Economia
Coca-Cola & tasse: dal Vietnam un’idea al Fisco italiano
Nel Paese del Sud-est asiatico la multinazionale delle bibite non ha mai fatto profitti. Secondo l’Ho Chi Minh City Department of Taxation ciò potrebbe essere collegato a pratiche di "ottimizzazione fiscale" che danneggiano il Paese. L’inchiesta di Altreconomia (dal numero 150) spiega come lo stesso meccanismo potrebbe essere in atto anche in Italia. Guarda la sintesi dell’inchiesta su YouTube e acquista il PDF dell’articolo
Quando Coca-Cola ha annunciato 300 milioni di dollari di nuovi investimenti in Vietnam, nell’ottobre 2012, qualcuno ha storto la bocca. “Com’è possibile che un’impresa che non realizza profitti da vent’anni, e che per questo non ha mai pagato tasse nel Paese, possa ‘credere’ ancora in noi, nella crescita potenziale di questo mercato?”, s’è chiesto -ad esempio- Le Duy Minh, che non è un cittadino ma il capo del primo Dipartimento d’ispezione dell’Ho Chi Minh City Department of Taxation.
È per rispondere a questa domanda che Minh ha preso in mano tutti i bilanci di Coca-Cola, verificando che la filiale locale di The Coca-Cola Company ha cumulato -negli anni- perdite per 181 milioni di dollari, “superiori al capitale investiti di 141,8 secondo l’Ho Chi Minh City Department of Taxation. Per questo, ha spiegato Minh al Vietnam Business News, Coca-Cola -e anche la “concorrente” PepsiCo è “oggetto di un’ispezione che ci aiuterà a scoprire se l’impresa abbia realizzato pratiche di transfer pricing in Vietnam”.
Secondo Altreconomia, è una “chiave di lettura” e una “pista di lavoro” che potrebbe tener buona anche per la nostra Agenzia delle Entrate: il transfer pricing è, infatti, una procedura di determinazione dei prezzi delle transazioni commerciali tra società che fanno capo ad uno stesso gruppo che permette di trasferire reddito imponibile verso Paesi con fiscalità attenuata, prima che questi possano essere tassati.
E anche Coca-Cola HBC Italia ha chiuso in rosso i bilanci 2011 e 2010 (quelli che abbiamo potuto visionare), con perdite intorno ai 40 milioni di euro, e se è vero che la formula segreta di Coca-Cola in Italia, cui abbiamo dedicato la copertina del numero di giugno, si basa sull’acqua low cost (l’impresa riconosce alle Regioni poco più di 30mila euro di canoni di concessione per oltre 2 miliardi di litri), un altro ingrediente fondamentale è -senz’altro- il “concentrato”, cioè il composto che trasforma l’acqua in Coca-Cola. Coca-Cola HBC Italia lo acquista dalla casa madre, The Coca-Cola Company, che ha sede ad Atlanta, in Georgia, ma dal punto di vista fiscale risiede nello Stato Usa che più garantisce alle imprese una fiscalità agevolata, il Delaware.
Potrebbe essere lo strumento del transfer pricing.
Ce lo suggerisce anche una lettura del bilancio di The Coca-Cola Company (è pubblico: l’impresa è quotata a New York): “Bevande e prodotti finiti garantiscono maggiori entrate ma minori margini operativi rispetto ai concentrati e sciroppi”. Questi ultimi, sono venduti (anche) a favore di imbottigliatori nei quali The Coca-Cola Company detiene partecipazioni, tra cui Coca-Cola HBC Italia: è così che parte dei ricavi italiani volano in Delaware.
Per capire se è davvero così, basterebbe sapere “a quanto” il concentrato viene caricato sul bilancio di Coca-Cola HBC Italia. Purtroppo, non è possibile. La voce “costi per l’acquisto delle materia prime” è presentata in aggregato.
Altreconomia ha posto la domanda direttamente a Coca-Cola:
È possibile vedere scorporata (suddivisa) della voce di bilancio relativa al costo per "materie prime"? In particolare, quanto costa il "concentrato"?
Questa, però, è stata la risposta, evasiva:
Il costo delle nostre materie prime viene tradizionalmente comunicato in termini aggregati, anche per assicurare ai nostri stakeholder e consumatori interessati il monitoraggio dell’andamento nel corso degli anni. Tutte le informazioni sono pubblicate sul sito www.lanostraricetta.it, e a breve sarà aggiornato con i risultati 2012, attualmente in fase di raccolta e verifica.
In Vietnam, i dati diffusi dall’Ho Chi Minh City Department of Taxation non sono passati sotto silenzio: Vo Duy Khuong, vicesindaco di Danang, la città dov’è attivo uno dei tre stabilimenti di Coca-Cola nel Paese, ha spiegato ai dirigenti di Coca-Cola che l’amministrazione avrebbe rifiutato il permesso di allargare il proprio stabilimento, perché sospettata di transfer princing. L’iniziativa è sostenuta anche dai cittadini del Danang City People’s Committee.
Poiché il fisco vietnamita ha aperto gli occhi, Coca-Cola, di solito molto riservata sui “numeri”, non ha potuto restare in silenzio: in visita nel Paese asiatico nei primi giorni di giugno 2013, Irial Finan, vice presidente di Coca-Cola, “ha spiegato che l’impresa non avrebbe dovuto pagare tasse sul reddito d’impresa perché ancora non ha realizzato profitti” secondo quanto riporta VietNamNet Bridge, quotidiano on line in lingua inglese.