Ambiente / Attualità
Legambiente al Governo: orienti le politiche di Eni verso le rinnovabili
L’associazione presenta il rapporto “Enemy of the planet”: l’azienda continua a investire nell’estrazione di idrocarburi dal sottosuolo, lasciando alle energie pulite solo le briciole. Nonostante gli annunci, solo in 15 Paesi sui 71 in cui è attiva sono stati avviati progetti che non riguardano gas o petrolio
Una giornata di mobilitazione internazionale per lanciare un allarme “sulla situazione e i danni ambientali già evidenti e sul pericolo che Eni rappresenta per il Pianeta se non cambierà direzione di marcia”. Legambiente punta con decisione il dito contro la multinazionale degli idrocarburi. E lo fa con un dossier dal titolo “Enemy of the planet. Perché Eni ci riguarda e rischia di diventare sempre più un nemico del pianeta” presentato giovedì 26 luglio a Polignano a Mare. “Oggi Eni appare totalmente proiettata verso un futuro di espansione delle estrazioni di petrolio e gas, con molti annunci e poche azioni concrete di investimento nelle fonti pulite -spiega il direttore di Legambiente, Stefano Ciafani-. È un’azienda a prevalente capitale pubblico, per questo motivo chiediamo al Governo e nello specifico al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, di indirizzare le politiche dell’azienda verso le energie rinnovabili”.
Il report fotografa i risultati ottenuti da Eni nel corso dell’ultimo anno: 1.815 barili di idrocarburi mossi ogni giorno (+ 3,2% rispetto al 2016), con previsioni di crescita del 4% per il 2018. Un ulteriore espansione del patrimonio esplorativo: con 97mila chilometri quadrati di nuove superfici distribuite tra Kazakstan, Oman, Cipro, Costa d’Avorio, Marocco e Messico. In crescita anche gli investimenti: 442 milioni di euro, di cui 83 milioni in Ricerca e sviluppo per il settore Esplorazione e produzione (contro i 62 milioni del 2016).
“Oggi Eni appare tutta proiettata verso un futuro di espansione delle estrazioni di petrolio e gas, lasciando solo le briciole degli investimenti alle fonti pulite”, scrive Legambiente nel rapporto. Sottolineando come “persino analisti e operatori finanziari, tradizionalmente meno attenti alle questioni ambientali, lanciano da qualche tempo un avvertimento alla platea di portatori di interesse circa la redditività di imprese incapaci di diversificare rispetto a una strategia industriale imperniata sul fossile”. Il tutto in un momento storico in cui la lotta ai cambiamenti climatici ha assunto un ruolo di primo piano anche a seguito della sottoscrizione degli Accordi di Parigi del 2015.
Gli annunciati investimenti sulle fonti rinnovabili sono rimasti al palo. Eni opera in 71 Paesi, ma solo in 15 la multinazionale ha iniziato o concluso la realizzazione di progetti da fonti rinnovabili, realizzando solo il 10% del piano quadriennale annunciato. In Italia, invece, si sta lavorando su 14 progetti previsti entro il 2022 per una capacità complessiva di circa 220 MW di solare. Ma l’unico impianto fotovoltaico entrato in esercizio è a oggi quello a inseguimento solare di Ferrera Erbognone (Pavia), presso il Green Data Center di ENI 2.968 moduli per 1 MW di potenza complessiva. “Il solo Comune di Bologna ha installato sui tetti degli edifici pubblici pannelli solari per 18,4 MW -sottolinea Ciafani-. Lo scorso febbraio è stato bocciato il progetto per il raddoppio della piattaforma petrolifera di Vega, di fronte alle coste siciliane. Chiediamo che Eni utilizzi le risorse stanziate per quel progetto e li investa in progetti sulle energie rinnovabili in Sicilia”.
Diverse associazioni ambientaliste (CAN Eurrope, Coordinating Committee for International Voluntary Service, Green Istria, Climanet, NGO Green Home Montenegro, ODI, Plataforma Algarve Livre De Petróleo, Alliance of European Voluntary Service Organisations, Worldwide Friends Iceland) si sono unite a Legambiente nella realizzazione del dossier e nel chiedere al governo italiano un intervento di indirizzo sull’attività di Eni. In diversi Paesi -europei e non- la multinazionale degli idrocarburi è infatti oggetto di proteste da parte della popolazione. In Portogallo, ad esempio, si registrano proteste per le intenzioni di Eni e dell’azienda portoghese Galp di avviare attività di ricerca ed estrazione nell’Algarve, una delle regioni più belle e turistiche del Paese. Dal 2016 anche diverse associazioni montenegrine protestano contro Eni, la russa Novatek e il governo locale per la concessione a 30 anni di un’area di 1.228 chilometri quadrati per la ricerca ed estrazione di idrocarburi.
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