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Da edicole ad autogrill – Ae 90

I rivenditori di giornali delle principali stazioni dei treni nel mirino di Benetton e soci Se state comprando il giornale in attesa di prendere il treno, soffermatevi un attimo sull’edicola. In un futuro non troppo lontano potrebbe somigliare a un…

Tratto da Altreconomia 90 — Gennaio 2008

I rivenditori di giornali delle principali stazioni dei treni nel mirino di Benetton e soci


Se state comprando il giornale in attesa di prendere il treno, soffermatevi un attimo sull’edicola. In un futuro non troppo lontano potrebbe somigliare a un autogrill: commessi in divisa, prodotti di ogni tipo, orari totalizzanti.

Il progetto è firmato Grandi stazioni, la società del gruppo Ferrovie dello Stato incaricata di riqualificare e gestire le 13 stazioni più importanti della rete ferroviaria italiana (vedi box). Per controllare le edicole -una quarantina, fatturano quasi 50 milioni di euro all’anno- degli scali ferroviari, è stata creata nel 2003 una società ad hoc. Si chiama Grandi stazioni edicole (Gse) e agli attuali edicolanti offre un contratto di “associazione in partecipazione”: tutte le licenze dovranno passare a Gse in cambio del 9 per cento netto sul fatturato.

C’è scritto nella bozza di contratto che mi mostra Maurizio Aiello, seduti nel soppalco della sua edicola, nell’atrio di Bologna Centrale: “Sono condizioni inaccettabili -spiega-: oggi il margine di guadagno su quotidiani e periodici è, per legge, del 18,6 per cento. In più i dipendenti restano a nostro carico e ci impongono di restare aperti 16 ore al giorno per 365 giorni all’anno.

Dovremo anche indossare un uniforme di Gs e non avremo le chiavi delle nostre edicole: saremo dei dipendenti ma senza uno stipendio fisso, e in ogni momento la società può decidere di spostare o di chiudere la nostra attività perché non è redditizia”. Da quel 9 per cento (90 mila euro su un fatturato di un milione di euro) va scalato poi il costo dei dipendenti -a Maurizio due a tempo indeterminato costano 40 mila euro l’anno-, l’assicurazione e l’installazione di un sistema di video sorveglianza.



Grandi stazioni edicole vuole creare tredici società di scopo, accorpando tutte le edicole di ogni stazione. Il 9 per cento verrà calcolato sulla somma dei guadagni delle singole edicole e poi diviso in parti uguali. A Bologna ce ne sono tre, ad esempio: concorreranno in modo diverso alla “formazione del reddito” ma, alla fine, ricaveranno tutte lo stesso. Non importa se chi ha un fatturato maggiore occupa una persona in più. “È un invito -spiega Aiello- a ridurre le spese per il personale. A una gestione familiare: marito e moglie, al più un figlio, tutti soci. Un ‘regime’ che rende impossibile tenere aperto 365 giorni all’anno, come vuole il contratto di ‘associazione in partecipazione’, per cui servono dipendenti”.  



Le edicole delle 13 Grandi stazioni sono un piatto ricco: secondo il consorzio Edicolanti ferrovie e affini (Efa), che oggi le associa, distribuiscono il 6 per cento di quotidiani e periodici italiani. Un mercato sicuro di pendolari e viaggiatori occasionali che Grandi stazioni edicole vuole controllare con cura: il contratto specifica che sarà un dipendente dell’azienda, e non gli edicolanti, a disporre quotidiani e periodici nei negozi. Un po’ troppo per una società i cui azionisti sono anche editori. Il 40 per cento delle azioni se lo dividono infatti Edizione Holding (gruppo Benetton), Vianini Lavori (gruppo Caltagirone), Pirelli & C. (gruppo Pirelli), tutte al 10,57 per cento, e Société Nationale des Chemins de Fer (le ferrovie francesi), con l’0,62. Francesco Gaetano Caltagirone, uno dei maggiori editori italiani, siede addirittura in consiglio d’amministrazione: secondo la relazione 2007 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) il gruppo Caltagirone controlla il 10,63 per cento del mercato italiano dei quotidiani e possiede Il Gazzettino, Il Mattino, Il Messaggero nonché il “free press” Leggo.

Attraverso la Edizione Holding, invece, il gruppo Benetton controlla il 5 per cento del gruppo Rizzoli (Rcs Mediagruops vende il 19 per cento dei quotidiani -pubblica il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport ma anche il “free press” City- e tra i settimanali possiede Anna, Amica, Oggi, Visto) e il 25,9 per cento de Il Gazzettino.                  



Oggi Grandi stazioni ha il coltello dalla parte del manico: può permettersi di sfrattare i gestori che dal 1998, dal fallimento della cooperativa Co.Ve.S. che riuniva quasi tutti gli edicolanti delle stazioni, non hanno più avuto in mano un contratto di locazione. Anche se hanno acquistato le licenze dal curatore fallimentare e, dal 1999, pagano regolarmente un “affitto” che l’azienda del gruppo Fs fattura sempre e con tre mesi d’anticipo (secondo Grandi stazioni è solo un’“indennità di occupazione”). “Il canone -spiega Aiello- è del 3,6 per cento del fatturato”. Lui paga 1.800 euro per metro quadro all’anno: 3 mila euro al mese per 20 metri scarsi. In centro città pagherebbe di meno.

Due o tre anni fa, in varie città, gli edicolanti si sono rivolti ai giudici per chiedere la  regolarizzazione dei contratti d’affitto. Ovunque i tribunali hanno dato ragione a Grandi stazioni, tranne a Verona, per l’edicola nella stazione di Porta Nuova.   

Chi non accetta di firmare il contratto alle condizioni proposte riceve lo sfratto esecutivo: i primi tre, a inizio ottobre 2007, sono arrivati a Firenze Santa Maria Novella. Gli ufficiali giudiziari incaricati di consegnarli, però, hanno trovato una protesta organizzata degli edicolanti da tutte le stazioni d’Italia. A Bologna, invece, Grandi stazioni ha deciso di posticipare a febbraio la consegna delle lettere di sfratto, che era prevista per il 4 dicembre scorso.    

Il rischio è che tra un paio d’anni le edicole diventino qualcos’altro: Grandi stazioni assicura che “garantirà il 60 per cento di merchandising editoriale” ma la relazione che accompagna il suo bilancio 2006 spiega che l’azienda punta all’incremento “di alcune categorie poco valorizzate (libri, cd, dvd) e l’introduzione di prodotti caratterizzati da un elevato margine retributivo (food & beverage, confectionary e oggettistica)”. Gli edicolanti non hanno mai visto un business plan e non vogliono rischiare “associandosi” a Grandi stazioni edicole. Una società che, finora, non ha mai venduto un giornale.



Lo spezzatino ferroviario

Grandi stazioni edicole ha un capitale sociale di 20 mila euro e un amministratore unico che è anche direttore commerciale di Grandi stazioni, Giuseppe L’Abbate. La società è l’ultima nata nella famiglia, sempre più ampia, del gruppo Ferrovie dello Stato, 5,4 miliardi di euro di fatturato complessivo nel 2006 e quasi 100 mila dipendenti. Lo smembramento dell’ex ente Ferrovie dello Stato, in seguito alla direttiva D’Alema del marzo 1999, ha portato prima alla nascita di Trenitalia (che gestisce i servizi di trasporto) e di Rfi (Rete ferroviaria italiana, concessionaria delle reti, responsabile di manutenzione e potenziamento) e poi al proliferare di società: Tav, figlia di Rfi, è la società che cura la realizzazione delle linee Alta velocità/Alta capacità fra Torino-Milano e Napoli, Italferr, la società di ingegneria, Ferservizi, Sogin (che detiene il 55 per cento delle linee di autobus Sita), Fercredit, la finanziaria del gruppo. Per finire, Grandi stazioni (da cui è nata Gs edicole) e Cento stazioni -la cui mission è riqualificare, valorizzare e gestire 103 medie stazioni-, le uniche non interamente controllate dal ministero dell’Economia. Il 40 per cento di Cento stazioni è di proprietà di Archimede 1, a sua volta controllata da Save (Società aeroporti veneti). L’Abbate, amministratore di Grandi stazioni edicole, ha manifestato la volontà di quotare in Borsa la società.



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