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Ambiente / Intervista

Fabio Balocco. Il ritorno delle piante libere

Il verde spontaneo -o “verde clandestino”- in città aumenta la biodiversità, è educativo e rende l’ambiente urbano più vivibile e l’aria più respirabile. Per questo va difeso e valorizzato

Tratto da Altreconomia 199 — Dicembre 2017

Hashima è una piccola isola del Sud del Giappone, a una ventina di chilometri dalla costa, ed è completamente disabitata. Ma non è sempre stato così: fino agli anni Settanta era un importante bacino carbonifero: vennero costruiti impianti di lavorazione, condomini, magazzini, un ospedale e una scuola. Dopo la seconda guerra mondiale arrivò a contare una delle più alte densità di popolazione al mondo. Con la diminuzione della domanda globale di carbone, però, gli impianti vennero chiusi e l’isola rapidamente abbandonata dai suoi abitanti. L’ultimo se ne andò nel 1974. Da quel momento, la natura ha lentamente, ma inesorabilmente ripreso possesso di Hashima che, dal 2015, è uno dei siti storici industriali patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

“Hashima ci mostra come sarà la Terra quando l’uomo non ci sarà più. Un’occasione per osservare quello che il giornalista americano Alan Weisman descrive nel suo libro ‘Il mondo senza di noi’”, spiega Fabio Balocco, avvocato e ambientalista, autore del libro “Verde clandestino” (Neos edizioni). “Weisman individua, su base rigorosamente scientifica, i meccanismi con cui la natura riuscirà a recuperare gli spazi che l’uomo ha distrutto, soprattutto durante l’età industriale. Da qui ho iniziato a sviluppare le mie riflessioni sul verde urbano e i suoi spazi”.

Che cos’è il “verde clandestino”?
FB È un termine che comprende i ciuffi di tarassaco che spuntano dalle crepe sul marciapiede, così come i boschi spontanei che si sviluppano nelle vecchie aree industriali abbandonate. In poche parole tutta la natura che cresce in città senza l’intervento dell’uomo.

Quali elementi favoriscono la crescita del verde spontaneo?
FB Contrariamente a ciò che si crede, nell’ambito urbano la varietà di ambienti e le temperature relativamente miti possono favorire la crescita del verde. Inoltre in alcune città, come Torino per esempio, la chiusura di molte fabbriche e vecchie aree industriali ha fornito occasione alla natura di tornare a crescere senza limiti. Poi, purtroppo, queste aree sono state bonificate e molti boschi in città non esistono più.

Ricorda qualcuno in particolare di questi boschi perduti?
FB Un bosco splendido era nato negli anni Ottanta all’interno delle Officine grandi riparazioni delle Ferrovie dello stato. Era nel pieno centro di Torino, a due passi dalle Carceri nuove: un posto bellissimo dove potevi addirittura trovare le fragoline di bosco. Il naturalista torinese Alberto Selvaggi vi rinvenne persino una rarissima felce che cresce solo sulle Alpi Marittime.

Quanto tempo serve per trasformare uno spazio abbandonato in un bosco?
FB Meno di quanto si potrebbe immaginare: possono bastare anche 15-20 anni.

Che rapporto c’è tra gli abitanti delle città e il “verde spontaneo”?
FB In generale il rapporto è pessimo. C’è una scarsa sensibilità in Italia nei confronti di quello che è in un certo senso estraneo o troppo sviluppato rispetto al sentire comune. Il mio lavoro di informazione va nella direzione opposta: mira a far crescere la sensibilità delle persone per il verde spontaneo, per fare in modo che riescano a cogliere la presenza di questa natura -talvolta difficile da cogliere- e valorizzarla.

Queste aree verdi spontanee fanno bene alle nostre città?
FB Sì, più verde c’è, soprattutto in città, meglio è. Il verde spontaneo arricchisce la biodiversità in ambito urbano. È educativo: può anche essere utile a fini didattici per spiegare ai bambini la ricchezza della natura. I piccoli boschi, infine, aiutano a rendere l’aria più salubre e più respirabile.Cancellare queste aree verdi è una perdita per le città. A Torino, ad esempio, hanno lasciato posto a nuovo cemento: centri commerciali o appartamenti. In una città dove ci sono circa 50mila alloggi sfitti, probabilmente sarebbe stato più sensato lasciare vivere questi spazi.

Può citare un esempio positivo di convivenza tra presenza dell’attività umana e verde spontaneo?
FB In Europa uno degli esempi più significativi è il bacino della Ruhr, in Germania, che ospitava estesi complessi industriali abbandonati tra gli anni 70 e 80. Quando si decise di affrontare la situazione, fu avviato un progetto di recupero e valorizzazione della regione, creando un parco paesaggistico dove l’attività umana convive con la presenza della natura spontanea.

Cosa possono fare i cittadini per tutelare questo verde clandestino?
FB Purtroppo, come dicevo, la sensibilità sul tema è molto scarsa, specie fra noi latini: davanti a un’ex area industriale abbandonata la maggior parte delle persone vede il degrado e non la ricchezza di un piccolo bosco con il suo ecosistema. Alcuni casi positivi però ci sono stati, come ad esempio un comitato di cittadini di Brescia che si sono impegnati per tutelare un’area verde a Sanpolino, dove il Comune aveva progettato una nuova cementificazione.

La presenza e la crescita di piante spontanee però può avere anche degli effetti negativi. Ad esempio, la crescita incontrollata di piante allergene come l’ambrosia.
FB La globalizzazione si fa sentire anche nel campo del verde clandestino. Del resto è anche vero che parte della natura che noi vediamo oggi non è autoctona. Pensiamo al castagno o alla robinia. Di sicuro c’è che alcune piante importate di recente -volontariamente o meno- sono dannose (pensiamo ai danni che procura l’ailanto) o riducono gli spazi a quelle autoctone. È una problematica difficile da affrontare e risolvere.

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