Come se ci tenessi davvero – Ae 83
È lo slogan fortunato di “Architecture for Humanity”. L’idea è semplice: edifici economici ma funzionali e progettati con la gente. E i soldi trovati su Internet. Così Cameron Sinclair è diventato famoso Il tipo è di bell’aspetto e ha l’aria…
È lo slogan fortunato di “Architecture for Humanity”. L’idea è semplice: edifici economici ma funzionali e progettati con la gente. E i soldi trovati su Internet. Così Cameron Sinclair è diventato famoso
Il tipo è di bell’aspetto e ha l’aria simpatica. A vederlo non si direbbe che è “una delle sette persone che hanno migliorato il mondo”.
Invece con queste parole la rivista Fortune ha definito Cameron Sinclair, nel 2004. Allora Cameron aveva solo 30 anni, ma già da 5 aveva dato vita all’organizzazione “Architecture for humanity”, per la quale oggi è famoso in tutto il mondo.
Come è nato tutto, lo spiega così: “Ero uno studente di architettura a Londra. Mentre tutti si chiedevano come fare carriera e arrivare a progettare palazzi bizzarri e meravigliosi in città, io pensavo a soluzioni sostenibili che rispondessero alle esigenze della gente”. Cameron si trasferisce a New York e da lì assiste al dramma degli sfollati della guerra in Kossovo del 1999. Si chiede dove avrebbero vissuto una volta tornati nei loro villaggi, dove le case erano state distrutte. “Ci venne l’idea di un concorso internazionale, nel quale chiedere agli architetti di mettersi alla prova con progetti di ricostruzione. Dovevano essere alloggi economici, semplici ma funzionali”. Un modo per mettere le conoscenze e le competenze architettoniche al servizio di cause umanitarie e non per progettare le sfavillanti sedi di multinazionali o musei. L’iniziativa è tutta realizzata on line, il budget 700 dollari. Il motto è “Design like you give a damn”, “come se ci tenessi davvero”, e il concorso raccoglie le proposte di oltre 200 architetti da 32 Paesi. La giuria è composta per metà da professionisti, per il resto da rifugiati. Al fianco di Sinclair c’è Kate Storh, anche lei inglese, non architetto ma giornalista free lance. Per il Kossovo riescono a raccogliere oltre 100 mila dollari tra donazioni e iscrizioni al concorso, e a realizzare 5 dei dieci progetti vincitori. Il concorso è l’atto di nascita di Architecture for Humanity (Afh), che da allora mantiene la struttura “virtuale” basata sulla rete, e lavora allo stesso modo: elabora attraverso concorsi tra architetti progetti innovativi per rispondere a esigenze precise e cerca finanziamenti e donazioni on line, per promuovere la progettazione di soluzioni architettoniche in situazioni sociali e umanitarie critiche.
Non si vince nulla, solo la possibilità di realizzare l’idea.
Oggi i progetti di Afh sono divenuti una cinquantina, di cui 8 in corso. “Interveniamo in situazioni di crisi umanitaria, appena dopo l’emergenza occupandoci della ricostruzione”: come nei Balcani, in Turchia e Iran dopo i terremoti, o dopo lo tsunami o l’uragano Katrina, dalla costruzione di scuole e case alla creazione di strutture sanitarie e campi gioco.
Il coinvolgimento della popolazione locale è la chiave per comprendere la filosofia dell’organizzazione. La chiamano community design: “È una visione comunitaria di cambiamento: inviamo un architetto sul posto, per alcuni mesi. Il suo scopo è comprendere a fondo la situazione con l’aiuto della popolazione locale, per poi proporre una soluzione che non deve essere attraente, ma adeguata alle esigenze del momento e del luogo.
Per questo interveniamo solo dove veniamo interpellati e dove possiamo contare sull’aiuto di partner locali, ong e associazioni. Forniamo il progetto architettonico e ne seguiamo insieme la realizzazione. Un progetto può durare dai 9 mesi ai due anni e mezzo. Dopo una crisi umanitaria, noi non siamo i primi ad arrivare. Ma di solito siamo gli ultimi ad andarcene”.
Afh è una macchina che oggi coinvolge una rete di migliaia di architetti nel mondo, riuniti in centinaia di gruppi locali, ed è stata capace di raccogliere dal 1999 a oggi quasi 9 milioni di dollari.
In occasione dello tsunami della fine del 2004 sono stati raccolti in poche settimane oltre mezzo milione di dollari per progetti di ricostruzione nello Sri Lanka. “Nei giorni precedenti avevo ricevuto 4 mila e-mail in una settimana. Tutti cercavano il nostro aiuto”.
Nello Sri Lanka un gruppo di lavoro della Scuola di design di Harvard insieme con uno dei ricercatori del Mit di Boston svilupparono soluzioni di alloggi a basso costo (2400 dollari ciascuna) che fossero però al tempo stesso resistenti.
In collaborazione con la fondazione locale Prajnopaya, il team è riuscito a progettare case costruite con materiali e tecniche locali, e pertanto semplici da replicare. Nel 2005 la prima “realizzazione pilota” di 200 case a Balapitiya.
La cosa sbalorditiva è che si tratta di donazioni private, per la maggior parte individuali, anche solo di pochi dollari. “Non cerchiamo finanziamenti statali. Sono troppo macchinosi e lenti, non garantiscono che riusciremo a portare a termine un intervento. Con internet è molto più veloce ed efficace, anche se i donatori privati hanno a volte aspettative troppo alte”.
Nel corso del 2005 Cameron ha raccolto oltre un milione di dollari (di cui però è riuscito a spendere solo la metà). “I soldi arrivano dalle collette nelle scuole come da donazioni di sportivi e cantanti, o anche di aziende”. Tra gli sponsor anche Adobe e Sun MicroSystems.
Uno dei progetti più ambizioni di Architecture for Humanity è stato quello di cliniche mobili per contrastare la diffusione dell’Aids in Africa. Il concorso lanciato per l’occasione (era il 2002) si chiamava “Siyathemba”, che in lingua zulu vuol dire “speranza”. La competizione ha chiamato a raccolta 531 studi di design da 51 Paesi, più di quanti parteciparono nello stesso periodo alla gara per riprogettare il World Trade Center. Il risultato è stata la costruzione di un campo sportivo combinato con un centro sociale e sanitario a Somkhele, nella regione sudafricana del KwaZulu-Natal. In una zona dove
il 40 per cento delle persone sono sieropositive e l’informazione sanitaria trova ostacoli sociali e culturali, la scelta di utilizzare lo sport per veicolare nozioni su prevenzione e cura si è dimostrata vincente.
“Uno può fare semplicemente l’architetto, e magari dopo 20 anni vince un concorso per realizzare un monumento alle vittime dell’Aids. Noi abbiamo scelto di darci da fare subito” ci dice Cameron mentre allunga il suo biglietto da visita. Sopra c’è scritto “Cameron Sinclair, eterno ottimista”.
Anche in Italia esiste un gruppo di architetti della galassia di Afh. Architecture for Humanity Italia è nata nel 2004, a Genova, su iniziativa di cinque giovani, di cui tre architetti.
Al momento sta lavorando al progetto per la costruzione di una scuola nel Sud Sudan, con la guida un architetto di origine sudanese (ma genovese di adozione). Nel gennaio 2007 il terzo sopralluogo, mentre sono ancora da trovare i finanziamenti (la realizzazione dovvrebbe costare tra i 50 e i 70 mila euro). Per saperne di più: www.architectureforhumanityitaly.org.
Il visionario che ha migliorato il mondo
Cameron Sinclair (nella foto), fondatore di Architecture for Humanity (Afh) con Kate Storh, è nato a Londra nel 1973. Ha studiato architettura all’Università di Westminster e alla Barlett School of Architecture di Londra. Per la tesi ha scelto di occuparsi dei senza dimora newyorchesi e di come dar loro un tetto, sia pur provvisorio.
Per il lavoro di Afh ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Nel 2004 il suo nome è stato incluso fra gli “Aspen Seven”, i sette personaggi che secondo la rivista Fortune “hanno cambiato il mondo in meglio”; nel 2005 ha ricevuto il premio “Lewis Momford for Peace” e nel 2006 è stato uno dei tre vincitori del “Ted Prize” che premia le menti più “visionarie” del pianeta (www.ted.com). Il suo sito personale è www.cameronsinclair.com
Gli “architetti per l’umanità” in rete
I progetti realizzati da Architecture for Humanity possono essere recuperati dal sito dell’organizzazione www.architectureforhumanity.org. Alcuni sono anche raccolti in una brochure scaricabile (a lato, la copertina). Dopo l’uragano Katrina che ha colpito New Orleans e dintorni, Architecture for Humanity ha chiesto a una serie di studi professionali nazionali e locali di immaginare soluzioni di recupero e di ricostruzione. Nell’agosto 2006 venti di questi team hanno partecipato a un meeting in cui architetti e famiglie si sono incontrati per definire insieme le soluzioni da affrontare (nella pagina accanto, un momento dell’iniziativa).Qui sopra invece, il progetto per un centro medico rurale a Ipuli, in Tanzania. La realizzazione dell’edificio è iniziata nel luglio 2006 e sta per terminare.