Ambiente
COP17. Kyoto risorge. Ma il clima è salvo?
A Durban nasce l’omonimo package, dopo una giornata ed una notte estenuanti la 17a Conferenza delle Parti chiude con un risultato, ma debole ed imperfetto. Kyoto è salvo, grazie all’ostinazione della maggioranza delle delegazioni presenti, prima fra tutte l’Unione Europea. L’unica cornice legale vincolante non è stata travolta dal disimpegno di pochi, ma con Kyoto rimangono anche le contraddizioni di una serie di strumenti di mercato troppe volte sovrastimati e di una strategia di lotta al cambiamento climatico ancora molto, troppo inadeguata. La storia di una nottata fuori dal comune.
Non basta l’ottimismo della presidente della COP nonchè ministra sudafricana per rendere questa Conferenza delle Parti un percorso rose e fiori. Dopo averla ritardata di un giorno, i due gruppi di lavoro sul Kyoto Protocol e sulla Cooperazione di lungo periodo non trovano un accordo, al punto che i documenti vengono mandati intonsi all’approvazione (o alla disapprovazione) della Conferenza delle Parti.
Che però comincia in modo inconsueto, con una sessione informale in cui il punto di contrasto è la "big picture" il documento di prospettiva in cui assieme alle parole "legal instrument e "legal protocol" viene inserita anche l’opzione "legal output".
Apre l’Unione Europea, dichiarando nessun consenso, ricordando come "dopo Cancun si è avuta la percezione che Durban sarebbe stato un momento di vera implementazione", il problema è che nel Durban Package non c’è nessun "legal binding agreement", ma addirittura c’è un "legal outcome", un passo indietro sostanziale rispetto ad un accordo veramente vincolante ed efficace. Niente vincoli significa uno svuotamento della filosofia di Kyoto, basata sul concetto di responsabilità storica e differenziata. Una mancanza che nel diplomatico linguaggio delle Nazioni Unite rimane generico, come le parole "legal outcome". Ma anche la Colombia, la Svizzera, la Cina e via così. Gli Indaba sono stati un nuovo modo di chiamare degli incontri informali inefficaci, frequentati da negoziatori spesso troppo intenti a tirare a campare.
"It’s about equity, ma’ame", "è questione di equità", come ha ricordato l’India. "Non prenda la nostra disponibilità per debolezza, Ma’am" perchè potrebbe crollare tutto il processo.
Parole forti, ma giustificate dal fatto che il cambiamento climatico è un pericolo oramai per molti, perchè "basta un uragano per devastare tutta la nostra economia", come ricorda Grenada.
"Ci aspettiamo un forte segnale da mandare al mondo" ricordano le Filippine, perchè senza un regime vincolante la Convenzione e il Protocollo di Kyoto saranno solamente "souvenir di un’era passata".
La sessione informale si chiude, con l’altrettanto informale invito da parte della presidente alle delegazioni presenti, soprattutto Unione europea ed India, di trovare una convergenza su alcuni aspetti tra cui il concetto di equità. Lo cercheranno e lo troveranno confrontandosi in un gruppo informale, più simile al capannello dei giocatori attorno al loro allenatore che non a un insieme di negoziatori di alto livello. Non c’é un accordo su tutto, molte sono le perplessità sui testi presentati, soprattutto sull’LCA.
Ma alla fine nasce, in Sudafrica, il Durban Package. Dove si salva Kyoto, con il suo protocollo, il suo second commitment period, le sue date di inizio e di conclusione. Si salva il processo, con un multilateralismo nuovamente in carreggiata dopo l’azzoppamento di Copenhagen Tutto da vedere se si salverà il clima: gli impegni andranno definiti e rispettati, il concetto di responsabilità storica andrà sostenuto, così come quello di equità, il Green Fund, approvato, andrà finanziato accuratamente. Rimangono in piedi i meccanismi di mercato, un negoziato REDD+ preoccupante, un modello di sviluppo insostenibile. La struttura è salva, l’impianto principale pure, ma questo non è che l’inizio. Ma il lavoro da fare è ancora tanto ed il clima, com’è noto, non aspetta.