Ambiente / Intervista
Il flop dell’Alta velocità
Prima di avviare la costruzione della Torino-Lione, si dovrebbero guardare i dati. E quelli relativi alla linea ad Alta Velocità già realizzata ci dicono che i passeggeri delle “Frecce” non giustificano la Tav. Una ricerca del Politecnico di Milano svela un “buco” di milioni di utenti. Anticipazione da Altreconomia di marzo 2012
Al secondo piano di un edificio del Politecnico di Milano, Paolo Beria e Raffaele Grimaldi hanno preparato una “bomba”. Ricercatori per il Dipartimento di architettura e pianificazione (diap.polimi.it), hanno confezionato l’ordigno nella prima metà del 2011, per lanciarlo a settembre. La bomba -tutta mediatica- di cui parliamo è una ricerca che riguarda l’Alta velocità in Italia. Si intitola “An early evaluation of italian high speed projects” e dimostra che, salvo (forse) la tratta Milano-Roma, finora la Tav italiana è costata di gran lunga troppo (32 miliardi di euro in 20 anni, vedi Ae 134) rispetto ai benefici che ha portato. E qualcosa di simile vale anche per le tratte future, Torino-Lione in testa.
“Si tratta di una ricerca indipendente, che abbiamo pubblicato sul trimestrale del laboratorio ‘Mobilità e Ambiente’ dell’Università di Napoli (www.tema.unina.it/index.php/tema/article/view/486). Abbiamo preso i pochissimi dati che le Fs hanno messo a disposizione, e da lì ci siamo mossi per analizzare la domanda delle ‘Frecce’ sulla rete. Non abbiamo considerato nel conto degli investimenti la tratta Firenze-Roma, che già esisteva prima del 1992”. Beria e Grimaldi, a dispetto della competenza e della professionalità con cui snocciolano i dati, sono molto giovani: 34 anni il primo, 28 il secondo.
“Abbiamo fatto una valutazione ex post delle linee realizzate, attraverso un’analisi ‘costi benefici’, e sulla base di questa abbiamo dato un giudizio sulle singole tratte dell’Alta velocità”.
La metodologia usata deriva dalla letteratura sull’argomento, che è consolidata. “Ciò ha permesso di svolgere l’analisi con pochi dati: i costi di investimento, i costi di esercizio e di manutenzione (attuali e senza queste strutture) e dall’altra parte i benefici in termini di risparmi di costi e risparmio di tempo per i passeggeri. Gli indicatori non li abbiamo scelti arbitrariamente: abbiamo utilizzato standard internazionali”.
Tradotto, la domanda che Beria e Grimaldi si sono fatti è stata: quanti passeggeri sono necessari per giustificare la spesa di realizzazione per ogni singola tratta di Alta Velocità? E la risposta è la bomba: “La Milano-Bologna è costata poco meno di 7 miliardi di euro, per un risparmio rispetto al 1999 di 37 minuti. A queste condizioni, secondo i nostri calcoli l’investimento è giustificato con circa 9 milioni di passeggeri all’anno. Oggi siamo tra i 6 e i 7 milioni di passeggeri. Abbiamo l’impressione che questo tratto quindi sia giustificabile, tenendo conto di una crescita della domanda. Diverse le cose per le altre tratte. Ad esempio la Torino-Milano, costata 7,7 miliardi di euro per risparmiare 32 minuti, avrebbe bisogno di 14 milioni di passeggeri. Oggi sono al massimo un milione e mezzo, e Trenitalia ne stimava, nel 2007, 2,1 milioni. Qui il problema sono stati i costi sproporzionati, dovuti alla progettazione in affiancamento all’autostrada. Basta percorrerla per capire che si tratta di un progetto sovradimensionato. Senza contare i sovracosti dovuti ai meccanismi di affidamento esterno, di cui anche la stampa si è occupata”. La Bologna-Firenze merita un discorso a parte: “È la tratta che ha più domanda in assoluto, poiché si somma a quella che proviene da Milano e poi da Venezia. Nel 2010 ha avuto più di 10 milioni di passeggeri, ma anche in questo caso la domanda necessaria per coprire l’investimento era di 20 milioni. Per risparmiare soli 14 minuti”.
Infine, la Roma-Napoli (35 minuti di risparmio di tempo): “Oggi conta 3 milioni di passeggeri, l’obiettivo di Trenitalia, non raggiunto, è di 4,6 milioni. Ma ne servirebbero 8 milioni”.
Quindi c’è qualcosa che non va nell’intero progetto, o quantomeno nella valutazione che ne è stata fatta. “L’Alta Velocità italiana è una rete costruita su uno standard europeo -ovvero quello delle ferrovie francesi- che ha caratteristiche particolari. Utilizza corrente alternata: un treno normale non può andarci sopra. Ovvero, sulle linee Av sarebbe più costoso fare servizi di tipo Intercity, perché servirebbero per forza treni nuovi. Ciò significa che oggi alcune linee in particolare sono sottoutilizzate. Tra l’altro, il progetto iniziale prevedeva interconnessioni con la linea storica: sono state realizzate ma non rese operative. Ad esempio: sulla Milano-Bologna sarebbe utile uscire dalla rete e servire, ad esempio, Reggio Emilia e poi rientrare. Nella realtà questo non avviene, perché si è scelto di privilegiare la velocità. Forse gli emiliani non sono contenti di veder passare un ‘proiettile’ che ferma solo nei centri maggiori. In Germania e Svizzera ad esempio hanno reso solo alcune tratte ad alta velocità, e, soprattutto, adeguato alcuni nodi per avere migliori collegamenti in ottica di rete. I tedeschi distinguono tra Intercity e Intercity Express, ma non esiste un ‘prodotto’ che si chiama alta velocità”. Non solo. “All’estero si fa l’analisi costi benefici in via preventiva, e la scelta su quali opere fare -e come- si basa sulla comparazione tra le varie opzioni e i vari progetti. Da noi si è fatto il contrario: prima si progetta, poi si valuta quanto i benefici superano -se li superano- i costi. Si prenda il traffico merci: ad oggi nessun treno merci ha mai viaggiato sull’Alta velocità italiana, né mai accadrà. Non è conveniente. Tuttavia la rete è stata costruita anche per il trasporto merci. Il che l’ha resa più costosa, senza che vi fosse alcuna previsione che giustificasse neanche lontanamente l’investimento”.
La ricerca si occupa anche di linee progettate. “Ci siamo limitati a confrontare i pochi dati disponibili sulla domanda. L’impressione è che siano delle stime di crescita di passeggeri e merci davvero rilevanti, che appaiono piuttosto ottimistiche. La Torino-Lione, in particolare, nasce come linea per passeggeri, poi diventa anche merci perché si capisce che la domanda di passeggeri non c’è. È un dato presente anche negli studi ufficiali a favore della linea. Se si dovesse partire da zero, sarebbe una linea su cui proprio non investire, se non sul nodo di Torino e sulla tratta della valle col trasporto dei pendolari. Per come è andato il progetto e l’aspettativa che ha prodotto, una soluzione poteva essere di spezzare in fasi i lavori, iniziando dalla zona più problematica (ovvero la zona di Torino) e solo alla fine valutare la necessità di un tunnel in Val Susa. Che al momento non è dimostrata”. —
La Tav sotto Firenze
Tutti i passeggeri delle “Frecce”, anche quelli che mancano, sentono il bisogno di nuove stazioni “ad Alta velocità”. A Firenze, il progetto è firmato dall’archistar Norman Foster (vedi Ae 131), e si accompagna all’esigenza di realizzare un tunnel da 7 chilometri sotto la città, per saltare il collo di bottiglia di Santa Maria Novella, stazione di testa, e proseguire la corsa verso Roma risparmiando un quarto d’ora. Servono almeno 1,3 miliardi di euro, dalle 5 alle 8 volte in più rispetto al progetto alternativo, elaborato volontariamente da architetti, geologi, ingegneri e urbanisti del Comitato contro il sottoattraversamento Tav (www.notavfirenze.blogspot.com), oggi raccolto in un corposo volume pubblicato da Alinea editrice.
“Tav sotto Firenze” (368 pp., 28,50 euro) che racconta impatti, problemi, disastri, affari ma dà soprattutto conto dell’alternativa possibile.