Italia diversa che là ci sono e che hanno bisogno di farsi largo. Allora, come al gioco della torre, provo a buttare giù qualcosa che odora di improponibile per domani. Un po’ come si fa dopo le dittature, abbattendo busti e insegne del tiranno per passare a nuova vita. Partiamo da Sud. Mentre si combatteva a mani nude Covid, il 17 marzo il viceministro Cancelleri benediceva il via libera del CIPE alla superstrada Ragusa-Catania (750 milioni di euro): “Nonostante il Governo e l’Italia intera si trovino ad affrontare un’emergenza sanitaria senza eguali, non posso che esprimere la mia più grande soddisfazione per l’impegno che questo governo ha messo in campo per portare a casa questo storico risultato”.
4, i progetti mangiasuolo e mangiambiente da buttare giù dalla torre ed entrare nel futuro più leggeri, felici e diversi, investendo nella cura di un Paese dove continuano silenziosamente a cadere ponti e scivolare versanti
Quel nonostante è insopportabile. Anziché cogliere l’occasione per lanciare un altro modo di intendere lo sviluppo, si conferma la linea di sempre: genuflettersi davanti alla solita colata di cemento e asfalto, toccasana di ogni benessere! Con quel nonostante la gente non impara a volere un futuro diverso. Saliamo al centro. Torniamo a Varignana, Bologna. Ricordate la distruzione della collina per farci un mega CRIF-Resort (Ae 222)? Politica muta, come sardine. Meno male che i comitati, nonostante Covid, si sono autotassati presentando un ricorso. Saliamo al Nord: Milano. La pandemia ha fermato lo sport e svuotato gli stadi ma nessun politico ha approfittato per dire che non è più tempo per idee e progetti faraonici come il nuovo stadio San Siro e il suo ventre malato, zeppo di centri commerciali, alberghi e speculazioni immobiliari (un miliardo di euro).
Andiamo ora nel cuore delle Alpi. Il turismo ha subito uno stop violentissimo. Uno stop per ripensare tutto e non per fare peggio di prima. Perché non cancellare quel progetto assurdo fatto ancora di impianti di risalita e piste da sci che vanno a distruggere un luogo meraviglioso come il parco naturale dell’Alpe Veglia-Devero (173 milioni di euro)? Una fregatura fin dal titolo “Avvicinare le montagne”: le si avvicina solo alla morte. Le associazioni non lo vogliono e raccolgono 93mila firme. Ecco tre casi concreti dove si dimostra che la capacità di volere un’Italia diversa non manca. Chi si oppone a quei progetti è un antivirus per questo tempo malato. Ora tocca a te, cara politica. Vuoi questi quattro progetti come simbolo della ripresa italiana? Li finanzierai con i Coronabond? No, ti prego. Volere è agire. Ma bisogna capire prima cosa volere, altrimenti si fanno disastri.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)
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