Esteri / Opinioni
Ragioni e prospettive del rinato principio di autodeterminazione
“L’indebolimento dell’idea di nazione deriva anche dalla crisi di legittimità della politica, intesa come rappresentazione sempre troppo mediata, come parlamentarismo malato e come costoso e inutile giocattolo nelle mani di un ceto autoreferente”. Il commento di Alessandro Volpi
La tesa vicenda catalana rappresenta l’espressione più evidente di un fenomeno ormai assai diffuso in Europa, identificabile nel risveglio del principio di autodeterminazione. Si tratta dell’idea secondo cui la volontà popolare può esprimersi in qualsiasi momento e su qualsiasi tema, soprattutto sull’appartenenza nazionale, superando le regole formali più vincolanti, persino quelle definite nelle Costituzioni.
Al grido “i popoli si autodeterminano” prendono consistenza così varie forme di democrazia diretta, a cominciare dai referendum, secondo modalità non previste nelle Carte costituzionali e senza passare dalla modifica degli articoli delle stesse Costituzioni. Le cause di tale fenomeno sono sicuramente molteplici e, per vari aspetti, assai difficili da individuare ma due di esse sono forse più chiare di altre.
1) Il ritorno in auge della democrazia diretta e la costante celebrazione del principio di autodeterminazione sono riconducibili alla crisi storica dell’idea di nazione; una crisi, però, spesso insita in quella medesima idea. Le appartenenze nazionali sono state il portato di un processo maturato fin troppo rapidamente nel corso del “lungo” Ottocento e in molti casi legato all’acquisizione dell’indipendenza da secolari occupazioni straniere. Non di rado l’idea di nazione si è definita quindi in contrasto con la presenza di un “usurpatore forestiero” e con il supporto, invece, delle aspirazioni all’unificazione del Paese. Tale idea, per essere rapidamente efficace, doveva essere molto pedagogica al fine di “nazionalizzare” le popolazioni, senza addentrarsi nell’opera, ben più complessa e faticosa, di sviluppare una reale coscienza nazionale e senza indagare troppo sull’esistenza di reali motivazioni di coesione. Questa efficacia, da conseguire in tempi stretti, trovò allora il proprio principale alimento nei linguaggi più immediatamente evocativi e toccanti, costituiti dall’arte, dalla musica e della letteratura. In altre parole l’idea di nazione è stata, in diverse realtà europee, un mito artistico-letterario che non ha fatto i conti con i contenuti di una concreta e “materiale” nozione di cittadinanza. Un’idea così artificialmente costruita era destinata però a restare assai elitaria e non riusciva, in alcun modo, a rappresentare i caratteri molto tradizionalisti della cultura popolare, conoscendo una profonda trasformazione e una maggiore diffusione solo con l’affermarsi delle strutture degli Stati che ad essa si richiamavano ma che, in realtà, erano l’esito di soluzioni dinastiche o di sanguinosi conflitti. Lo Stato-nazione non era dunque molto più solido, in termini di adesione popolare, rispetto alla precedente appartenenza nazionale e il successivo sforzo di “nazionalizzazione delle masse”, posto in essere dai regimi del Novecento, si adoperò per utilizzare proprio quella già artificiale idea di nazione come strumento di consenso nei confronti dei vari autocrati.
2) Era inevitabile quindi che con l’indebolimento degli Stati, con la fine delle ideologie che avevano sorretto i regimi e con l’avvento dei lessici universalistici e conflittuali della globalizzazione, una simile idea di nazione tendesse a dissolversi lasciando spazio semmai a quella di patria, o meglio di patrie, ben poco letterarie e radicate sulle specificità dei territori. Le piccole patrie hanno spesso contenuti decisamente reali e esprimono egoismi passionali molto più forti di qualsiasi idea di nazione che pare sopravvivere, semmai, nei nuovi sovranismi soltanto in chiave escludente. Hanno anche una marcata vocazione identitaria, interpretata come la pressoché sola risposta utilizzabile alla paura di dissolvimento nel mare sconosciuto del mondo globale e come luogo di autodeterminazione, al sicuro dalle infinite incognite provenienti da qualsiasi forma di potere sovraordinante. In questo indebolimento dell’idea di nazione svolge un ruolo non trascurabile anche la crisi di legittimità della politica, intesa come rappresentazione sempre troppo mediata, come parlamentarismo malato e come costoso e inutile giocattolo nelle mani di un ceto autoreferente, incapace di risolvere le grandi questioni della disuguaglianza sociale; una categoria quella della politica politicante in cui è finita, da tempo, l’immagine dell’Europa, delle sue istituzioni e della sua moneta.
Ogni popolo, orgogliosamente “piccolo”, ambisce alle sue “piccole “istituzioni e alla sua “piccola” moneta, considerate il miglior presidio alle pericolose contaminazioni esterne, persino nelle aree come la Catalogna che dai contatti esterni traggono i maggiori benefici.
Università di Pisa
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