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Colorare di verde la spesa pubblica – Ae 58

Numero 58, febbraio 2005Dalla carta all’energia: l’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni locali, in Europa, ha un giro d’affari di 1.500 miliardi di euro. Un potere economico enorme che fa degli enti pubblici un potenziale “consumatore critico”,…

Tratto da Altreconomia 58 — Febbraio 2005

Numero 58, febbraio 2005

Dalla carta all’energia: l’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni locali, in Europa, ha un giro d’affari di 1.500 miliardi di euro. Un potere economico enorme che fa degli enti pubblici
un potenziale “consumatore critico”, in grado di incidere sulle scelte dei fornitori.
Ma ancora poche amministrazioni locali  inseriscono criteri ambientali nei propri bandi. In Italia, gli esempi di Ferrara, Bologna e Torino

 
Sostenibilità ambientale
e amministrazioni pubbliche: la sfida futura del consumo critico passa da qui e si dice Green public procurement -appalti pubblici “eco-sostenibili”- o, se volete farla breve, “Gpp”.
In altre parole, casi sempre più diffusi di bandi di gara per la fornitura di beni e servizi che prevedono criteri “verdi”, come l’utilizzo di materiali riciclati (la carta per fotocopiatrici e stampanti, per esempio), carburanti poco inquinanti o impianti di illuminazione a risparmio energetico.
Il leader incontrastato in questo settore è il Giappone, attivo dalla fine degli anni ‘90, ma negli ultimi anni le esperienze si sono moltiplicate anche in Europa. Le potenzialità sono enormi. Per capirlo basta considerare proprio l’Unione Europea, che per rifornirsi di beni e servizi spende -in un anno- il 16% del proprio prodotto interno lordo, cioè la bellezza di 1.500 miliardi di euro. Insomma, un enorme potere economico e, di conseguenza, un potenziale consumatore critico di tutto rispetto: mettere questa forza al servizio dell’ambiente oppure -come in alcuni casi già accade- della difesa dei diritti sociali, avrebbe ricadute positive per tutti. Margot Wallström, ex-commissario Ue all’Ambiente, conferma: “Se per esempio tutte le autorità pubbliche dell’Unione passassero all’elettricità verde, questo ridurrebbe l’emissione di CO2 di 60 milioni di tonnellate, ovvero il 18% dell’impegno europeo nel taglio dei gas serra in base al Protocollo di Kyoto”.

Se le amministrazioni pubbliche diventassero consumatori critici a tutti gli effetti potrebbero spingere le aziende fornitrici verso scelte sempre più sostenibili.
La strada, però, è ancora lunga: soltanto il 19% delle amministrazioni europee inseriscono criteri ambientali in oltre la metà dei propri bandi, come dimostra un’indagine dell’International Council for Local Environmental Initiatives (Iclei) sulle pratiche d’acquisto dei 15 membri Ue pre-allargamento. Tra i primi della classe troviamo Danimarca, Austria, Germania, Regno Unito e Svezia, con percentuali che superano la media europea arrivando sfiorare in singoli casi il 50%. Nelle retrovie, tra gli altri, anche l’Italia: nel nostro Paese il Gpp sta destando sempre più l’interesse degli amministratori (e di recente è stato presentato un disegno di legge in merito) ma i numeri sono ancora molto bassi: nonostante nel 2003 la pubblica amministrazione abbia speso 106 miliardi di euro per beni e servizi, gli enti pubblici che tengono conto di criteri ecologici per i propri acquisti sono meno del 10%. E queste, secondo gli esperti, sono stime ottimistiche.
Eppure una quota di acquisti verdi sarebbe obbligatoria per legge: a partire dal decreto Ronchi del 1997 (che prevede l’utilizzo di carta riciclata per almeno il 40% del fabbisogno dell’ente in questione), negli anni si sono susseguite altre disposizioni in base alle quali il pubblico dovrebbe utilizzare, almeno in parte, manufatti in plastica riciclata, pneumatici ricostruiti, carburanti alternativi e così via. Al di là di oggettive difficoltà legate all’approvvigionamento di prodotti non sempre facili da reperire (si pensi al metano come combustibile per autoveicoli) uno dei problemi è che queste leggi prevedono un obbligo ma non stabiliscono sanzioni per i casi di inadempienza. E la situazione generale, al momento, non è confortante: secondo una ricerca del ministero dell’Ambiente, condotta su 2.149 enti pubblici, il 42,2% dei 219 soggetti che hanno risposto al questionario non ha mai sentito parlare di Green public procurement.

In questo mare stanno però emergendo isole che fanno ben sperare: casi di amministrazioni virtuose che sposano gli ideali del Gpp, inserendoli nei propri appalti ed elaborando vere e proprie politiche strutturate su un ventaglio di prodotti ecologici anche più ampio di quello previsto dalla legge. Questi appalti prevedono, ad esempio, l’attribuzione di un punteggio specifico per le aziende che riescano a fornire prodotti con marchi ecologici (come l’Ecolabel dell’Unione europea, il Blauer Engel tedesco o il Nordic Swan dei Paesi scandinavi) oppure richiedono specifiche competenze ambientali documentabili con le certificazioni ambientali, come Iso 14001 o Emas. E a volte queste gare d’appalto prevedono addirittura l’obbligo di forniture ecocompatibili.
Un esempio avanzato di Gpp in Italia -citato addirittura dal Worldwatch Institute- è quello del Comune di Ferrara, una realtà che in termini di acquisti pubblici (ecologici e non) “vale” 25 milioni di euro l’anno. I primi passi risalgono al 1994, quando vengono pubblicate le prime gare d’appalto per la fornitura di pasti biologici per le mense scolastiche. Due scuole d’infanzia aprirono il progetto pilota “Cibo, uomo, ambiente” che si è poi esteso al resto delle scuole d’infanzia, alle elementari e alle medie. Oggi tra l’80 e il 90% dei 530 mila pasti consumati ogni anno nelle scuole ferraresi è biologico (e alcuni prodotti, come le banane, sono equi e solidali), per una spesa di due milioni di euro. Nel 1999 è iniziato l’acquisto di carta riciclata (oggi il 45% del fabbisogno totale) o ecologica, realizzata cioè a partire da legno proveniente da foreste sfruttate in modo sostenibile (con certificazione Fsc o simili). Ogni anno ne vengono acquistate 27 mila risme per 65 mila euro di spesa.
Il Gpp del Comune di Ferrara prevede anche l’acquisto di prodotti di cancelleria e di imballaggi in materiale riciclato, di mobili usati, di auto a metano (una ventina per il momento, ma nel tempo tutto il parco macchine verrà sostituito con automezzi a doppia alimentazione o elettrici), di biciclette “elettriche” per alcuni dipendenti comunali. Le fotocopiatrici vengono noleggiate (il che permette un utilizzo più lungo dei macchinari), il bando per il trasporto scolastico ha previsto un punteggio più elevato per gli automezzi di più recente fabbricazione e meno inquinanti. Da sottolineare due novità tra le più recenti: la prima riguarda il nuovo bando per i servizi di pulizia, che prevede sia criteri ambientali (l’utilizzo di detersivi poco inquinanti) sia criteri “etico-sociali” (tipo Sa 8000) per il rispetto dei diritti dei lavoratori, che in questo settore sono sempre più spesso immigrati. La seconda novità è il caffè del commercio equo per i distributori degli uffici pubblici: dopo una sperimentazione di buon successo, il bando appena emesso prevede una quota obbligatoria di caffè fair trade.
Anche la Provincia di Bologna fa parte del club dei virtuosi: da anni impegnata nell’acquisto di carta riciclata (per il 50% del fabbisogno) di autovetture a metano, di toner per stampanti rigenerati, ha avviato l’anno scorso un progetto di Gpp strutturato. I primi risultati concreti: un bando di gara per il trasporto scolastico (i parametri ambientali erano: la vetustà dei mezzi, il tipo di carburante e il profilo ambientale dell’azienda) e due bandi di gara da 200 mila euro l’uno per la fornitura di arredamenti (per aule scolastiche e per i centri per l’impiego). Nel trasporto scolastico i requisiti ambientali, pur presenti nel bando di gara, non si sono rivelati determinanti per l’assegnazione dell’appalto, mentre lo sono stati per gli altri due bandi, che prevedevano punteggi specifici per i prodotti con marchi ambientali e per le aziende certificate, oltre che per l’utilizzo di materiale riciclato o facilmente riciclabile.

Ma oltre alle gare d’appalto la Provincia di Bologna ha anche avviato il “Progetto Isola”, un programma di promozione  del consumo critico che prevede la collocazione di punti informativi all’interno di centri commerciali selezionati, mentre per un assaggio vero e proprio di prodotti “giusti” anche dal punto di vista sociale in alcuni uffici pubblici sono stati sistemati distributori di bevande che prevedevano anche l’offerta di caffè del commercio equo e solidale, con sovrapprezzo di 5 centesimi rispetto a quello tradizionale. Buona la risposta: nei tre mesi di prova il 40% dei consumatori ha scelto il prodotto equo.
“Ma uno dei risultati più importanti -spiega Daniele Tartari dell’ufficio Agenda 21 della Provincia- è stata la stretta collaborazione tra l’ufficio Provveditorato, che effettua gli acquisti, e il settore Ambiente per la preparazione dei bandi. Di solito accade il contrario: più un’organizzazione è grande, meno i diversi settori comunicano tra di loro”.
La Provincia di Torino (acquisti per 23 milioni di euro) ha invece coinvolto anche altri soggetti (13 in tutto, sia pubblici che privati a partecipazione pubblica) nel progetto “Acquisti pubblici ecologici” sviluppato con Arpa Piemonte, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale: un tavolo di lavoro che in un anno ha prodotto un protocollo d’intesa in base al quale i firmatari si impegnano a inserire nelle procedure d’acquisto per lo meno dei requisiti ambientali minimi. Cinque gli ambiti d’intervento: carta per copie, prodotti in carta e stampati, mobili per ufficio, attrezzature informatiche per ufficio, autoveicoli. Un’apposita sezione del protocollo è poi dedicata all’organizzazione di eventi e convegni a basso impatto ambientale.
Infine, a testimonianza dell’aumentato interesse per il Green Public Procurement, di recente è stato presentato un disegno di legge ad hoc, a firma della senatrice Loredana De Petris (Verdi), con l’obiettivo di “introdurre criteri di sostenibilità negli acquisti della pubblica amministrazione”.

Se la proposta venisse approvata, le amministrazioni centrali e periferiche di Stato, Regioni, Province e Comuni con oltre 5 mila abitanti dovrebbero attenersi ad un apposito piano triennale, il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi pubblici”, che di fatto obbligherebbe gli enti pubblici a rispettare il decreto 203 del 2003, per cui i prodotti in materiale riciclato acquistati dal settore pubblico devono coprire almeno il 30% del fabbisogno annuale. !!pagebreak!!
 
A Cremona il distretto locale sulle buone pratiche
Gli acquisti verdi nascono in rete: è l’esperienza di GppNet, progetto coordinato dalla Provincia di Cremona (e finanziato dall’Unione Europea per 398 mila euro, su un costo totale di 852.333) con il coinvolgimento di altri 13 Comuni del circondario e due anni di lavori conclusisi a fine 2004. L’idea era quella di creare un “distretto locale” che lavorasse sulla creazione di un vero e proprio manuale con indicazioni pratiche per realizzare appalti eco-sostenibili. I soggetti coinvolti hanno analizzato le proprie attività -in particolare sul fronte degli acquisti e dell’erogazione di beni e servizi- per definirne l’impatto ambientale. Questo per dare agli enti locali una serie di priorità “ecologiche” in base alle quali orientare i propri acquisti.

È nato così il “Manuale Gpp”, un volume di 300 pagine che espone le linee essenziali del green procurement, analizza quattro macrocategorie (uffici e città; energia, prodotti elettrici ed elettronici; cibi, cancelleria e sostanze chimiche; trasporti e servizi ambientali) e ben 189 prodotti: imballaggi, arredi, computer, ma anche panchine e strofinacci in microfibra. Per ognuno di essi vengono fornite le “istruzioni operative” per l’introduzione di criteri ecologici all’interno dei bandi di gara. Il progetto GppNet prevede infine una rete informativa (GppInfoNet) a cui aderiscono una trentina di realtà pubbliche in Italia, aggiornate sugli sviluppi del settore. www.provincia.cremona.it/servizi/ambiente/Gppnet
 
Il capitolato toscano tra rifiuti e trasporti
Anche la Toscana comprerà verde: tutti gli appalti dovranno contenere criteri di sostenibilità ambientale. I settori su cui si andrà a lavorare sono: carta, attrezzature informatiche, elettricità, servizi di catering per le mense, servizi di pulizia (che assommano una spesa di quasi 4,5 milioni di euro). Già nel 1998 la Toscana aveva approvato una legge regionale per ridurre la produzione di rifiuti, in base alla quale Province e Comuni devono utilizzare carta e cartoni riciclati, non possono usare contenitori e stoviglie a perdere nelle mense e devono inserire “specifiche condizioni per favorire l’uso di residui recuperabili” nei capitolati d’appalto.
E non mancano le esperienze in ambito etico-sociale: con la promozione della certificazione Sa 8000 tramite contributi regionali alle aziende (la Toscana è al primo posto in Italia con 48 imprese certificate), e poi con uno schema di capitolato, approvato nel 2003, per l’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale che prevede punteggi specifici per le aziende con Sa 8000. Requisito analogo era richiesto dal Comune di Poggibonsi (Siena) per la fornitura di prodotti alimentari per le mense di asili nido e scuole materne.
Sul versante verde come pure su quello etico l’ Arpat, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, ha da poco approvato una “politica degli appalti” in base alla quale valutare “l’ecologicità dei prodotti e dei servizi da acquisire, e il comportamento etico dei fornitori” . Tra le esperienze già attivate da Arpat l’attività di formazione sul Gpp a favore degli enti locali toscani, l’introduzione di specifiche ambientali per la fornitura di carta ecologica, di fotocopiatrici dal ridotto consumo energetico, e l’appalto del servizio di pulizia in base a criteri ambientali. !!pagebreak!!
 
L’ignoranza (in senso letterale) si combatte col manuale
Un Gpp da manuale: gli acquisti verdi -nel caso di molte amministrazioni pubbliche, italiane e non- rappresentano ancora un miraggio.
E uno dei principali ostacoli all’attivazione di progetti di green procurement, spiegano gli esperti, è l’ignoranza della materia (in senso letterale). Per questo sono sempre di più i manuali pratici per affrontare il tema. Il primo manuale italiano del Gpp, fu realizzato nel 2001 da Anpa (Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente) ma non fu mai ufficialmente adottato dal Governo. Più recente è quello nato dal progetto GppNet della Provincia di Cremona (vedi box relativo). Ma ne esistono altri. Come quello del Comune di Ferrara, preparato principalmente per uso interno, o quello elaborato dalla Provincia di Torino in collaborazione con Arpa Piemonte (www.provincia.torino.it/ambiente/agenda21/strategie/manuale_ape) che si occupa soprattutto di carta da stampa, mobili per ufficio, apparecchiature elettroniche e autoveicoli.
In ambito internazionale è possibile reperire il manuale “Acquisti verdi per le pubbliche amministrazioni” pubblicato dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e tradotto di recente in italiano nell’ambito di un progetto della provincia di Genova (www.a21provincia.genova.it/documenti%20scaricabili/GPPOCSE.pdf), con esperienze ed esempi significativi, oppure Buying green!, il manuale per gli acquisti pubblici ecologici dell’Unione Europea
(http://europa.eu.int/comm/environment/gpp/pdf/int.pdf), guida essenziale che chiarisce gli aspetti tecnico-normativi del Gpp.
È in inglese, ma la Commissione europea lo sta traducendo in tutte le lingue europee.
 
Dal legno alla responsabilità sociale: le certificazioni fsc

Marchio del Forest Stewardship Council, organizzazione internazionale nata nel 1993 che certifica lo sfruttamento sostenibile delle foreste e i prodotti da queste derivati. Al momento è l’unico marchio di questo tipo ad essere condiviso anche da buona parte del mondo ambientalista, con organizzazioni come Wwf e Greenpeace e, in Italia, Legambiente. www.fscoax.org e www.fsc-italia.it     
 
sa 8000
La norma, elaborata nel 1997 da Sai (Social Accountability International) stabilisce i requisiti da soddisfare per implementare un sistema di gestione della responsabilità sociale di un’organizzazione. I criteri da verificare per la certificazione sono otto: lavoro infantile, lavoro obbligato, salute e sicurezza, libertà di associazione, discriminazioni, orario di lavoro, criteri retributivi e procedure disciplinari. www.cepaa.org
 
iso14001
La norma internazionale Iso 14001, stabilita nel 1996 e recentemente revisionata dall’International Organisation for Standardisation, fornisce i requisiti guida per l'implementazione di un sistema di gestione ambientale per permettere ad un'organizzazione di dotarsi di una politica ambientale e di stabilire obiettivi di miglioramento, tenendo conto delle prescrizioni legislative e degli impatti ambientali significativi. Non è obbligatoria la comunicazione esterna dei dati ambientali dell’organizzazione, al contrario di Emas. www.iso.org
 
emas
L’Eco Management and Audit Scheme è il Sistema comunitario di ecogestione e audit nato nel 1993 da un regolamento della Comunità Europea. Per ottenere la registrazione Emas le organizzazioni devono rispettare la normativa ambientale, migliorare continuamente le prestazioni ambientali, implementare un sistema di gestione ambientale secondo la norma internazionale Iso 14001, e impegnarsi alla trasparenza attraverso la comunicazione esterna (cosiddetta dichiarazione ambientale).
www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Certificazione_ambientale/EMAS/
 
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Toroc verde? Il comitato organizzatore delle Olimpiadi invernali in programma a Torino nel 2006 si è impegnato a “tenere  sotto controllo gli aspetti ambientali dell’organizzazione”. Per questo ha sottoscritto il progetto della Provincia di Torino sugli acquisti verdi e ha ottenuto certificazione Iso 14001 e registrazione Emas. La grande partita si gioca sugli impianti in via realizzazione, la cui sostenibilità ambientale è fortemente discutibile, come sottolinea il comitato
“No Olimpiadi” (
http://nolimpiadi.8m.com).
 
Consip, la grande appaltatrice nata per risparmiare
Acquisti pubblici, in molti casi, negli ultimi anni ha fatto rima con “Consip”. Dietro la sigla una società per azioni controllata dal ministero dell’Economia.
Dal 2000 uno dei suoi compiti è quello di far risparmiare lo Stato, attraverso un “Programma di razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi”: Consip indice bandi di gara nazionali per la fornitura di beni e servizi (computer e materiale di cancelleria, ma anche combustibili per il riscaldamento e servizi di gestione e manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica) e, in seguito,  apposite convenzioni con i vincitori. In questo modo, sfruttando la forza della domanda aggregata, è possibile ottenere prezzi più bassi dai fornitori (anche se la cosa non sempre riesce). Il Programma costa al ministero dell’Economia 45 milioni di euro l’anno ma, sottolinea la stessa Consip, nel 2003 ha prodotto risparmi diretti per “circa 918 milioni di euro”  derivati “dall’utilizzo delle convenzioni”.

Fino a tutto il 2003 le amministrazioni pubbliche interessate all’acquisto di beni e servizi per cui esistevano convenzioni erano obbligati e ricorrere a questo meccanismo, a meno che non trovassero fornitori più economici. Dal 2004 l’obbligo è stato abolito, e gli amministratori possono comprare anche al di fuori delle convenzioni purché entro i tetti di spesa da queste fissati.
Modifica sostanziale arrivata anche in seguito alla protesta di un nutrito gruppo di piccole e medie imprese italiane: in 2 mila hanno aderito al comitato “ControConsip”, denunciando che, di fatto, il sistema delle gare nazionali favorisce le aziende più grandi, penalizzando fortemente le altre. Una situazione drammatica: “Basti pensare -dice Mariarosaria Scherillo, che di ControConsip è presidente- che il 60% del fatturato della piccola e media impresa arriva da commesse pubbliche”. Senza contare la questione della qualità dei prodotti acquisiti tramite Consip, a volte considerati scadenti, come conferma un’indagine della Corte dei conti: “in sede istruttoria -si legge nel documento-  è emerso che -nel caso di alcuni enti- si sono conseguiti considerevoli risparmi non tanto in ragione dell’abbattimento dei prezzi unitari (che pure talora si è verificato in modo rilevante), bensì a causa della drastica diminuzione degli ordini, indotta dallo scadente livello dei prodotti offerti, dalla loro indisponibilità ovvero dai consistenti ritardi nella consegna”.
Anche Consip nel 2001 ha provato a cimentarsi nel gpp, con un bando per la fornitura di carta riciclata e non (in collaborazione con Anpa), per un valore di  41 milioni di euro.
 
480 amministrazioni da tutto il mondo riunite nell’Iclei
La rete dei sostenibili

La rete delle amministrazioni per uno sviluppo sostenibile si chiama Iclei, International Council for Local Environmental Initiatives. L’organizzazione ha sede a Toronto in Canada e raccoglie 480 amministrazioni pubbliche in tutto il mondo, quasi 200 i membri della sezione europea. Tra le iniziative di Iclei si segnala Procura+, una Campagna per gli acquisti responsabili che ha elaborato criteri di preferibilità ambientale per una serie di prodotti: energia da fonti rinnovabili, apparecchiature elettroniche a risparmio energetico, alimenti biologici, edifici conformi a standard di efficienza per il riscaldamento e il raffreddamento. A chi aderisce alla campagna, Procura+ propone di concentrarsi su pochi prodotti, per iniziare, analizzando i propri consumi e specificando gli obiettivi futuri di sostenibilità. La campagna fornisce alle amministrazioni un manuale e una serie di consulenze per portare a termine il progetto, garantendo un aumento del tetto di spesa sugli acquisti di un 10% massimo. Le amministrazioni italiane che aderiscono alla Campagna sono: i Comuni di Ferrara, Sesto S.Giovanni, Reggio Emilia, Ravenna, l’Ente Parco dei Nebrodi e Ufficio Unico Pit 33 Nebrodi, le Province di Torino e Cremona, l’Arpa Piemonte e l’Arpa Toscana.
Info: www.iclei.org, www.iclei-europe.org e www.procuraplus.org

E in ambito internazionale la storia di green public procurement più significativa è quella del Giappone: impegnato sul Gpp da fine anni. Le prime attività di acquisto verde a livello locale sono iniziate nel 1990 e dal 1° aprile 2001 il governo giapponese ha dichiarato il Gpp obbligatorio per tutti i dipartimenti nazionali: questo provvedimento, sottolinea l’Iclei nel rapporto The world buys green, “è rafforzato da una lista di prodotti verdi e dall’obbligo di dotare ogni dipartimento di una policy e di rendere conto degli obiettivi raggiunti”. Nell’Unione Europea sono soprattutto i Paesi nordici a distinguersi: Svezia, Germania, Regno Unito, Austria e Danimarca i più attivi. Quest’ultima in particolare è considerata tra i leader del Gpp: qui dal 1995 tutte le istituzioni governative sono obbligate a preparare una politica di acquisti eco-compatibili, in base linee guida per 50 diversi gruppi di prodotti. Una delle esperienze più importanti è quella della cittadina di Kolding, che nel 1998 si è dotata di una politica per gli acquisti verdi e che oggi vede l’inserimento di criteri di eco-sostenibilità in quasi tutte le sue procedure d’acquisto.

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