Deporre al processo per la Diaz
Quanto dura un pestaggio? Può essere preciso? Pochi secondi, alcuni secondi o forse un minuto? E può escludere, lei che si trovava al pianterreno, che al primo piano ci fossero membri del “black bloc”? O che fossero al secondo? O che fossero fuggiti passando da un’uscita laterale? E ancora: dal punto dov’era seduto e dal quale non poteva vedere l’ingresso della scuola, ha per caso visto se il portone è stato chiuso? O forse ha partecipato alla chiusura dello stesso? E ha mica visto chiudere anche il cancello esterno?
Sembra uno scherzo ma sono le domande cui mi è toccato rispondere nella parte finale di una deposizione durata tre ore. Avrei voluto replicare che il pestaggio dura sempre troppo e comunque il tempo necessario a procurare ferite ben documentate da foto e referti medici; che non si può escludere niente, nemmeno che ai piani superiori ci fosse un’orchestrina jazz o lo stesso avvocato che ha fatto le domande; che da fermi è difficile partecipare all’apertura di un portone che nemmeno si vede. Avrei voluto rispondere così ma non l’ho fatto, perché l’aula magna del tribunale di Genova e il processo per l’irruzione alla scuola Diaz del 21 luglio 2001 sono cosa troppo seria, per quanto poco interessante, almeno a giudicare dal silenzio quasi assoluto osservato dai media.
Lorenzo Guadagnucci, 17 novembre 2005
Gli avvocati dgeli imputati fanno il loro mestiere: cercano contraddizioni nel racconto dei testimoni, tentano di metterli in difficoltà, scavano nei vuoti di memoria, insomma s’impegnano per portare acqua al mulino degli imputati. Finora, dopo le prime deposizioni (ha cominciato Lena la settimana
scorsa), il loro bottino è piuttosto magro, nonostante un atteggiamento aggressivo e a volte sprezzante, con risatine e ammiccamenti durante il racconto delle violenze. Il contro interrogatorio di Lena, raccontava Haidi Giuliani che l’ha seguito, riportava alla memoria i vecchi processi per stupro, con le donne colpevolizzate e quasi accusate di essere andate in cerca di guai.
Dai primi racconti ascoltati in tribunale emerge già nitidamente l’incubo di una notte di violenze insensate e una gestione successiva al blitz che non manca di risvolti comici, come il fatto che mi è toccato sapere il motivo del mio arresto (associazione a delinquere finalizzata a devastazione e saccheggio) ben 36 ore dopo il pestaggio e non da un poliziotto o da un magistrato, ma da una copia del Corriere della Sera passatami di soppiatto dall’agente che mi piantonava in ospedale…
Il processo prosegue e per alcune udienze avranno spazio i racconti del pestaggio. Al momento gli sforzi della difesa – che non riesce proprio a mettere in dubbio la brutalità e l’inutilità delle violenze – sono tesi a “dimostrare” che ci fu resistenza alla perquisizione e che dentro la scuola Diaz c’erano, o meglio c’erano stati dei membri del black bloc, fuggiti all’ultimo istante da un’uscita secondaria. La resistenza, a quanto pare di capire, consisterebbe nel fatto che qualcuno, vedendo arrivare decine di agenti, pensò di chiudere cancello e portone; la fuga delle “tute nere” proverebbe che la scuola Diaz era comunque un covo di teppisti. Sul piano giudiziario le due ipotesi sono naturalmente debolissime. Chiudere il cancello e la porta del luogo in cui si dimora non è certo un reato e semmai dovremmo chiedere alla polizia perché non ha bussato né dichiarato di eseguire una perquisizione. Quanto alle “tute nere”, se davvero c’erano e sono fuggite, sarebbe stato meglio inseguirle anziché pestare e arrestare senza motivo, addirittura con prove false, le persone rimaste al loro posto.
Il “bello” comunque deve ancora venire: l’esito del processo si giocherà sul ruolo avuto dai dirigenti di grado più alto presenti nel cortile della scuola durante il blitz. Questi imputati diranno probabilmente che erano lì ma senza un ruolo gerarchico definito e che quindi non potevano intervenire, e aggiungeranno che sono stati ingannati da qualche agente “traditore” che ha portato due bombe molotov dentro la scuola dichiarando invece di averle trovate su un tavolino vicino all’ingresso. Non è granché, anche sul piano etico e professionale, come linea difensiva, ma ne sapremo di più fra qualche mese. Intanto dobbiamo guardare alla Francia per sapere come un paese più o meno normale affronterebbe un caso come il blitz alla Diaz. Il ministro degli interni francese nei giorni scorsi ha immediatamente sospeso – in attesa di un’ichiesta della magistratura – un gruppo di agenti accusati di avere picchiato senza ragione alcuni dimostranti delle banlieus. Da noi, i massimi dirigenti imputati per la notte dei manganelli sono stati tutti promossi e il ministro degli interni ha più volte dichiarato che non hanno nulla da temere sul piano disciplinare fino a un’eventuale condanna passata in giudicato. A quel punto, fra qualche anno, male che vada una prescrizione li salverà.
Lorenzo Guadagnucci
17 novembre 2005