Cultura e scienza / Opinioni
Angela Maria Cingolani, la prima donna in Parlamento
La deputata democristiana prende parola il 25 settembre 1945. L’invito a combattere per la libertà, richiamando Santa Caterina da Siena. La rubrica di Tomaso Montanari
Cosa ha a che fare la figura di una mistica del Trecento, Caterina da Siena, con la nostra moderna democrazia italiana? Siamo alla Consulta nazionale, subito dopo la Liberazione, in un’Italia finalmente liberata dal fascismo: qua ci sono finalmente anche le donne, che non avevano mai partecipato a nessun Parlamento, e che voteranno solo per il Referendum tra Repubblica e monarchia e per l’Assemblea costituente nel 1946. In Consulta Angela Maria Cingolani, deputata democristiana, fa risuonare per la prima volta -è il 25 settembre del ’45-la voce di una donna in un’assemblea parlamentare italiana. Il discorso è strepitoso: “Cari colleghi uomini, vi invito a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto e ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale”.
Leggendo questi democristiani degli anni Quaranta e Cinquanta, constatiamo quanto la politica si sia spostata a destra: un discorso così oggi sarebbe di estrema sinistra: “È mia convinzione -continuava- che se non ci fossero stati questi vent’anni di mezzo, la partecipazione della donna alla vita politica avrebbe già una storia e vi dirò che forse è bene che noi entriamo nella vita politica in questa tragica ora che vive l’Italia. Noi donne, che siamo temprate a superare il dolore e il male con la nostra operosità, siamo fiere di essere in prima linea nell’opera di resurrezione a favore del popolo nostro”. Giustizia e Libertà aveva detto “insorgere, risorgere”: una resurrezione laica, politica, libertaria. “Non si tema per questo nostro intervento quasi un ritorno a un matriarcato, se pure sia mai esistito, abbiamo troppo fiuto politico per aspirare a questo. E comunque, peggio di quello che hanno saputo fare gli uomini, noi certo non riusciremo mai a fare”: un’ironia drammatica e intelligente dopo il disastro dell’Italia fascista, tutta virile e maschile. “Il fascismo ha tentato di abbrutirci, con la cosiddetta politica demografica, considerandoci unicamente come fattrici di servi e di sgherri, sicché un nauseante sentore di stalla domina la vita familiare italiana. La nostra lotta contro la tirannide tramontata nel fango e nel sangue, ha avuto un movente eminentemente morale, perché la malavita politica che faceva mostra di sé nelle adunate oceaniche, fatalmente sboccava nella malavita privata”. Roberto Saviano ha riportato d’attualità la parola “malavita”, definendo Matteo Salvini “il ministro della malavita”.
In questo testo si metteva a confronto la malavita del regime fascista, quella pubblica delle adunate oceaniche, con la malavita privata, il maschilismo feroce dei gerarchi fascisti. “Per la stessa dignità di donne, noi siamo contro la tirannide di ieri, come qualunque possibile ritorno a una tirannide di domani… Colleghi, ho finito, ma come donna italiana, figlia del mio tempo, sento di non poter meglio concludere se non con sostituire alla mia parola quella ardente della grande popolana di Siena. A distanza di secoli e in una situazione ugualmente catastrofica per il nostro Paese, Caterina incita ed esalta le donne italiane a un’intrepida operosità. E queste sono parole di Caterina: Traete fuori il capo, uscite in campo a combattere per la libertà. Venite e non andate ad aspettare il tempo, perché il tempo non aspetta noi”.
Parole urgenti: oggi ancor più che nel 1945. O nel Trecento.
Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio “Giorgio Bassani” di Italia Nostra.
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