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Idee eretiche – Ae 100

Attraversare l’angoscia. È il primo passaggio per allestire le condizioni di un’altra economia. Anzitutto bisogna capire l’angoscia distinguendone le forme. C’è un’angoscia esistenziale che ci riguarda in quanto creature autocoscienti, vulnerabili e mortali. Le reazioni che essa genera sono l’inclinazione…

Tratto da Altreconomia 100 — Dicembre 2008

Attraversare l’angoscia. È il primo passaggio per allestire le condizioni di un’altra economia. Anzitutto bisogna capire l’angoscia distinguendone le forme. C’è un’angoscia esistenziale che ci riguarda in quanto creature autocoscienti, vulnerabili e mortali.
Le reazioni che essa genera sono l’inclinazione a vivere in difesa da tutto e la consegna di sé al cosiddetto “istinto di sopravvivenza”. Così, anziché capire che non può vivere per se stesso, ma solo proteso al bene di altri, l’individuo si piega alle umilianti condizioni che l’ambiente gli impone per consentirgli di sopravvivere. C’è poi l’angoscia collettiva e storica, procurata artificialmente da fattori culturali, sociali, economici e politici. Franz Neumann, uno degli studiosi più acuti della Scuola di Francoforte, ha mostrato che la democrazia può soccombere a oligarchie e ad autocrazie quando ampi strati della popolazione percepiscono un pericolo diffuso che però non sanno spiegare nelle sue vere cause. L’angoscia attivata dal pericolo viene polarizzata, da parte di quanti dominano gli strumenti della propaganda e dell’industria culturale, contro categorie umane e sociali che fanno da capro espiatorio. La fiducia si riversa invece sul capo che incarna l’ordine e il bene.
L’alienazione sociale interagisce così con l’alienazione politica, che si manifesta come incapacità dei cittadini di pensare criticamente e di agire di conseguenza. Il più efficace elemento mediatore tra l’angoscia esistenziale e quella politica è l’angoscia economica, che esaspera l’imperativo di vivere solo per sopravvivere e, con esso, il sentimento di precarietà. Ma come sradicare questo ostacolo spirituale e psicologico a ogni liberazione? Nessuno deve essere lasciato solo con le sue paure. La cura educativa per le persone, le relazioni solidali, la vicinanza credibile, il dialogo, il pensiero critico che nasce nel confronto, la cooperazione nei fatti della vita e anche nel fare fronte ai bisogni economici sono gli strumenti indispensabili per liberare sentimenti, percezioni e ideali che permettano l’apertura del singolo verso la società. Non si tratta però solo di sostegno psicologico e morale ai singoli. È soprattutto necessario creare luoghi, tradizioni, forme comunitarie aperte grazie ai quali sia possibile liberare famiglie, comunità, tradizioni, istituzioni, interi territori e circuiti di socialità dall’angoscia come cultura.
Il respiro per una strategia di questo tipo deriva dal riconoscimento della possibilità concreta della svolta, oggi latente, verso una società che è sicura anzitutto perché garantisce i diritti fondamentali alle persone, nessuno escluso. Un minimo di sguardo e di progetto comune in questo senso è indispensabile. L’antidoto più forte all’angoscia sta in una sicurezza che nulla ha a che fare con le politiche securitarie, perché anzi sorge dalle relazioni interumane vissute come risposta positiva ai fattori di crisi della vita. Le forze essenziali per la svolta sono individuabili in una rete di soggetti che, territorio per territorio, ricompongano il rapporto tra le comunità locali e il sistema economico.
Famiglie, cooperative, artigiani, imprese, comunità etniche, associazioni di categoria, scuole e università sono in grado di costruire questa rete quali co-soggetti che, sperimentando un’effettiva interdipendenza di possibilità di vita, si sentono impegnati a umanizzare l’economia nel senso della sicurezza dei diritti e delle responsabilità di ognuno.
La svolta dall’ossessione della competizione universale all’economia come circuito di servizio può sorgere proprio dal moltiplicarsi di territori riconfigurati come comunità civili ed economiche, che sono tali non perché egoisticamente ripiegate su se stesse, ma perché fanno della cooperazione la chiave del futuro comune, sentendosi solidali con il cammino del loro Paese e dell’umanità intera. Una rete di soggetti protagonisti dell’economia di servizio su base territoriale promette di contribuire non tanto all’obiettivo di “stare sul mercato”, quanto a quello di insegnare al mercato a stare al mondo. In un quadro del genere, anche la politica sarebbe sollecitata a svolgere la sua funzione di mediazione e di progettazione, senza fondarsi più sull’angoscia e anzi trovando finalmente il coraggio di non piegarsi di fronte alla prepotenza dell’economia disumana che ancora oggi, falsamente, appare insuperabile.

* Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Dirige la collana “Orizzonte filosofico” della Cittadella editrice di Assisi. È membro del Comitato scientifico delle Scuole di Pace della Provincia di Lucca e del Comune di Senigallia (An). Il suo ultimo libro è “La buona reciprocità. Famiglia, scuola, educazione” (Cittadella editrice, 2008)

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