Ambiente / Varie
Il Cile cancella le 5 dighe Enel in Patagonia
Dopo sei anni di lotta, con campagne nazionali e internazionali, il mega-progetto di Endesa, società spagnola controllata dalla multinazionale italiana dell’energia è stato fermato: il governo Bachelet ha rigettato la valutazione d’impatto ambientale relativa all’intervento denominato Hidroaysen, che prevedeva invasi sui fiumi Pascua e Baker.
"Killing Patagonia" -presentato a Roma a fine maggio- è l’ultimo report dell’associazione Re:Common
Il governo cileno ha rigettato la valutazione d’impatto ambientale relativa alle cinque grandi dighe che sarebbero dovute sorgere sui fiumi della patagoni Pascua e Baker. Il progetto del consorzio Hidroaysen, guidato con una quota maggioritaria dalla controllata Enel Endesa, viene di fatto cancellato dopo oltre sei anni di proteste e campagne nazionali e internazionali, cui molte realtà della società civile italiana -tra cui Re:Common, che due settimana fa aveva presentato il rapporto "Killing Patagonia"– hanno partecipato sin dalle prime battute.
Il nuovo esecutivo guidato da Michelle Bachelet, subentrato a quello di Sebastian Piñera, che nel 2011 aveva dato un parziale nulla osta all’opera, ha motivato la sua decisione sulla base di una serie di questioni di carattere ambientale non risolte, nonché problematiche legate al reinsediamento delle popolazioni locali.
Il progetto aveva un costo stimato di circa sette miliardi di dollari. Nonostante la stessa Bachelet durante il suo primo mandato presidenziale (2006-2010) avesse mantenuto una posizione alquanto ambigua, se non proprio favorevole, nella campagna elettorale dello scorso autunno si era dichiarata contraria. Che per gli impianti idroelettrici in Patagonia tirasse una brutta aria lo aveva compreso anche Endesa Cile che, secondo quanto riportato dal quotidiano di Santiago El Mercurio, nel suo documento bimestrale agli investitori a fine 2013 aveva depennato le dighe di HidroAysén dalla lista dei progetti prioritari.
Come detto, le mega dighe sarebbero dovute essere cinque. Due sul fiume Baker, uno dei più lunghi della Patagonia cilena con i suoi 170 chilometri, e famoso per l’incredibile color cobalto del primo tratto del suo corso, mentre altre tre avrebbero imbrigliato le acque del Pascua. La quantità di terra inondata sarebbe ammontata a 5.900 ettari.
L’enorme quantità di energia prodotta, 2.750 megawatt sarebbe servita ad alimentare le miniere nel Nord del Paese e avrebbe comportato la realizzazione di una linea di trasmissione composta da 6mila piloni alti 70 metri che avrebbero attraversato otto regioni, 64 comuni, tre parchi nazionali e 12 aree protette.
Secondo Tancredi Tarantino, “la bocciatura di HidroÁysen è una grande vittoria dei movimenti sociali cileni e di chi, come la rete Stop Enel, ha sostenuto questa lotta anche in Italia. Il successo è ancora più evidente se si considera che il governo Bachelet ha annunciato di voler stanziare 650milioni di dollari per nuovi progetti energetici. Ciò vorrà dire nuove dighe e nuovi impatti sulla popolazione locale e sull’ambiente. In Cile il modello energetico non è in discussione, ma in Patagonia le dighe di Enel non si faranno e questo è un risultato storico” ha continuato Tarantino.
“Per l’azienda italiana è una sconfitta sonora, ma la presenza di Enel in America Latina rimane forte. Nel mezzo di proteste sociali represse dalla polizia, Endesa sta ultimando la diga di El Quimbo in Colombia, che inonderà 8mila ettari di terreni fertili, costringendo 1.500 persone ad abbandonare le proprie case. A Bogotà è intervenuta addirittura la Corte Costituzionale in difesa delle comunità indigene e contadine locali. Una situazione preoccupante si registra anche in Guatemala, tra i popoli maya-ixil che si oppongo alla centrale idroelettrica di Palo Viejo e ad altre mega opere finanziate con capitali italiani” ha concluso Tarantino.
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Hidroaysen Game Over
Un commento di Caterina Amicucci
#chaohidroaysen e #patagoniasinrepersas sono stati gli hashtag che hanno segnato sin dalle prime ore della mattina, la giornata del 10 giugno 2014 in Cile. Il comitato del governo Bachelet formato dai Ministri della Salute, dell’Energia, delle attività mineraria e dell’agricoltura presieduto dal Ministro dell’Ambiente Paolo Badenier, hanno votato all’unanimità la revoca della licenza ambientale di Hidroaysen, il megaprogetto idroelettrico che prevedava la costruzione di 5 dighe sui fiumi Baker e Pascua nella Patagonia Cilena ed una linea di trasmissione di 2500 Km per portare l’elettricità alle miniere del nord del paese. Proprio quella valutazione di impatto ambientale la cui approvazione aveva scatenato, nel 2011, le dure proteste di piazza che a Santiago erano poi sfociate nel movimento studentesco.
La riunione del comitato, prevista già un anno e mezzo fa, era stata rimandata a data da destinarsi durante la campagna elettorale dell’anno scorso. Nonostante il governo Pinera volesse a tutti costi andare avanti non aveva avuto il coraggio di dare una scossa al progetto conoscendo l’ostilità della larga maggioranza dell’opinione pubblica cilena. La campagna “Vota sin represas” aveva costretto Michelle Bachelet a prendere una posizione pubblica seppur timida e cauta.
Già nei giorni scorsi la probabilità che questo fosse l’esito della riunione del comitato chiamato a valutare i 35 ricorsi presentati dalle comunità locali e dagli oppositori del progetto era considerata molto alta. Ma nessuno osava crederci, soprattutto gli attivisti della campagna Patagonia Sin Represas che da Santiago a Villa O’Higgins (alla fine della carretera austral) da anni si battono per fermare il progetto. Il comitato ha riscontrato l’assenza di un piano reinsediamento delle famiglie che vivono nell’area di quello che doveva essere il futuro bacino e di una quantificazione adeguata dell’impatto ambientale.
“I progetti che non considerano tutti gli impatti che generano e che non presentano misure di mitigazione, riparazione e compensazione devono essere respinti” ha concluso il ministro Badenier.
Esattamente quello che per diversi anni la campagna italiana Patagonia senza Dighe ha cercato di far comprendere ad ENEL, titolare del 51% del progetto dal 2009, quando ha completato l’acquisizione di Endesa. Ma ENEL in questi anni si è costantemente trincerata dietro ad un laconico “facciamo quello che ci chiede il governo cileno”. Ed è evidente che il governo Cileno non desidera più questo progetto e che la decisione del comitato dei ministri, dietro la patina di tecnicismo confezionata per i media, nasconda una mossa fortemente politica che potrebbe preludere alla revisione del “Codigo de Agua”, la legge varata da Pinochet che ha regalato i diritti di sfruttamento idroelettrico ad Endesa ed ha creato un vero e proprio mercato privato dell’acqua. Staremo quindi a vedere se la solerzia di ENEL si applica esclusivamente ai governi iperliberisti nei prossimi trenta giorni, termine entro il quale la multinazionale italiana ed il socio cileno Colbùn hanno diritto ad impugnare la decisione del governo.
Intanto però a Santiago ed in Patagonia oggi è festa grande, per quello che è il più importante successo della società civile degli ultimi anni. Un successo che travalica i confini nazionali, sia per la mobilitazione internazionale generata dalla campagna Patagonia Sin Represas sia perché come un attivista tempo fa a Coyhaique mi ha detto “Se non riusciamo a salvare la Patagonia non abbiamo speranze di salvare il mondo”.
E invece questa speranza ce la siamo guadagnata. Ciao ciao HidroAysen, bye bye ENEL.