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Opinioni

C’era una volta Poste italiane

La società, prossima alla privatizzazione, disegna gli scenari qualora venisse meno ogni obbligo di garanzia di un "servizio postale universale". Almeno il 60 per cento degli uffici verrebbero chiusi, e per i cittadini che vivono nei Comuni con meno di 500 abitanti il postino sarebbe un ricordo: non passerà più. Oltre il 52% della popolazione italiana sarebbe servita dal recapito un giorno alla settimana. "C’era posta per te", l’approfondimento da Ae 158

La privatizzazione di Poste spa, che è in corso e potrebbe concludersi nell’autunno del 2014 con la cessione del 40% delle azioni da parte del ministero del Tesoro, rischia di aprire la strada alla fine del servizio postale.
Gli scenari “futuribili” sono quelli descritti da Poste nell’ambito di una consultazione in corso presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), qualora venisse meno per l’azienda l’obbligo di garantire il “servizio postale universale”, cioè quelle attività di recapito e di copertura territoriale “fuori mercato” per cui l’azienda riceve -ogni anno- un contributo dallo Stato, in base a una Convenzione che riconosce -tra l’altro- agli uffici postali una funzione di “protezione del sistema di coesione sociale del Paese”, garantendo la “fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni”. La premessa -copiamo dall’allegato B alla delibera n. 260/14/CONS dell’AGCOM- è che “la normativa europea di riferimento considera ammissibili meccanismi di finanziamento nella misura in cui siano atti ad evitare che sul fornitore del servizio universale finisca per gravare un onere eccessivo”.

La delibera definisce come “compito del fornitore del servizio universale garantire l’attivazione di un congruo numero di punti di accesso, secondo criteri di ragionevolezza e tenuto conto delle esigenze dell’utenza (lett. c), nonché determinare il prezzo accessibile attraverso un orientamento ai costi che abbia, come riferimento, un’efficiente gestione aziendale”. Invece “l’operatore privo di obblighi, non avendo più gli attuali vincoli in termini di copertura territoriale e recapito giornaliero, in una logica di mercato, modifica i livelli di servizio da proporre alla clientela e, di conseguenza, procede ad una riorganizzazione del recapito e della sua rete di vendita, sino al punto di determinare la totale eliminazione di taluni servizi”.

Che cosa farebbe, Poste italiane, di fronte al venir meno dell’obbligo di servizio universale?
Intanto, realizzerebbe “una riduzione dei centri di distribuzione (circa il 60%) e del personale destinato al recapito delle lettere (circa il 60%) e una razionalizzazione degli impianti di smistamento automatizzati e manuali su tutto il territorio nazionale”.
Poi, aumenterebbe “il numero di zone di recapito servite dallo stesso portalettere”, riuscendo così a “razionalizzare (sic!) il numero totale di portalettere”.

Questo si realizza a discapito degli utenti: “La garanzia di un recapito quotidiano [sarebbe] limitato alle Aree Metropolitane (AM), ossia Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino, Venezia”. Nei “Comuni aventi popolazione compresa tra 26-28.000 e 500-540 abitanti”, invece, il recapito avverrebbe solo una volta a settimana. L’allarme rosso, però, si accende per i Comuni con popolazione inferiore ai 500 (o 540, in un diverso scenario) abitanti, che non vedrebbero “nessun servizio di recapito”. Opzione zero, insomma.

In termini percentuali, ciò significa che “più del 52% della popolazione italiana sarebbe servito con recapito un giorno alla settimana”, e che “al 57% delle zone di recapito verrebbe associata una frequenza di un giorno alla settimana”.

Lo scenario eventuale relativo agli uffici postali non è molto diverso, anche se il documento dell’AGCOM omette alcuni dati relativi alla concentrazione della redditività: “Poste Italiane riferisce che oltre il [omissis]% dei ricavi è concentrato nel 30% della rete distributiva (circa 4.000 UP). I restanti 10.000 UP producono solo il [omissis]% dei ricavi; di questi ultimi, infine, circa [omissis] UP sono mono operatore”. “Quanto al grado di copertura territoriale della rete core, costituita dai principali 4.000 UP, Poste Italiane stima che essa serva solamente circa [omissis] degli oltre 8mila Comuni italiani”.

Anche se non sappiamo quanti Comuni -e quanti abitanti- potrebbe veder venir meno il presidio territoriale rappresentano dall’ufficio postale, è certo che “in assenza dei vincoli da servizio universale, Poste Italiane ipotizza di eliminare circa 9mila uffici postali e questo gli consentirebbe di riorganizzare e, di conseguenza, ridurre in modo proporzionale gli itinerari di raccolta, generando un risparmio sui costi della gestione diretta (personale, canoni di noleggio, carburante) e sui costi di appalto (accollatari)”.

Inoltre, “Poste Italiane ipotizza, attraverso i suoi modelli operativi di riordino della rete logistica, la chiusura di circa il 70% dei centri postali di accettazione della corrispondenza business, destinati prevalentemente alla raccolta della Posta massiva, Posta prioritaria, Raccomandata non retail, Atti giudiziari. Tale scelta organizzativa non avrebbe secondo Poste Italiane alcun impatto sui volumi. In realtà -scrive l’AGCOM- l’ipotesi di chiusura dei centri di accettazione business, lascerebbe ai clienti business la possibilità di consegnare la corrispondenza in soli 30 punti, poco più di uno per Regione, lasciando prive di centri di accettazione molte province anche di grandi dimensioni”.

Per quanto riguarda la forza-lavoro, che oggi pesa per oltre il 60 per cento sui costi di Poste Italiane, l’operazione che non dovesse più espletare il servizio universale potrebbe “liberarsi” di oltre ventimila portalettere.

Prevenire questi tagli draconiani ai servizi offerti ai cittadini italiani e la chiusura degli uffici postali per lo Stato ha un costo “minimo”, dato che l’onere del servizio universale per gli anni 2011 e 2012 è stato calcolato pari -rispettivamente- a 709 e 704 milioni di euro. Questo corrispettivo dovrebbe, però, essere appannaggio di un soggetto pubblico: gli scenari ipotizzati rischiano di farsi reali, a prescindere, se le Poste diventano una società per azioni quotata in Borsa, privata, i cui azionisti non avranno più un obiettivo di “lungo periodo” -garantire un servizio efficiente ai cittadini italiani- ma quello di massimizzare la loro ricchezza nel breve. Che servizio universale sarà in grado di garantire una società quotata?

Resta da capire, infine, se alla consultazione -ancora in corso- parteciperò anche Cassa depositi e prestiti: gli uffici postali sono fondamentali per la raccolta del risparmio dei cittadini italiani (circa 12 milioni di famiglie), che sottoscrivendo libretti e Buoni fruttiferi postali (per circa 240 miliardi di euro) garantiscono alla CDP una “potenza di fuoco” sui mercati. Che ne pensa, la società guidata da Franco Bassanini, dell’ipotizzata eventuale chiusura del 70% degli uffici postali?

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