Ambiente / Attualità
Poca neve e ancor meno idee per la riconversione: le montagne italiane al tempo dei cambiamenti climatici
La denuncia di Legambiente nel report “Nevediversa”: 348 gli impianti in sofferenza nel Paese, 132 dismessi e non funzionanti da anni, 113 quelli temporaneamente chiusi e 103 i casi di “accanimento terapeutico“ tenuti in vita grazie a iniezioni di denaro pubblico. Mentre le Regioni continuano a investire milioni di euro per l’innevamento artificiale e le pratiche sostenibili stentano, manca un censimento nazionale dei relitti dello sci
“Sulle montagne italiane la neve ormai serve solo per il paesaggio, non per sciare”. E nonostante l’evidenza dei cambiamenti climatici, le Regioni continuano a investire centinaia di milioni di euro per mantenere e innevare artificialmente impianti totalmente inutili. Lo denuncia Legambiente nel report “Nevediversa – Il mondo dello sci alpino nell’epoca della transizione energetica”, dove ha messo in fila centinaia di impianti di risalita dismessi, abbandonati, ormai vecchi e obsoleti, oppure strutture per gli sport invernali temporaneamente chiuse per mancanza di neve, per problemi economici o per fine vita tecnica.
Un viaggio tra presenti e futuri “relitti” della montagna, frutto di scelte economiche assunte al netto dei cambiamenti climatici, incapaci di immaginare strategie di riconversione. Del resto l’aumento delle temperature -doppio rispetto alla pianura-, gli inverni sempre più brevi, lo zero termico sempre più in alto sono stati trattati come allarmi infondati. E invece la fotografia del 2020 è impietosa: 348 gli impianti in sofferenza nel Paese, 132 di questi dismessi e non funzionanti da anni, 113 quelli temporaneamente chiusi -per lo più di impianti in piccoli comprensori sotto i 1.500 metri- e 103 i casi di “accanimento terapeutico“ -tenuti in vita grazie a iniezioni di denaro pubblico-.
Tra i casi simbolo c’è il comprensorio lombardo di Pià Spiss -Valcanale, Ardesio (BG)-, abbandonato dal 1997 e solo parzialmente bonificato. O in Toscana il Passo delle Radici -Castiglione di Garfagnana (LU)- chiuso dal 2010 e mai smantellato. Fino a Ciricilla, in Calabria, Taverna (CZ), tra i resti abbandonati di una stazione dismessa negli anni 2000. Anche a Valdidentro, Sondrio, località Arnoga, restano dal 2000 uno ski-lift e un albergo costruiti nel 1968. “Ne esistono tanti altri di cui si è persa la memoria”, scrivono gli autori del rapporto, Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente, e Sebastiano Venneri, responsabile Turismo. Non esiste un censimento ufficiale: le stesse Regioni che continuano ad alimentare il comparto infatti non si sono mai prese le briga di metterci mano. Lo avrebbe fatto solo il Veneto nel 2000 ma il documento è scomparso dalla Rete.
Manca un censimento e pure un bilancio degli aiuti a perdere offerti dagli enti locali. “Si tratta comunque di diverse centinaia di milioni di euro che ogni anno vengono messi a bilancio a questo scopo dalle Regioni e in piccola percentuale anche dai Comuni”, continuano i curatori. Le realtà che ne beneficiano, però, “funzionano giusto nel fine settimana e durante le vacanze di Natale e, clima permettendo, durante le settimane bianche”. È il pubblico a coprire la maggior parte dei costi, cannoni per la neve artificiale inclusi. Le stazioni olimpiche piemontesi insegnano: il 60% delle spese per il solo innevamento artificiale è coperto da fondi pubblici, “a fronte di risicatissimi investimenti per il turismo invernale soft che ha scelto di sopravvivere senza impianti”.
Qualche altro esempio: A Locana (TO), “nonostante la bassa quota (600-1.400 metri) e le relative problematiche” la Regione avrebbe stanziato 2 milioni di euro per l’ammodernamento. A Corno alle Scale -Monte Cimone (BO)- è previsto un finanziamento di 20 milioni di euro “a fondo perduto per impianti aperti solo nelle festività, nei fine settimana e con innevamento artificiale”. A Bolbeno -Borgo Lares (TN)- sono stati addirittura stanziati 4 milioni di euro per impianti che il report indica “a bassissima quota”: 567-663 metri.
I finanziamenti regionali alle stazioni sciistiche abbondano: nell’estate 2019 in Piemonte la Giunta Cirio ha deliberato l’erogazione di 10 milioni di euro per l’innevamento programmato dei Comprensori Via Lattea e Bardonecchia per le stagioni sciistiche 2019/2020; 2020/2021 e 2021/2022. Nello stesso periodo la Lombardia ha stanziato 9,4 milioni di euro “per l’innevamento degli impianti” regionali. E poi Veneto, Trento, Bolzano, Friuli-Venezia Giulia. Abruzzo: “nel 2017 la Regione ha stanziato 50 milioni per sostenere lo sci e ampliare l’innevamento artificiale a Roccaraso, Ovindoli, Prati di Tivo, Passolanciano, Majelletta, Campo di Giove e Cappadocia. Sono inoltre stati stanziati 22 milioni per due cabinovie a Castel di Sangro. Lavori per quasi 6 milioni dei fondi nazionali per le aree sottoutilizzate hanno permesso al già imponente sistema di innevamento artificiale del comprensorio dell’Alto Sangro di diventare il più grande d’Italia”. Al momento la Toscana è l’unica Regione che con un atto amministrativo avrebbe deciso di ridurre i sussidi (il “consueto milione di euro di fondi destinati all’innevamento artificiale del comprensorio dell’Abetone” sarebbe saltato).
Merito del rapporto di Legambiente è anche quello di dar spazio al “coraggio della riconversione” e alle “pratiche di turismo sostenibile”. Tra i modelli proposti cui attingere spiccano lo Sci club di Cardada, nel Canton Ticino, che ha deciso di abbandonare definitivamente lo sci “definendolo un’attrattiva storica ma ormai anacronistica”, o la Carinzia (in Austria), dove gli impianti di risalita della stazione di Dobratsch “sono stati chiusi, smontati e venduti per far posto a sci alpinisti, ciaspolatori, fondisti ed escurionisti”. In Italia sta accadendo poco. A Caldirola, Alessandria, si prova a ripartire grazie ai percorsi ciclistici. I Comuni di Etroubles, Saint-Oyen e Saint-Rhémy-en Bosses, nella valle del Gran San Bernardo della Valle d’Aosta, non hanno rinnovato gli impianti di risalita a bassa quota per “puntare invece su un’offerta turistica centrata sulla natura e la cultura”. A Passo Rolle, in Trentino, il progetto “La Sportiva Outdoor Paradise” proposto da Lorenzo Delladio, amministratore delegato dell’omonima società, è invece sfumato. La riconversione infatti non è sempre riuscita. “A Cimolais in Valcellina -si legge nel report- dove un tempo c’erano gli impianti di risalita ora è stato installato un tappeto di plastica rossa lungo 500 metri, costato ben 220mila euro, per praticare lo sci da fondo”. “Dubbio gusto” che pone il tema della necessità di “indirizzi di buon senso al fine di evitare spontaneismi piuttosto imbarazzanti”. Occorrerebbe cioè che le istituzioni prendessero in mano la transizione ecologica e dettassero una linea generale. Lo fanno? “Ufficialmente no”.
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