Ambiente / Opinioni
Il cambiamento climatico e la campagna elettorale
È tempo di elezioni. Rispetto al 2013 -quando i partiti dimenticarono il climate change- molte cose sono cambiate. Tocca ai programmi
Fra poco entrerà nel vivo la campagna elettorale (che in Italia non è mai finita). Si scriveranno i programmi, ci saranno dibattiti. È legittima la speranza che si parli anche di cambiamento climatico. Fino a oggi le politiche per contrastare il surriscaldamento globale sono rimaste ai margini. Nei programmi delle forze di centrosinistra nel 2013 si trova traccia di impegni generici sullo sviluppo sostenibile, la green economy, l’efficienza energetica.
Ma i termini “cambiamenti climatici”, “riscaldamento globale” sono sostanzialmente assenti; anche nei dibatti fra i candidati a presidente del Consiglio, silenzio assoluto. Chi conosce la politica ritiene che se i politici si sono comportati in questo modo è perché ritenevano che agli elettori questi temi non interessassero. Può darsi.
Eppure, in queste elezioni sarebbe legittimo aspettarsi qualcosa di diverso. Perché negli ultimi cinque anni qualcosa è cambiato. Non solo il clima del Pianeta, anche il modo in cui molti italiani guardano al problema. Con più interesse, curiosità. Nelle iniziative pubbliche i numeri sono raddoppiati rispetto a qualche anno fa. Si parla di clima nelle riunioni di agricoltori, industriali, banchieri, nei circoli di sinistra e nei convegni sulle migrazioni del mondo cattolico.
È aumentata la consapevolezza che il problema esiste e che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Le domande dei negazionisti sono quasi scomparse. Sarà state l’estate torrida in molte Regioni, la siccità che ha messo in crisi diverse province, le immagini delle devastazioni degli uragani su Texas, Florida e Porto Rico: oggi l’interesse è cresciuto.
Per questo mi sento di dare un suggerimento a chi si appresta a scrivere programmi e a candidarsi: parlate anche di cambiamenti climatici. Senza promesse roboanti e impossibili da realizzare. Fate capire la rilevanza strategica di questo problema. Non abbiate timore di parlare della necessità di eliminare i combustibili fossili. Fate capire che è solo una questione di scelte e di politica industriale. Che l’Italia importa tanti combustibili fossili, e per questo farsi in casa l’energia può essere conveniente. Non abbiate paura, i sondaggi mostrano che c’è un vasto consenso per le energie rinnovabili.
82% è la percentuale di popolazione che, nell’indagine “Green Energy Barometer” condotta in 13 Stati, si dichiara a favore di un sistema energetico interamente rinnovabile
Preparatevi una risposta a chi dice che sono troppo costose (oggi non lo sono sempre, ci sono i costi ma anche i benefici, serve solo il supporto che in passato è stato concesso alle altre tecnologie energetiche, ecc.). Fate capire che la transizione verso un nuovo sistema energetico richiede grandi investimenti, ma porterà posti di lavoro. Che gli investimenti necessari per l’efficienza energetica e le rinnovabili secondo molti studi autorevoli sono molto più convenienti di quelle per le vecchie energie fossili. Per cambiamenti epocali servono azioni decise, indirizzi coerenti per la politica industriale, l’urbanistica e le infrastrutture; investimenti pubblici e privati, incentivi e divieti appropriati.
È indubbia l’importanza dei temi del lavoro e della lotta alla disoccupazione. Se il clima è cambiato, però, ci deve essere un modo nuovo per declinare il tema. La catastrofe del lavoro, davanti agli occhi di tutti, confermata dalle feroci percentuali di disoccupati che diventano drammatiche fra i giovani e nelle zone rurali o periferiche al grande business finanziario, ci dice che la retorica sviluppista novecentesca è al capolinea. Prenderne atto conviene a tutti, e il cambiamento climatico ci fornisce un’occasione per cambiare direzione.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2016)
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