Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Opinioni

Ancora consumo di suolo. Meno ma sempre troppo per rimanere nel futuro

© Getty Images - Unsplash

Con la drammatica crisi ecologica in atto dovremmo bloccare la corsa di asfalto e cemento, liberando spazi. E invece, in un Paese ancora privo di una legge nazionale in materia, Regioni e Comuni continuano a macinare suolo, a rincorrere la rendita, a conformarsi a un modello insostenibile che procura e procurerà sempre più gravi problemi. L’analisi dell’ultimo Rapporto sul consumo di suolo a cura di Paolo Pileri

È appena stato pubblicato l’undicesimo Rapporto sul consumo di suolo. Apriamo dicendo che l’incremento lordo di consumo di suolo dell’ultimo anno è sceso, passando da 8.500 ettari del periodo 2021-2022 a 7.254 del periodo 2022-2023. È innegabilmente una buona notizia.

Però non cantiamo vittoria troppo presto perché gli oltre settemila ettari rimangono un’esagerazione e continuano a tenerci ben al di sopra di ogni limite accettabile di sostenibilità: 19,9 ettari/giorno, ovvero 2,3 metri quadrati al secondo. Sempre troppi, sempre uno sfregio che sfigura il nostro territorio.

Una contrazione per la quale non abbiamo nessun elemento per considerarla l’esito di una folgorazione ecologica delle politiche urbanistiche dell’ultimo anno. Probabilmente parte della riduzione è da attribuirsi al ripristino di aree di cantiere prima conteggiate come suolo consumato e ora ripristinato. Un ripristino che, ricordiamolo, non azzera i danni e i disturbi ecosistemici che il suolo ha comunque subito negli anni di cantierizzazione.

Siamo un Paese che ancora corre a cementificare, condannandosi a rimanere lontanissimo dall’obiettivo del consumo netto di suolo zero.

La classifica regionale del consumo di suolo porta delle novità. La più inaspettata (per alcuni) è quella del primato dell’Emilia-Romagna che è balzata al primo posto per consumo di suolo netto (735 ettari nel 2023) nonché seconda per consumo di suolo lordo (815 ettari) dietro al Veneto (891 ettari).

Per chi ancora non ci credeva, è arrivata ora la dimostrazione che la tanto decantata legge urbanistica emiliano-romagnola (L.R. 24/2017) non è capace di fermare il consumo di suolo nonostante i proclami di quel governo regionale. Emilia-Romagna e Veneto hanno disarcionato l’eterna prima della classe, la Lombardia, che ora si attesta a 728 ettari/anno di consumo di suolo netto.

Pur salutando con interesse la contrazione lombarda, anche qui non possiamo dire che la diminuzione sia l’esito di una legge sul consumo di suolo che, semmai lo fosse, lo sarebbe a scoppio assai ritardato visto che sono passati dieci anni. Sta di fatto che a livello nazionale siamo saliti al 7,16% di superficie consumata pari a 365,7 metri quadrati di asfalto e cemento per ogni cittadino (+1,23 metri quadrati rispetto all’anno precedente).

A fronte di una generale riduzione del consumo di suolo, vi sono Regioni che hanno invece segnato un tasso di variazione positivo: Toscana (+23,5%), Umbria (+39,3%), Campania (+0,8%) e Basilicata (+8,6%). Stupisce e preoccupa il caso della Toscana dove è vigente la legge urbanistica più conservativa per il suolo ma che, probabilmente, le forze del cemento sono riuscite ad aggirare nell’ultimo anno.

Andiamo a vedere la situazione a livello provinciale aiutandoci con il coefficiente di urbanizzazione ovvero il rapporto tra aree urbanizzate e area totale. In molte aree del Paese il coefficiente è molto alto ed è ulteriormente aumentato, generando squilibri e criticità ecologiche e ambientali sempre più gravi: isole di calore, maggior esposizione a danni da alluvioni, etc. Ci sono province con coefficienti che sfiorano il 41% (Monza Brianza), il 32% (Milano), il 35% (Napoli), il 21% (Trieste).

Scendendo al livello comunale, la situazione rimane anche qui assai grave: in Campania si arriva a Comuni con oltre il 90% di superficie impermeabile (Casavatore), in Lombardia Lissone arriva circa al 71,5%, Sesto San Giovani al 70%; in Emilia-Romagna Cattolica è al 62,5%, in Abruzzo Pescara al 52%. E tantissimi sono i Comuni con oltre il 40% di superficie urbanizzata, valore che farebbe preoccupare immensamente uno scienziato come Johan Rockstrom per il quale la situazione è già ampiamente grave quando il peso delle aree urbane sommate a quelle agricole supera il 15% rispetto alla superficie totale.

Valori che sono figli di consumi di suolo più o meno elevati in molti Comuni. Il più elevato consumo di suolo lo ha totalizzato un piccolo Comune alle porte di Cagliari, Uta, con ben 105 ettari dovuti a serre e nuovi impianti fotovoltaici (ribadiamo la preoccupazione per la mancata pianificazione rigorosa della localizzazione delle rinnovabili). Segue Ravenna (il cui sindaco è ora il neopresidente della Regione Emilia-Romagna) con +89 ettari che scavalca Roma (+71,3 ettari) da sempre la top-consumer.

Tra le prime città consumatrici abbiamo anche Alessandria (+61,7 ettari), dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato il 26 novembre scorso per ricordare la terribile alluvione del 1994 e dove, ne concludo, il buon governo del territorio non è stato per nulla buono con il suolo, impermeabilizzando altre decine di ettari, esponendo la città e il territorio a nuovi rischi alluvionali.

A proposito di buon governo del territorio, non possiamo non ricordare la prestazione sempre scintillante di Milano, Comune recentemente oggetto di pseudo condoni edilizi (“Salva Milano”), che pur professandosi città green, ha cementificato altri 19 ettari circa (330,5 ettari tra il 2006 e il 2021 di cui il 23% solo tra il 2017 e il 2022).

Anche Bologna non ha spento la betoniera: +21,4 ettari nel 2022-23, + 16,8 nel 2021-22. Idem Venezia con +23,3 ettari nel 2022-23 e +40,32 nel 2021-22. E potremmo proseguire quasi all’infinito per arrivare a dire che le città continuano a macinare suolo, a rincorrere la rendita, a conformarsi a un modello di insostenibilità che procurerà grossi problemi nel futuro.

Con la grave crisi ecologica in corso abbiamo bisogno dell’esatto opposto: città che fermano il consumo di suolo, usano solo quel che hanno e liberano spazi. E invece, continuano a spalmarsi di asfalto per poi stendersi al sole della crisi climatica e abbrustolirsi (e noi con loro).

Ma anche gli altri Comuni consumano? Più i piccoli o i grandi? La maggior responsabilità va sulle spalle dei Comuni medi (quelli tra i 5mila e i 50mila abitanti) con il 58,3% del consumo di suolo dell’ultimo anno. Seguono i piccoli (sotto i 5mila abitanti) con il 23,6%. Si affaccia di nuovo il tema della frammentazione amministrativa come fattore che spinge il consumo di suolo. Oppure il fatto che i piccoli Comuni si trovano a subire le grandi trasformazioni funzionali ai capoluoghi ma che sarebbe troppo caro localizzare là. Ad esempio, la logistica o i data center o le grandi aree parcheggio o gli impianti energetici per le rinnovabili.

E poi ci sono gli effetti ambientali negativi che il consumo di suolo produce e scarica sulle spalle dell’ambiente e degli abitanti. Sono tanti e nel Rapporto sono documentati. Ricordiamo l’effetto isola di calore urbana. L’aumento del cemento significa aumento delle superfici che si scaldano di giorno e che scaldano le notti, rilasciando il calore accumulato, abbassando la qualità della vita urbana sia di giorno che di notte. Il differenziale di temperatura tra aree urbane e rurali è di oltre 10° C in molte città al punto da condannare intere Regioni alla graticola. Così nelle città di Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Liguria.

E poi, da non crederci, continuano i consumi di suolo in aree a pericolosità idraulica (+1.108 ettari in media pericolosità) come se non fossimo stati mai travolti da tragedie come quelle subite da poco nelle Marche, in Romagna e in Toscana. E continuano anche le cementificazioni in aree a pericolosità di frana: +37,7 ettari in aree a pericolosità di frana molto elevata; +79,2 in aree a elevata pericolosità; +146,5 in aree a media pericolosità.

Come vedete il consumo di suolo non si è fermato e mai si fermerà da solo. Siamo noi a doverlo fermare. È la responsabilità di politici, tecnici e urbanisti in primis. Ognuno dando voce a questa emorragia per come può fare. Importante è non distrarsi. La distrazione è assolutamente vietata soprattutto per chi ha responsabilità politiche di governo del territorio. Occorre accelerare sulla approvazione di una legge che fermi il consumo di suolo. Vedo invece che il Parlamento e tanta politica spendono energia a profusione per proroghe, condoni e interpretazioni autentiche. Autentiche non certo per il suolo e per il clima. Autentiche ancora una volta per il cemento, i soldi, il consumismo avido e le speculazioni.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Dalla parte del suolo” (Laterza, 2024)

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati