Energia e tessile all’assemblea dei Gas
Ce n’è uno a Verona che sta aprendo un bar per riacquistare, con i ricavi, il terreno di un fornitore di ortaggi espropriato a causa di una speculazione edilizia. Ce n’è uno in Trentino che ha organizzato un acquisto collettivo e solidale di 17 tonnellate di passata di pomodoro biologica. Ce ne sono tre in Emilia che, assieme, anticipano in Aprile i BOM, Buoni d’Ordine Mele, a un piccolo produttore biologico il quale, in cambio, consegnerà, da Luglio in poi, pacchetti di mele e pere.
Storie dall’economato delle Dame di San Vincenzo? No, storie dal Sesto Convegno Nazionale dei Gruppi di Acquisto Solidale tenutosi il 13 e 14 Maggio a Cesena, all’Ecoistituto delle Tecnologie Appropriate.
di Camilla Lattanzi
Sono arrivate ottanta persone: alcune in camper, altre in bicicletta, molte in automobile. Svariate le targhe: dalle Marche al Trentino, dal Piemonte al Lazio, ma anche Toscana, Liguria, Lombardia erano ben rappresentate. Il nord ha la meglio sul sud, anche a causa delle distanze, ma, ci avvertono, ormai l’unica regione senza un Gas registrato nel sito della rete nazionale, è la Sardegna.
GRANDI NUMERI: OPPORTUNITA’ O CONFLITTO?
Quest’anno il convegno ha come titolo: l’economia solidale dalla filiera locale ai “grandi numeri”. E’ possibile fare i grandi numeri rimanendo piccoli? E’ possibile diventare un “consumatore collettivo” per trattare beni e servizi come il tessile e l’energia, per i quali è necessaria una notevole forza numerica, senza tuttavia perdere l’attenzione alle relazioni, la rete orizzontale, la partecipazione? La conformazione reticolare potrà reggere trattative così delicate senza finire per burocratizzarsi, gerarchizzarsi e scadere in quel meccanismo di delega che spesso porta a perdere la propria anima com’è successo alle Coop? La risposta che gli organizzatori propongono è “si può”. La ricetta consiste nel chiarire bene fin dal principio gli aspetti economici e organizzativi. Come si formano i prezzi? Come si utilizzano i ricavi? Quali i criteri della spartizione degli utili? Qual è il modello di sviluppo al quale stiamo contribuendo? Ma sarà possibile mettere queste carte in tavola con modalità trasparenti con soggetti così tanto potenti?
Fino a oggi l’interlocutore dei Gas è stato un compagno di strada: un piccolo produttore di frutta, vino o formaggio. Lo si andava a trovare e in poche ore si sapeva tutto di lui. Si decidevano assieme le caratteristiche del prodotto, si trattava il prezzo, si personalizzavano le consegne, si parlava di finanza etica con la forza di persuasione di chi persegue obiettivi comuni. Oggi gli interlocutori cambiano, sono aziende più grandi, che operano in settori complessi come quello del tessile, con le sue delocalizzazioni, o lo sfuggente e immateriale mercato dell’energia. Arriva una provocazione: “sono tre anni che ci interroghiamo sui grandi numeri. Nel frattempo tutti noi abbiamo speso soldi in bollette, telefoni, elettricità e vestiti. Perché ancora dopo tre anni non si parte?”. Si alza una ragazza: “Basta parlare dei grandi numeri! E’ legittimo provarci, ma, se dopo tre anni non siamo arrivati a niente diciamocelo, e chiudiamola qui. Ci sono tante altre cose di cui parlare”. Mugugni e brusii. La dimensione dei “grandi numeri” non è certo quella ideale per un “gassista”. Termina così la prima parte del convegno, con una piacevole pausa-caffè, a base di latte di capra biologico, caffè d’orzo e panna cotta di pecora, serviti in giardino tra gli alberi da frutto con tanto di cartello. “Bella questa fattoria didattica!”, “Non sapevo che esistesse, ci porterò i miei allievi”.
SOTTOGRUPPO ENERGIA! Tutti in aula! Si comincia!
Gli stessi soggetti che hanno lottato e lottano contro la liberalizzazione di beni fondamentali come la scuola, l’acqua e l’energia, sono in cerchio in una stanza, “a tavola col nemico”, con chi su questa liberalizzazione ha lucrato e intende, legittimato dalle nuove regole, continuare a farlo. Tra contraddizioni e contaminazioni i Gas gettano il cuore oltre l’ostacolo e discutono la violazione di un tabù: un possibile accordo con un fornitore di energia. Il caso de Laduecentoventi è controverso: si tratta di una società per azioni a gestione familiare che si appresta a competere sul mercato per quella parte di distribuzione energetica che verrà definitivamente liberalizzata nel 2007. Tratta ogni tipo di energia: sia la fossile sia la rinnovabile, ma ha deciso di spingere molto sull’immagine ambientalista, strizzando l’occhio a quella fetta di mercato che pensa all’ambiente oltreché alle proprie tasche. La proposta che ha ottenuto l’attenzione del popolo gassista è il contratto “verde”, un impulso all’acquisto di energie rinnovabili che, se avesse la preferenza dei consumatori, potrebbe oggettivamente attenuare l’abuso delle energie da fonti fossili. Ma l’azienda non ha fatto una scelta politica ambientalista, e propone anche, a chi guarda solo al prezzo, un contratto che include le energie da fonti fossili, particolarmente a buon mercato: il contratto “giallo”.
Altro aspetto controverso è l’accordo che la220 ha stipulato con Legambiente: l’associazione ha ottenuto in cambio un ritorno pubblicitario interessante e tre settimane di energia elettrica gratuita all’anno per i suoi tesserati, e la220 ha notevolmente migliorato la sua immagine nel mondo delle alternative sostenibili. L’impresa non ha perso un colpo per accreditarsi tra gli ambientalisti: sponsor ed espositore nell’edizione del 2006 della fiera delle buone pratiche “Fa la cosa giusta” di Milano in Marzo, espositore a TerraFutura a Firenze in Aprile, da mesi assedia media come Il Manifesto, Altreconomia, Carta e il network di Radiopopolare con la sua martellante pubblicità. Come prassi vuole, i gassisti interrogano l’azienda in questione con la stessa disinvoltura con la quale interrogano il piccolo coltivatore di mele.
La220 ha mandato il direttore marketing, una persona informale, piacevole, che arriva con la moglie, un’auto di grossa cilindrata e un videoproiettore con una presentazione su software proprietario. E’ una presentazione che strizza l’occhio alle sensibilità ambientaliste. Non per questo i gas si lasciano intimidire e non abdicano al loro spirito indagatore: chi sarebbe questo Zanardelli, il proprietario? Come ha fatto i soldi? Come investe gli utili? Chi decide in azienda? Quanto ha speso in pubblicità? Chi ci lavora e in quali condizioni? Cosa ha avuto Legambiente in cambio al suo appoggio? Domande molto puntuali, senza alcun imbarazzo. Il manager risponde, ma a volte svia, cambia discorso, e finisce per apparire reticente. Si scopre che Zanardelli è il capo, che deve le sue fortune alla liberalizzazione del settore energetico, quando si formarono i primi “consorzi per l’energia”. Alcuni hanno perso un sacco di soldi con quelle operazioni. Zanardelli ha guadagnato. Al punto da organizzarsi per competere con Enel. 300.000 Euro di capitale sociale versato, 150.000 Euro l’anno in pubblicità, spesi in emittenti radiofoniche locali e piccole testate. Quindici dipendenti che, dopo un periodo di prova, sono o saranno assunti a tempo indeterminato. Ma i due presenti sono un lavoratore “autonomo” e una precaria. L’autonomo è il direttore marketing, e confessa di essere pagato anche in stock-options, come gli altri dipendenti. Si bisbiglia in sala: puntano già a quotarsi in borsa? E sempre il direttore dice che la precaria verrà assunta “dopo che si sarà laureata”. Altri bisbigli in sala.
Contaminare una realtà del genere appare arduo. E’ il momento di un video. La storia di Schonau, comune tedesco nel quale i cittadini hanno democraticamente scelto di rilevare la propria rete elettrica e oggi gestiscono la propria fornitura energetica. Entusiasmo generale: l’orizzonte è Schonau. Ma ora? Da dove cominciare? Gli organizzatori propongono di cominciare proprio da La220. Prima di tutto come atto di coerenza: è vero o no che ogni singolo gassista ha già prenotato l’energia pulita proposta da la220 o ci sta pensando? I convenuti ammettono. Dopo varie perplessità si arriva a condividere l’idea di una “bozza di accordo” riservato ai gassisti: contratto “verde”, uno sconto interessante (tre settimane gratuite o giù di lì), e un fondo di solidarietà che verrà creato anche in ragione dei “numeri”. Servirà per finanziare l’organizzazione di tutte quelle iniziative locali che i Gas, anche attraverso la discussione sull’accordo, dedicheranno all’attuabilità di progetti di “autonomia energetica”. Si potranno rimborsare consulenti prestigiosi, invitare personaggi di livello mondiale. E domani il fondo potrebbe anche sancire il divorzio dal fornitore di oggi. Per questo è importante che sia totalmente autogestito. Adesso si torna a casa, e ci si pensa sopra. Un punto irrisolto resta l’accesso a questo accordo: solo attraverso gli iscritti della lista dei Gas o aperto a tutti? A Ottobre si andrà a deliberare. Firenze si candida. Il tempo non manca per continuare a interrogarsi e capire se questo pezzo di strada, assieme a un soggetto così diverso, è percorribile.-
LA VOGLIA DI… VESTIRSI MEGLIO. SOTTOGRUPPO “TESSILE”
Maglie, camicie, pantaloni ma anche tovaglie, lenzuola e biancheria intima: la frontiera del tessile offre un campionario ricco di possibilità. Ma per arrivare ad acquisti collettivi va compiuto un percorso zeppo di trappole. Un gruppo di gassisti genovesi ha studiato la problematica e propone ai convegnisti di valutare insieme se e come proseguire nell’attuazione del progetto-tessile. Deborah Bonetti, di Fair, compie una ricognizione a tutto campo sulla filiera del cotone, a mo’ di esempio, e mette in luce distorsioni, ingiustizie, sfruttamento: parla di delocalizzazione, dell’inquinamento causato dalle coltivazioni di cotone, del dumping praticato da alcuni paesi del nord del mondo (con l’aggiunta di qualche gigante del sud), delle grandi case dell’abbigliamento che gestiscono solo i marchi e dei mediatori che organizzano la produzione decentrata (la materia prima in un paese, le cerniere in un altro, le guarnizioni in metallo in un altro ancora, e poi la colorazione, la tessitura e così via, in un incredibile giro del mondo).
Un questionario sottoposto sotto forma di gioco, coi partecipanti invitati a raggrupparsi in punti diversi della stanza a secondo della risposta (da una parte i no, dall’altra i sì, in mezzo gli incerti), permette di capire che nel mondo dei gas c’è ancora bisogno di molta informazione sulle caratteristiche della filiera tessile. La Guida al vestire critico è uscita da poco e non sono in molti a conoscerla… “Col cibo-¬ esemplifica qualcuno- è molto più facile. E comunque anche per ‘digerire’ la Guida al consumo critico c’è voluto un bel po’…”
Si prosegue con la presentazione di tre progetti. Il primo è di Raggio Verde, la cooperativa piemontese che da tempo importa e vende t-shirt equo-solidali e ora propone maglieria che combina la materia prima equo-solidale (da India e Perù) con la lavorazione in alcune piccole aziende biellesi, finite nei guai a causa della massiccia delocalizzazione degli anni scorsi. Raggio Verde vende già le nuove maglie in alcune botteghe e attraverso Internet: per i gas è un’opportunità da cogliere. Un piccolo imprenditore novarese illustra invece un’idea: vorrebbe associarsi con altri piccoli produttori come lui, oggi costretti a lavorare in conto terzi per grandi case, e produrre biancheria intima con cotone biologico. Per avviare il progetto ci vorrebbe un nuovo mercato: i gas italiani sono disposti a sostenere il progetto? Fair, infine, parla della filiera eco-equa creata da alcune piccole aziende in India: vendono soprattutto accessori per la casa (coperte, lenzuola, asciugamani etc). Il monitoraggio compiuto direttamente e la valutazione positiva della campagna Abiti puliti offrono le massime garanzie: volendo, si potrebbero già inviare degli ordini, a patto di mettere insieme ¬ anche qui ¬ dei “grandi numeri”.
Rispetto a qualche anno fa, quando non era neanche possibile immaginare una filiera tessile alternativa, sono stati compiuti grandi progressi. Ma i consumatori sono pronti? Il responso dei gassisti è interlocutorio. Il progetto desta interesse ma per arrivare a un impegno diretto ,¬cioè un numero consistente di ordini, ¬ occorrono almeno due cose: informazione-formazione dei gassisti e un serio approfondimento degli aspetti organizzativi. Intanto il gruppo genovese sta mettendo a punto un modulo d’ordine simulato: arriverà per e-mail ai gas iscritti alla rete e servirà a tastare il polso, per valutare se una “massa critica” esiste davvero. Anche di questo, come dell’energia, si riparlerà in autunno, con riunione ad hoc. Vestiremo, un giorno, alla moda dei gas?