Opinioni
Al bivio tra capitalismo e democrazia
C’è solo una strada per l’Italia. È la strada che svolge la ripresa del cammino della democrazia. Ogni altra ipotesi è rovinosa. Mi riferisco in particolare alle altre due possibilità che oggi, per le prossime elezioni politiche, si ripresentano sulla scena della vita pubblica e pretendono nuovamente il consenso popolare.
Da una parte siamo ancora alle prese con il ritorno di Silvio Berlusconi e della sua corte, cosa che se fosse ancora realizzabile aggiungerebbe disastro a disastro. Ma è un’ipotesi che si pone ormai fuori dalla realtà, oltre che fuori dalla ragione e dal minimo senso del pudore. Che sia stato possibile ripresentarla nella situazione attuale ci avverte però del fatto che l’uscita di scena di Berlusconi non dà alcuna garanzia di miglioramento democratico finché resta vivo il berlusconismo come condensato di una mentalità diffusa, pervasa di individualismo, di cinismo e di sentimenti antidemocratici.
D’altra parte si delinea l’ipotesi di un centro insieme liberista, impersonato dalla figura di Mario Monti. È la prospettiva amata da quanti esaltano l’Europa fedele ai mercati, legittimati dalla loro “moderazione” e dalla difesa dei cosiddetti “valori cristiani”. Questo orientamento politico darebbe seguito con piena convinzione agli imperativi del liberismo, pazienza se questa politica costerà disoccupazione, cessazione di servizi pubblici, negazione di diritti fondamentali, miseria, sofferenze, accantonamento della democrazia. Quando, con espressione apparentemente innocua, si evoca “l’agenda Monti”, presentandola come la via obbligata per l’Italia, in effetti si pensa a un modo di governare che porterebbe senza dubbio a risultati del genere.
Chi confonde questa “agenda” con una attenta politica di eliminazione degli sprechi e di buon governo del bilancio pubblico non si rende conto della radicalità liberista e antidemocratica propria di un simile programma. Già la parola usata dovrebbe metterci in allarme.
Quando la politica conservava un minimo di vitalità ideale, etica e civile si pensava a costruire un progetto per il futuro e un programma conseguente. Si confrontavano diverse visioni della società. Oggi basta dire agenda perché visioni, progetti e programmi veri e propri sono fuori luogo. È tutto ovvio, automatico, già deciso: al capitalismo si deve obbedire senza discussioni, dubbi, dissensi, ricerca di alternative. In fondo basterebbe un computer per calcolare le cose da fare al fine di eseguire la volontà dei mercati, non serve nemmeno un professore della Bocconi.
È chiaro che queste ipotesi di governo per il nostro Paese -la destra disastrosa, inqualificabile del berlusconismo e il centro-destra pronto all’austerità a carico degli altri, votato al liberismo- rappresentano due diversi tipi di sventura. In sintesi, il primo criterio di discernimento per scegliere una politica adatta all’Italia oggi si riassume così: né Berlusconi né Monti. E allora quale altra strada resta? L’unica vera via, a mio avviso, non può partire con il dare priorità esclusiva a un solo aspetto della nostra situazione, che sia il bilancio dello Stato, la crescita del Pil o altro.
La via viene finalmente vista, riconosciuta, apprezzata soltanto se vediamo l’insieme, se abbiamo l’ampiezza e la profondità di sguardo capaci di cogliere il processo complessivo nel quale si collocano i problemi del nostro Paese e nel quale d’altro canto sono latenti le tendenze di riscatto. Esclusivamente quanti sono determinati a subordinare le pretese del mercato ai diritti della democrazia, del lavoro, dei servizi pubblici, delle nuove generazioni, dei migranti, della cooperazione tra i popoli saranno in grado di essere fecondi per il bene comune. Le sole forze politiche capaci di riaprire il futuro al Paese sono quelle disposte ad assumere una visione, un progetto e un metodo profondamente nuovi in quanto radicati nella scelta di chi, tra capitalismo e democrazia, sceglie senza esitazioni la democrazia.
Ecco perché il Movimento 5 Stelle -privo di visione, progetto e metodo adeguati- si è già incartato nel centralismo autocratico del suo capo. Ecco perché al Partito Democratico non basterà aver scelto tra Bersani e Renzi, poiché esso dovrà decidersi rispetto all’alternativa ora ricordata. Ed ecco perché i movimenti e i gruppi a sinistra del Partito Democratico, che spero maturino quanto prima una forma efficace di presenza politica nazionale, devono trovare il modo per dare con responsabilità e senza settarismi il loro apporto alla costruzione di un’alternativa di sistema in Italia. —