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Gli strumenti finanziari del “Piano Mattei” e la falsa promessa di un approccio “non predatorio”

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al summit "Italia-Africa" organizzato a Roma a fine gennaio 2024 © governo.it

Presentato come leva di cooperazione e sviluppo negli interessi del continente africano, il “Piano” del governo è in realtà un supporto all’export delle piccole e medie imprese italiane, trainate dai “campioni” industriali. Soprattutto dell’energia. Il punto su ammontare e provenienza delle risorse (incluse quelle dal Fondo italiano per il clima), nonostante la scarsa trasparenza dell’esecutivo

Algeria, Libia, Tunisia ed Eritrea. Mentre si succedono le visite ufficiali in vari Paesi del continente africano, il “Piano Mattei” si avvicina alla prima scadenza ufficiale. Entro il 30 giugno il governo deve trasmettere infatti alle Camere la relazione sullo stato di attuazione del piano. A due mesi dalla seconda riunione della Cabina di regia, però, sono emersi solo pochi –per quanto significativi– dettagli dei progetti-pilota.

La novità più rilevante è legata agli strumenti finanziari a supporto del Piano. Una novità che rischia di passare in sordina, in quanto inserita all’interno di un decreto legge ad ampio raggio -per ora sotto forma di bozza- presentato il 24 giugno dal Consiglio dei ministri e dal titolo “Disposizioni urgenti per le infrastrutture e gli investimenti di interesse strategico, per il processo penale e in materia di sport”. Il disegno di legge di conversione del decreto dovrebbe passare all’esame delle Camere a luglio.

L’articolo 10 del provvedimento tratta le “misure urgenti per il sostegno della presenza di imprese italiane nel continente africano e per l’internalizzazione delle imprese italiane”.

Tra queste c’è la riprova che una parte dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo andranno al “Piano Mattei”, a partire dal Fondo rotativo fuori bilancio per la cooperazione allo sviluppo in capo a Cassa depositi e prestiti (Cdp), per un importo iniziale di 404,5 milioni di euro. Questo ammontare sarà prelevato dalle risorse destinate al Fondo per l’indennizzo dei risparmiatori vittime di frodi finanziarie.

“Infrastrutture; tutela dell’ambiente e approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche; salute; agricoltura e sicurezza alimentare; manifatturiero”. Il comma 5 dell’articolo 10, richiamando il decreto legge del 15 novembre 2023 che sanciva la nascita del Piano, mette subito le cose in chiaro sulle priorità di intervento. E la maggior parte di queste hanno poco a che fare con la cooperazione allo sviluppo.

Si parla poi del Fondo 394 per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese gestito da Simest, passata sotto Cdp dopo il rinnovo della struttura di SACE: 200 milioni saranno destinati a “finanziamenti agevolati alle imprese che stabilmente sono presenti, esportano o si approvvigionano nel continente africano, ovvero che sono stabilmente fornitrici delle predette imprese, al fine di sostenerne spese di investimento per il rafforzamento patrimoniale, investimenti digitali, ecologici, nonché produttivi o commerciali”. Nella nota di sintesi discussa durante la seconda riunione della Cabina di regia del “Piano Mattei”, tenutasi il 24 aprile a Palazzo Chigi, si menzionava uno “strumento ad hoc” per “gli investimenti diretti verso interlocutori privati” in corso di valutazione e analisi. Che si tratti di questa nuova veste del Fondo 394?

Arriva poi la conferma ufficiale che le risorse del Fondo italiano per il clima saranno destinate, “anche in parte, a supporto delle finalità e degli obiettivi del Piano Mattei”. Quante? Non è ancora dato saperlo.

Orientamento strategico e priorità di investimento del Fondo italiano per il clima saranno determinate con decreto della presidenza del Consiglio dei ministri. Sarebbe la seconda volta in pochi mesi, e non è una buona notizia. L’ammissibilità dei progetti al Fondo è determinata infatti sulla base della metodologia Rio Markers dell’Ocse, già di per sé molto debole, poiché considera il gas come un combustibile di mitigazione del cambiamento climatico.

Per gli interventi in quota “Piano Mattei”, le funzioni di orientamento strategico, priorità di investimento, politiche di rischio, approvazione delle procedure operative e dei singoli interventi vengono sottratte agli organi del Fondo italiano per il clima, cioè Comitato di indirizzo e Comitato direttivo, per essere assunte da un nuovo Comitato tecnico presso la Struttura di missione del Piano. La domanda sorge spontanea: come si separano gli interventi “altri” supportati dal Fondo italiano per il clima da quelli in quota “Piano Mattei”? Per ambito geografico?

Tra novità e conferme che mancano di trasparenza, queste misure sono l’ennesima conferma che il “Piano Mattei” ha dismesso ben presto i panni dell’approccio “non predatorio” e altro non è che un piano per l’export delle piccole e medie imprese italiane, in affanno dopo la pandemia di Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina, che poggia sulle spalle dei “campioni” industriali italiani. A partire da quelli operanti nel comparto energetico.

Simone Ogno è campaigner di ReCommon

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