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Congo, la sfida democratica

Mancano pochi giorni alle prime elezioni pluraliste della Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Il 30 luglio prossimo, infatti, i congolesi si recheranno alle urne per votare il nuovo Presidente e i membri del Parlamento. Queste elezioni rappresentano un’opportunità unica per chiudere definitivamente con le guerre e le dittature che hanno insanguinato il Congo per 45 anni e avviare un vero processo di democratizzazione (seguite qui il viaggio degli osservatori indipendenti italiani).

Ma non solo. Esse potrebbero rappresentare la chiave di svolta per intraprendere una battaglia risoluta contro la corruzione e lo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese.

di Simona Tratzi

Dopo sei anni di guerra civile che ha causato tre milioni di morti, nel 2003 i partiti politici e gli ex-movimenti ribelli hanno istituito un governo di transizione, che terminerà il mandato con le prossime elezioni.

A pochi giorni dalle consultazioni, l’atmosfera a Kinshasa – la capitale della RDC – è molto tesa.  Si teme infatti che gli ex-protagonisti della guerra civile possano riprendere le armi se l’esito elettorale non sarà di loro gradimento. Il Monuc (la missione di pace Onu in Congo) ha denunciato numerosi abusi da parte dell’esercito regolare a danno dei partiti di opposizione. E alcuni avversari di Joseph Kabila, attuale Capo di Stato e grande favorito alle urne, hanno subito intimidazioni e minacce soprattutto nell’est del Paese e nell’Ituri, la regione al confine con l’Uganda, dove malgrado gli accordi di pace continuano gli scontri tra i miliziani e l’esercito.

Ma non è tutto. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione non governativa Global Witness pubblicato il 5 luglio scorso, i giacimenti minerari presenti in Katanga, una delle zone più ricche di cobalto e di rame del mondo, sono preda di abusi e di veri e propri saccheggi. E l’avvicinarsi delle elezioni rende la situazione ancora più grave. Prima che le regole del gioco cambino definitivamente, infatti, i funzionari statali in complicità con imprese straniere senza scrupoli, stanno esportando illegalmente in Zambia grandi quantità di minerali.

Il Congo è uno dei paesi più ricchi del continente africano. I numerosi giacimenti di diamanti, oro, cobalto, rame e di altri minerali preziosi hanno stuzzicato l’appetito di numerose società di commercio e multinazionali, che hanno iniziato ad investire nel paese in seguito agli accordi di pace del 2003. Da allora l’esportazione mineraria è cresciuta notevolmente, ma l’economia del Paese rimane disastrosa a causa delle pratiche illecite che ruotano attorno ai giacimenti e allo sfruttamento dei minatori locali, costretti a lavorare per due o tre dollari al giorno e senza nessuna struttura di sicurezza. Il saccheggio delle risorse minerarie, gli scontri dell’esercito con i gruppi di miliziani, la mancanza di infrastrutture e dei servizi di base stanno mettendo in serio pericolo il regolare svolgimento delle elezioni. Per questo la Commissione Elettorale Indipendente – espressione della società civile congolese – ha chiesto il supporto del  MONUC e delle Istituzioni Internazionali. Tra di esse compaiono anche due associazioni italiane, “Beati Costruttori di Pace” e “Chiama l’Africa” che hanno organizzato una missione composta da 63 volontari che supervisioneranno le consultazioni assieme ai 2 mila uomini delle Forze di Pace dell’Unione Europea (Eufor)  e ai 17 mila caschi blu della Monuc. Basterà?

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