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Opinioni

È tempo per i bilanci

In vista delle elezioni del 2013, chiediamo ai candidati di inserire nei loro programmi il “bilancio di genere”: uno strumento che misura le conseguenze delle scelte politiche su uomini e donne _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 142 — Ottobre 2012

Secondo una recente ricerca della Fondazione Bellisario, senza applicazione delle “quote rosa” e altri interventi legislativi che le favoriscano, le donne italiane ci metteranno più di 50 anni a raggiungere la parità. Consapevoli del fatto che nel 2013 non sarà facile convincere tutte le donne italiane a votare una donna, in modo da raggiungere la parità almeno in parlamento, è necessario chiedersi quali sono gli strumenti che possano contribuire a velocizzare il processo verso una democrazia e una economia paritarie.
Uno strumento che si è dimostrato efficace è il bilancio di genere. Ne aveva parlato sulle pagine di Ae nel giugno del 2010 Federica Seneghini: il bilancio di genere è uno strumento di supporto alle scelte pubbliche che consente di analizzare come le decisioni di investimento e di spesa agiscano in modo diverso su uomini e donne.
Non è un bilancio separato, ma un cambiamento radicale nella compilazione del bilancio ordinario, che deve e vuole tenere in considerazione le differenze sociali ed economiche tra uomini e donne. La divisione cosi netta dei compiti che permea la nostra società tende ad occultare gli effetti veri delle politiche. Spesso, infatti, la mancata considerazione di queste differenze porta a computare come risparmi o benefici per tutti, decisioni di spesa che invece penalizzano notevolmente soprattutto le donne.
Sebbene nel 1995 le Nazioni Unite abbiano lanciato un appello a tutti i membri affinché si incrementasse l’uso di tutti gli strumenti che consentano di evidenziare le differenze di genere, il cosiddetto gender mainstreaming, le amministrazioni italiane sono ancora molto lente.
Nonostante l’accelerazione riguardo al tema avvenuta nel 2009 (anno nel quale un decreto dell’allora ministro Renato Brunetta stabilì che il bilancio di genere fosse tra i documenti che le amministrazioni locali dovrebbero produrre), ad oggi, secondo le rilevazioni della Università la Sapienza di Roma, le amministrazioni locali che hanno pubblicato un bilancio di genere sono poche. Sei Regioni, 27 Provincie e 24 Comuni.
È fondamentale che per le elezioni del 2013 si chieda insistentemente un’accelerazione riguardo al gender mainstreaming, non solo per il bene delle donne, ma per il bene della nostra società in generale. Non è pensabile tentare di uscire dalla crisi continuando ad ignorare i bisogni, le necessità anche delle donne e soprattutto non si può pensare di attuare politiche di welfare che continuino ad incrementare il lavoro non pagato delle donne del nostro Paese. Lavoro che, senza bilancio di genere, non viene minimamente considerato nelle scelte di politica economica.
È fondamentale che le amministrazioni tutte siano obbligate a riflettere su alcuni aspetti che spesso vengono ignorati. È ovvio che tagliare il tempo pieno nelle scuole elementari, o non incrementarlo, consentirebbe un risparmio notevole per le casse dello Stato; ma sulle spalle di chi? Ridurre i tempi di degenza riduce notevolmente il costo per la sanità, ma chi dedica tempo e risorse a prendersi cura oltre che accompagnare le persone dimesse alle visite di controllo che non vengono più effettuate prima delle dimissioni?
L’uso del tempo è centrale nelle metodologie sviluppate nell’ambito delle esperienze internazionali sui bilanci di genere, metodologie che consentono di evidenziare come la spesa pubblica agisca sull’uso del tempo dei membri della famiglia, e di conseguenza come sia possibile valutare in termini economici gli effetti sul tempo a disposizione delle persone. In un Paese come il nostro dove l’uso del tempo è cosi diverso tra uomini e donne il bilancio di genere consentirebbe alle amministrazioni scelte più oculate e soprattutto economicamente più efficienti.
Pretendere il bilancio di genere come strumento di politica nazionale è importante, con l’obiettivo primario di mettere in luce quelle che sono gli “inganni” in cui ci trae un sistema pensato al maschile.
Consentirebbe ad esempio di verificare come quelle che vengono definite “donne inattive“ in realtà non lo sono affatto. Si potrebbero fare scelte di investimento in infrastrutture che tengano conto che investire in infrastrutture fisiche ha un effetto diretto sull’occupazione maschile, mentre investire in produzione di infrastrutture sociali ha sia un effetto diretto sia uno indiretto sull’occupazione femminile.
Il bilancio di genere consentirebbe di avere i dati e gli elementi necessari per chiedersi con onestà intellettuale quale dei due investimenti abbia un maggiore impatto di lungo periodo anche per l’uscita dalla crisi del nostro Paese. —
 

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