Cultura e scienza / Intervista
Eliseo Bruno Niemen. La cura dei burattini
Da quasi trent’anni, grazie alle storiche marionette di legno della tradizione piemontese, aiuta bambini e ragazzi a superare le proprie paure
Aprilia, provincia di Latina, 1989. Lorenzo ha sei anni, sa scrivere, parlare, ragionare, muoversi e giocare come tutti i suoi coetanei. Ma davanti agli estranei si blocca e a scuola, da dieci mesi, è muto: non parla con i compagni e non risponde agli insegnanti. La sua non è una malattia, ma uno stato emotivo di forte ansia che si manifesta con l’atteggiamento del “mutismo selettivo”, nei contesti sociali più ansiogeni: la scuola, per esempio. Ed è lì, che Eliseo Bruno Niemen, ultimo erede, insieme alla sorella maggiore Giuliana, della dinastia che da sette generazioni porta avanti la tradizione del Gran Teatro dei Burattini del Piemonte, sente parlare di lui, e decide di provare ad aiutare il bambino con l’unica “cura” che conosce, l’arte del teatro dei burattini. Ne nasce uno dei primi esempi riusciti di puppets therapy in Italia, che oggi ha fatto qualche progresso, ma ancora stenta ad affermarsi.
Signor Niemen, come andò questo primo esperimento di puppets therapy?
EBN Eravamo in questa scuola di Aprilia a fare degli spettacoli, e ho sentito parlare di questo bambino. I genitori dicevano che quando era in camera da solo Lorenzo parlava, e da lì siamo partiti, senza sapere come sarebbe andata. Dopo avergli regalato un burattino da dito, l’abbiamo fatto incontrare con il mio Gianduja, la maschera più popolare del Gran Teatro dei Burattini Niemen, e pian piano si è sbloccato. Abbiamo dovuto parlare parecchio, ma con l’argomento giusto, è arrivata la prima risposta.
Come spiega la ragione di questo successo?
EBN Sta nella natura stessa del teatro dei burattini, che non è solo spettacolo, ma molto di più: è forma espressiva ed esperienza terapeutica. Ci siamo accorti che fiaba più burattino è uguale a messaggio recepito. Bambini e ragazzi si identificano nel personaggio e per interposta persona riescono a tirare fuori tutto quello che non hanno il coraggio di dire. Nel momento in cui possono “delegare” i loro pensieri a qualcosa di esterno, si sentono protetti e quindi liberi di affermare e rispondere. E così un semplice burattino di legno può diventare un potentissimo tramite tra bambini e genitori o bambini e insegnanti.
Lo scrittore francese Daniel Pennac sostiene che per rendere la scuola davvero inclusiva, servono esperienze collettive, che abbiano un ruolo per tutti: dal timido all’estroverso. Che ne pensa?
EBN Sono assolutamente d’accordo. Lorenzo, come molti altri casi, lo hanno dimostrato. Lì, ad Aprilia, per noi è stata la prima volta ed è andata bene. Ma solo anni dopo ci siamo resi conto di quello che avevamo fatto e di quello che ancora si può e si deve fare: sfruttare il potere dei burattini a scuola e in tutti i contesti collettivi, sociali e di comunità, anche al di là del mutismo selettivo o problematiche particolari. Non può fare che bene. In Inghilterra sono trent’anni che studiano la puppets therapy, in Italia si comincia a malapena adesso.
“Nel momento in cui possono delegare i loro pensieri a qualcosa di esterno, si sentono protetti e quindi liberi di affermare e rispondere. Un semplice burattino di legno può diventare un tramite tra bambini e genitori o bambini e insegnanti”
Voi come portate in giro questa idea?
EBN Lavoriamo molto con le scuole, dove facciamo spettacoli, per alunni, insegnanti e famiglie, ma sempre legati alla nostra mostra “Il nostro antico popolo di legno”, con materiali originali (150 burattini di legno originali dell’Ottocento, una cinquantina di fondali, sipari, manifesti e vecchie fotografie, 40/50 copioni originali dal 1963 al 1920, vari pezzi di burattini che non sono mai stati finiti o sono rotti, accessori vari, patrimonio Unesco), e a laboratori di costruzione di burattini e tutto quello che serve per portarli in scena. L’anno scorso si è concluso il primo grande progetto “Teste di legno. Teste ben fatte” con le scuole di Vercelli, finanziato da Ovest Sesia, l’ente che gestisce opere di irrigazione in Piemonte e Lombardia, e legato all’acqua, al Canale Cavour, ai mulini e ai sistemi di irrigazione in generale. Ne sono nati sette episodi di spettacoli coi burattini con l’acqua, che hanno coinvolto 1.100 bambini e ragazzi di tutte le età, grazie a insegnanti meravigliosi, che hanno capito il valore didattico e umano della nostra proposta. Un’insegnante in pensione da tre anni ha avuto carta bianca dalla preside e insieme al marito ha realizzato a mano un teatro di tre metri per quattro, per portare in scena le storie. Io gli ho fatto vedere come doveva essere, con i fondali, le tende e tutto il resto, e loro l’hanno costruito. Ora il progetto andrà avanti, il tema questa volta sarà la foresta.
I burattini fanno presa anche sui ragazzi più grandi?
EBN Eccome. Sono talmente vecchi da essere una cosa nuova e diversa da tutto quello a cui sono abituati. Un’insegnante ci ha detto di essere rimasta stupita nel vedere ragazzi a scuola incontenibili, completamente rapiti davanti ai nostri spettacoli.
Anche lei fu da giovane fu rapito dai burattini?
EBN Per me erano di famiglia, ma a 18 anni sono partito per fare il giro dell’Europa in autostop e me ne sono portato dietro uno. Quando non conoscevo la lingua facevo gesticolare lui, che suscitava empatia e simpatia, alla fine ci si capiva.
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