Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura

Conti in tasca alla difesa

Tra tagli veri o presunti, militari in città e acquisto di armi, viaggio (inedito) nel bilancio delle Forze Armate italiane E adesso arrendiamoci anche al Tremonti “pacifista”. Dopo due leggi finanziarie firmate dal Governo Prodi, che hanno visto lievitare le…

Tratto da Altreconomia 103 — Marzo 2009

Tra tagli veri o presunti, militari in città e acquisto di armi, viaggio (inedito) nel bilancio delle Forze Armate italiane

E adesso arrendiamoci anche al Tremonti “pacifista”. Dopo due leggi finanziarie firmate dal Governo Prodi, che hanno visto lievitare le spese militari del 22%, il Governo di Silvio Berlusconi e del suo ministro dell’Economia sembra essersi distinto per i tagli al bilancio della Difesa. Lo stanziamento complessivo per il 2009 ammonta infatti a 20.294,3 milioni di euro. È una delle voci più imponenti delle spese dello Stato italiano. Per questo, abbiamo deciso di dare uno sguardo più approfondito ai conti delle Forze armate, per capire come vengono spesi i soldi dei contribuenti.

Tagli o non tagli? Fatti due conti, sembra in effetti si possa parlare parlare di una riduzione della spesa per la Difesa dell’ordine dei 650 milioni di euro rispetto all’anno precedente. A poco vale notare che questo contraddice le intenzioni del ministro della Difesa Ignazio La Russa (in alto a destra), che all’arrivo nel suo Dicastero (dopo l’allora ministro Arturo Parisi, nella foto in basso a destra) si era dato l’obiettivo di portare in cinque anni il rapporto bilancio della Difesa-Pil all’1,25% contro l’attuale 0,9%. Si tratta di tagli reali? La legge Finanziaria per il 2009 prevede una programmazione triennale al fine di dare garanzie sulle risorse disponibili: per la Difesa, come abbiamo visto, nel 2009 saranno disponibili 20.294,3 milioni di euro, che nel 2010 diventeranno 19.321,6 milioni di euro e infine 18.999 milioni di euro per l’anno 2011. Il ministero dell’Economia ha previsto però di assegnare al ministero della Difesa anche uno stanziamento di 470,8 milioni di euro da ripartire per le spese di organizzazione e di funzionamento, nonché per le spese riservate, quelle cioè da assegnare a Dis, Aise e Aisi (ovvero gli ex Cesis, Sismi e Sisde, cioè i servizi segreti e di sicurezza). Nello stato di previsione del ministero dello Sviluppo Economico poi c’è uno stanziamento di 379,6 milioni di euro per il “Fondo per gli interventi agevolati alle imprese”: negli scorsi esercizi tutto il fondo è stato destinato all’aeronautica ed all’industria aerospaziale e duale (per l’esercizio finanziario 2009 non si dispone di elementi circa le eventuali ripartizioni).
Un altro stanziamento di 1.359,7 milioni di euro è destinato per interventi a sostegno del settore aeronautico. Uno stanziamento di 180 milioni poi è destinato ad interventi per lo sviluppo e l’acquisizione delle unità navali. Nel collegato alla Finanziaria sulla semplificazione, all’articolo sulle infrastrutture militari, è previsto infine che le risorse finanziarie derivanti dalla gestione degli immobili della Difesa siano versate all’entrata del Bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnate allo stato di previsione del ministero della Difesa. Insomma, nel 2008 oltre ai 21.132 milioni di euro del bilancio della Difesa, occorre aggiungere 2.037 milioni di euro stanziati dal ministero dello Sviluppo economico per nuovi sistemi d’arma e 1 miliardo del Ministero dell’Economia e delle Finanze per le missioni all’estero. Fanno un totale di oltre 24 miliardi di euro. Su questo totale quei 650 milioni di euro tagliati per il prossimo anno nella realtà incidono molto meno di quanto ci è stato fatto credere in questi mesi.
Più comandanti che comandati. Come già detto, lo stanziamento complessivo del bilancio 2009 della Difesa ammonta a 20.294,3 milioni di euro.
A grandi linee, il bilancio della Difesa può essere suddiviso in quattro voci, come si vede nella tabella a fianco: la “funzione Difesa” riguarda le componenti terrestri, aeree e marine delle Forze Armate. Per il 2009 prevede una spesa di 14.339,5 milioni di euro con una riduzione di 1.068,8 milioni di euro (-6,9%) rispetto all’anno precedente.
La “funzione Sicurezza pubblica” riguarda la quarta Forza Armata, ovvero l’Arma dei Carabinieri. Per i 110.000 carabinieri operativi nel 2009  la Difesa spenderà 5.529,20 milioni di euro, con un incremento di 148,1 milioni di euro (+2,8%) rispetto al 2008. I carabinieri svolgono anche compiti di polizia per i quali dipendono funzionalmente dal ministero dell’Interno. La maggior parte delle spese è a carico della Difesa, ma non vi è la possibilità di calcolare la ripartizione in base alle mansioni svolte effettivamente.
Le “funzioni Esterne” sono attività non strettamente collegate ai compiti istituzionali della Difesa, come il rifornimento idrico delle isole minori o il trasporto aereo di Stato; per il 2009 si prevedono spese per 116,4 milioni di euro (+3,8% rispetto all’esercizio precedente).
Per il “trattamento di Ausiliaria”, prima chiamato “pensioni provvisorie”, si prevede una spesa di 309,2 milioni di euro con un incremento di 78,4 milioni di euro (+34%).
La prima voce, la funzione Difesa, è quella più interessante. Oggi è pari allo 0,96% del Pil. Vale la pena di darle un occhio più da vicino. È suddivisa in tre distinti settori: personale, esercizio e investimento.
Le previsioni di spesa per il personale per il 2009 ammontano a 9.566,3 milioni di euro, con un incremento -e non un taglio- rispetto al 2008 di 456,2 milioni di euro, pari al 5,0%.  
Su questo val la pena di soffermarsi. La legge n. 331/2000 che ha congelato la leva obbligatoria e ha previsto che le Forze Armate siano reclutate solo su base volontaria, ha fissato a 190.000 il numero dei militari che devono rispondere al “modello di Difesa” auspicato. Le cifre sono precise: si parla di 22.250 ufficiali, 63.947 sottufficiali (di cui 7.578 primi marescialli, 17.837 marescialli e 38.532 sergenti), 103.803 volontari di truppa (divisi tra 73.330 in servizio permanente e 30.473 in ferma prefissata). Ed ecco allora il problema: l’attuale situazione vede la presenza di quasi 190.000 militari, come previsto, ma con proporzioni all’interno quasi inverse. Quasi 98.000 sono i graduati e poco più di 90.000 volontari di truppa, con il paradosso che abbiamo più comandanti che comandati.
Il numero elevato di marescialli, quasi 40.000 in più del previsto, è costituito poi da personale in età avanzata e quindi impossibilitato all’impiego in compiti fondamentali, come le missioni all’estero.

Militari in città (e nelle discariche). 31,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 sono stati stanziati dal Decreto legge n. 92/08 sulla sicurezza, per garantire la presenza per sei mesi di 3.000 militari nelle principali città italiane per il controllo del territorio. Nei primi sei mesi del provvedimento, circa 1.000 militari sono stati utilizzati per la vigilanza di 16 centri per immigrati, 1.000 per la sorveglianza a siti sensibili ed altri 1.000 per la sicurezza nelle città affiancando nelle pattuglie carabinieri e poliziotti; tale provvedimento è stato poi prorogato di altri 6 mesi nel febbraio 2009. Nell’ottobre del 2008 poi è stato approvato un Decreto legge che prevede l’utilizzo di 500 militari fino alla fine dell’anno in pattugliamenti e posti di blocco anti-camorra tra Castel Volturno e Aversa. Prima di questi interventi, al suo insediamento il Governo ha utilizzato i militari per ripulire le strade di Napoli e presidiare le discariche e i cantieri degli inceneritori. Per il Governo questi provvedimenti sono positivi perché hanno aumentato la presenza nel territorio e l’azione di contrasto, soprattutto alla microcriminalità. In realtà la trovata dei 3.000 militari nelle città serve per coprire i tagli di 3,7 miliardi di euro ai danni del settore sicurezza, che si traducono in 9.000 agenti in meno; i 64 milioni stanziati per tenere 3.000 militari per un anno nelle città si potevano usare per pagare gli straordinari agli agenti di polizia. Per il Cocer della Guardia di Finanza il provvedimento appesantisce i costi della sicurezza e crea ulteriore confusione in un settore dove la netta separazione dei compiti è fondamentale per la democrazia. Un dissenso su tutta la linea è arrivato dai sindacati di polizia, che quando il Presidente del Consiglio ha quantificato in 30.000 i militari da mandare nelle città al momento del rinnovo del Decreto, ha quantificato un costo di tale operazione in 620 milioni di euro, che permetterebbero l’assunzione stabile di 20.000 agenti di pubblica sicurezza.
I militari non hanno poi l’esperienza e non sono addestrati a svolgere compiti propri delle forze di polizia, oltre a non avere la stessa qualifica (carabinieri e poliziotti sono agenti di polizia giudiziaria, mentre la qualifica dei militari è di agenti di pubblica sicurezza). I militari hanno poi indubbiamente un costo maggiore rispetto alle forze di polizia, e non poche polemiche ha creato il riconoscimento ai carabinieri e ai militari di un’indennità di 26 euro al giorno, mentre i poliziotti ricevono un bonus di 6 euro.

Se il Parlamento non controlla gli acquisti. Un’altro capitolo fondamentale delle spese per la Difesa riguarda l’acquisto di sistemi d’arma. Il meccanismo è dettato dalla legge 436/1988, “Norme per la semplificazione e per il controllo delle procedure previste per gli approvvigionamenti centrali della Difesa”, che ha da poco compiuto 20 anni. Esaminarla può essere molto interessante. L’articolo 1 prevede due modalità per approvare i programmi di acquisto: con legge, se richiedono finanziamenti di natura straordinaria; con decreto del ministero della Difesa, quando si tratta di programmi finanziati attraverso gli stanziamenti ordinari di bilancio. Nel secondo caso, salvo che i programmi non si riferiscano al mantenimento delle dotazioni o al ripianamento delle scorte, prima dell’emanazione del decreto, il ministro deve acquisire il parere delle competenti commissioni parlamentari, che hanno tempo tre mesi, altrimenti si intende che non vogliano esprimere un parere. L’attività contrattuale è svolta dalle competenti direzioni generali tecniche del ministero della Difesa. Se i rapporti contrattuali implicano la partecipazione o collaborazione di Paesi esteri, il ministero della Difesa è autorizzato a stipulare contratti o comunque ad assumere impegni nei limiti dell’intera somma.
Il meccanismo previsto dalla legge, insomma, non funziona, perché il Parlamento interviene solo nella fase preventiva del Decreto, senza avere poi tutti gli strumenti tecnici per eseguire una reale valutazione strategica, economica e di mercato. Una volta che è partito il progetto poi non resta che mettere mano al portafogli e continuare a pagare ingenti cifre, spesso per anni ed anni. Il risultato sono storie di acquisti di sistemi d’arma molto controversi che fanno capire bene quali siano i limiti del sistema. Il primo esempio è quello della portaerei Cavour, i cui oneri oggi sono pari a circa 1.390 milioni di euro, una cifra decisamente maggiore rispetto a quella prospettata al Parlamento alla presentazione del progetto. La Cavour è in fase di consegna alla Marina militare, ma dovranno passare altri 18 mesi prima che sia operativa. Un altro caso è quello del programma Efa/Eurofighter2000, avviato nel 1986 da Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna per la realizzazione di un cacciabombardiere per le rispettive Forze Armate. Era previsto che l’Italia acquistasse 121 velivoli, con una spesa, secondo la Difesa, di 15.759 miliardi di lire da ripartirsi negli anni compresi tra il 1997 e il 2014, anno in cui sarebbe consegnato l’ultimo aereo dei 121 velivoli che l’Italia prevede di acquistare. Oggi l’onere complessivo previsto è lievitato a 18,1 miliardi di euro.
L’ultimo esempio è quello del Joint Strike Fighter. Il Joint Strike Fighter (Jsf) è un aereo da combattimento ottimizzato per il ruolo aria-terra (quindi per l’attacco) ed ha due stive interne per le bombe che possono essere anche di tipo nucleare. L’Italia, che vuole acquistare 131 esemplari, per il momento spenderà 158,2 milioni di dollari dal 2007 al 2011, ed altri 745 milioni di dollari dal 2012 al 2046, ma si parla di un costo globale di oltre 20 miliardi di euro. A causa della crisi l’Italia ha declinato l’acquisto di un caccia in fase sperimentale, ma confermato l’acquisto di 6 velivoli entro il 2014 e di tutti i 130 entro il 2030. Ai contribuenti l’onere di pagare il conto.

Dalla divisa alla cravatta
In questi ultimi anni il rapporto tra militari e aziende produttrici di sistemi d’arma si è fatto sempre più stretto. Il passaggio dalle Forze Armate al settore privato è regolato dalla legge 185/90, che prevede un intervallo di almeno tre anni tra la fine del mandato militare e l’eventuale assunzione. Ecco i recenti casi di vertici militari passati a fine carriera nell’industria della Difesa:
2002 l’Ammiraglio Guido Venturoni viene nominato presidente della società Marconi Selenia (oggi Selex), carica poi passata a Guido Bellini, Capo di Stato Maggiore dei Carabinieri quando Venturoni passa al Consiglio di amministrazione di Finmeccanica;
2003 l’Ammiraglio Umberto Guarnirei va alla Orizzonti Sistemi Navali;
2003 il Generale Mario Arpino, capo di Stato maggiore della Difesa, è nominato presidente operativo della Vitrociset;
2004 l’Ammiraglio Marcello De Donno, ex capo di Stato maggiore, diviene presidente dell’Agusta Spa;
2005 Sandro Ferracuti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, è nominato presidente della Selex Sistemi integrati;
2005 Carlo Alberto Zignani, Comandante della Guardia di Finanza, è nominato presidente del Consorzio Guerra Elettronica Finmeccanica;
2006 Giulio Fraticelli, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, è nominato presidente della Oto Melara.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.