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Ambiente

Ambo declaration: quando Copenhagen esce dalla porta per rientrare dalla finestra

Hanno l’acqua alla gola. E non è un eufemismo. Sono i piccoli stati insulari, come le Maldive, Tuvalu, buona parte degli atolli della Polinesia. Saranno le prime vittime del cambiamento globale, i primi sommersi di una situazione disastrosa che porterà…

Hanno l’acqua alla gola. E non è un eufemismo. Sono i piccoli stati insulari, come le Maldive, Tuvalu, buona parte degli atolli della Polinesia. Saranno le prime vittime del cambiamento globale, i primi sommersi di una situazione disastrosa che porterà sott’acqua zone di Paesi ben più popolosi e conosciuti, come il Bangladesh.
Si sono incontrati alcuni giorni fa nell’isola di Kiribati, sud pacifico, durante una conferenza sul cambiamento climatico, dove il presidente del Paese ospitante Anote Tong ha messo nero su bianco la necessità di trovare e stanziare fondi per aiutare i Paesi vulnerabili ad affrontare il cambiamento climatico.
L’approccio è ottimistico, soprattutto sulla possibilità di trovare un accordo globale legalmente vincolante soprattutto per il taglio delle emissioni, ma si sottolinea diplomaticamente che i Paesi vulnerabili non possono aspettare ancora a lungo per ricevere risorse per salvare le loro coste.
"Il messaggio che stiamo cercando di lanciare da qui molto chiaramente è che il tempo sta passando", ha dichiarato Ante Tong, "e se la comunità globale continuerà a discutere a lungo potrebbe essere troppo tardi per alcune delle nostre comunità"
"Stiamo già soffrendo" ha continuato, "e stiamo già sentendo gli effetti. Noi… non abbiamo i prossimi cinque anni per negoziare, per questo sono necessarie decisioni ferme perchè il finanziamento sia accessibile e disponibile".
Kiribati è un Paese che vive a pochi metri sul livello del mare (non più di due metri) ed è formato da oltre 32 atolli corallini che già stanno soffrendo della penetrazione delle acque marine nell’interno, che ha portato a perdite di colture agricole ed alla salinizzazione delle falde di acqua potabile. Se le previsioni di possibile scioglimento anche parziale dei ghiacciai mondiali come conseguenza del riscaldamento globale, aree costiere come Kribiati potrebbero essere letteralmente inondate. Stati come Kiribati e Tuvalu nel sud Pacifico ed isole come le Maldive nell’Oceano Indiano sono minacciati più di altri da un oceano in crescita.
A Kiribati si sono incontrati delegati di oltre 19 nazioni, tra cui potenze come Cina, India e Brasile, ed hanno approvato l’Ambo Declaration, che chiede per lo stanziamento di fondi urgenti per combatter da subito gli impatti del cambiamento climatico sui Paesi insulari.
Una dichiarazione che riprende il Copenhagen Accord, che identifica in un fondo di 30 miliardi di dollari le risorse da stanziare per aiutare i Paesi più vulnerabili. Hanno provato ad imporre l’Accordo a Copenhagen, deciso da pochi e presentato ai più, che semplicemente hanno scelto di "prenderne atto". Il non accordo è stato un passo rischioso per le procedure democratiche interne alle Nazioni Unite, ma i tatticismi nel processo negoziale, che rischiano di rimandare l’importanza di un accordo vincolante al prossimo anno, hanno anche un altro effetto. Rallentare significa mettere i Paesi davanti ad un dato di fatto: rimettersi in riga ed accettare il Copenhagen Accord, con le risorse limitate che prevede e con i rischi collegati (chi gestirà questi fondi? La Banca Mondiale?) o finire sott’acqua.
In ogni caso Paesi come Australia, Nuova Zelanda e Giappone hanno deciso di sostenere la declaration, come hanno fatto molti Stati insulari come le Maldive, Fiji, e le Marshall Islands. Dopo alcune incertezze anche la Cina ha deciso di firmare. All’inizio della Conferenza, i delegati da Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito e Francia avevano dichiarato che non avrebbero firmato né approvato nulla, in attesa della COP16 di Cancun.
Il Presidente di Kiribati si è detto "non sorpreso, ma piuttosto infastidito" per la situazione. "Avrei preferito un impegno più deciso".
 

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