Cultura e scienza / Opinioni
Firenze: la trattoria che resiste al “culto del brand”
Elogio di “Sabatino” e ai suoi tavoli dove da sessant’anni si mescolano storie, vite e progetti: senza barriere di censo e di classe
Adoro i crostini di Massimo: quasi più buoni di quelli della (mia) nonna Maria. Ho pranzato, e cenato, tante volte da Sabatino: nel vecchio, mitico pertugio durante gli anni del liceo e dell’università, e poi nella sua più comoda resurrezione. E oggi mi sorprendo a pensare che questa piccola, grande trattoria dell’Oltrarno fiorentino sia uno straordinario luogo politico. Diciamolo nel modo più brutale: Sabatino è aperto indifferentemente ai ricchi e ai poveri. Lo è naturalmente, non per una strategia commerciale. È così perché così era il suo rione quando Sabatino è nato: sessant’anni fa.
Ora, il fatto è che in questi sessant’anni il mondo è cambiato, Firenze è cambiata e anche San Frediano è cambiato: ma Sabatino, da questo punto di vista, invece non è cambiato. E questo ne fa oggi un luogo straordinario, sul piano letteralmente politico: cioè quello della costruzione della polis, della città. Il suo valore -davvero essenziale per la sopravvivenza stessa della democrazia- è l’essere un autentico spazio pubblico, senza cancelli o filtri sociali. Pur essendo una bottega, Sabatino è di fatto un “luogo terzo”: un luogo dove si incontrano cittadini che hanno sempre meno possibilità di incontrarsi altrove.
Negli ultimi trent’anni le città occidentali sono diventate il luogo dove la segregazione in classi sociali imposta dal neoliberismo è più evidente. Il fenomeno estremo delle gated communities, cioè delle comunità chiuse dove vivono milioni di persone, è la punta emersa dell’enorme iceberg della separazione sociale: a un capo troviamo i ghetti, le favelas, le immense periferie in cui sono con nati i poveri, e all’altro capo i condomini, i residence, i parchi, gli interi quartieri o le vere e proprie città dei ricchi, protetti da alte mura e da eserciti privati. Anche in Italia sono ormai una realtà entrambe queste concretizzazioni urbanistiche della disuguaglianza: ma anche dove non ci sono ghetti materiali, il principio che li genera è terribilmente tangibile. Anche a Firenze un ricco che abita a Marignolle e un povero che vive in via Bronzino possono non incontrarsi mai: a impedirlo sono le scuole e le cliniche private del primo, la fine della pratica religiosa, la privatizzazione selvaggia dello spazio pubblico, la mercificazione spinta del patrimonio culturale, la pedonalizzazione della città monumentale non sostenuta da un adeguato trasporto pubblico, la sostituzione delle librerie storiche con ristoranti di lusso e molte altre involuzioni della città e del suo governo. A Firenze, in particolare, questo processo è intensificato dalla messa a reddito della “bellezza”. La “gentrificazione”, cioè l’espulsione dei residenti e la loro sostituzione con ricchi “turisti” stanziali, ha cambiato la faccia di quasi tutto il centro storico, e anche San Frediano è in profonda trasformazione. Le ultime amministrazioni in particolare stanno puntando tutto sulla trasformazione di Firenze in un brand dell’hard luxury.
Ora, cosa potrebbe esserci di più lontano dallo stile di Sabatino? Attorno ai suoi tavoli si mescolano storie, vite e progetti: senza barriere di censo e di classe. Ricchi e poveri, brutti e belli, nobili e miserabili, colti e ignoranti, fiorentini e migranti: incontrandosi di fronte a quei piatti semplici si capisce che non ci si salva da soli, ci si salva continuando a vivere insieme. È per questo che lo spirito di Sabatino non appartiene al passato, ma è un seme di futuro per il mondo che dobbiamo tornare a costruire.
Tomaso Montanari è professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università di Napoli. Da marzo 2017 è presidente di Libertà e Giustizia
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