Ambiente
I pozzi nel Parco nazionale
La Val d’Agri -in Basilicata- è un’area protetta, ma nel suo sottosuolo si trova il petrolio, che Eni vorrebbe continuare a sfruttare. Solo le organizzazione ambientaliste si mobilitano contro la perforazione di 3 nuove aree di ricerca, che mettono a rischio biodiversità e sostenibilità
Con la firma del decreto ministeriale 23 gennaio 2012 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato le attuali grandi manovre petrolifere che, nel giro di qualche anno, porteranno l’Eni a raddoppiare la produzione di greggio in Val d’Agri ed in Basilicata.
L’8 gennaio 2014, nel corso di una conferenza stampa a Potenza di Federparchi Basilicata, su bilanci e prospettive delle aree protette lucane, il presidente del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese, Domenico Totaro, ha sottolineato che “è tempo che una parte dei fondi che provengono dalle royalty siano destinati ai Parchi nel cui territorio insistono i pozzi”.
Le affermazioni di Totaro paiono chiudere il cerchio di ciò che è avvenuto in Regione negli ultimi due anni. Il decreto ministeriale di gennaio 2012, attuativo di una delibera della Regione Basilicata (la n. 1177 dell’8 agosto 2011, ndr) con la quale è stata espressa l’intesa all’aggiornamento del programma dei lavori per la concessione di coltivazione “Val d’Agri”, prevede infatti, tra altri interventi di adeguamento, la perforazione di 3 pozzi di ricerca, la perforazione di 6 nuovi pozzi di coltivazione e l’allestimento a produzione definitivo di 7 aree pozzo già esistenti. Un cronoprogramma di sviluppo petrolifero che sta animando le attuali discussioni in Regione, tra associazioni, cittadini ed enti coinvolti, e che potrebbe dare più di un problema al nuovo assessore all’Ambiente, Aldo Berlinguer -figlio di Luigi, ex ministro all’Istruzione- nominato dal neo governatore Marcello Pittella.
Nelle settimane a cavallo tra fine 2013 e inizio 2014 si sono aperti due fronti di opposizione. Da una parte, il tentativo di bloccare la perforazione del pozzo “Pergola 1” ubicato nel territorio comunale di Marsico Nuovo -già delocalizzato una prima volta per le grandi problematicità che interferiscono con il territorio del Parco nazionale Appennino lucano Val d’Agri-Lagonegrese-, che metterebbe a rischio sorgenti ed aree agricole di pregio. Dall’altra, invece, le denunce avanzate dall’Organizzazione lucana ambientalista e dell’associazione “Articolo 9”, finalizzate a bloccare la perforazione dei pozzi Eni “Caldarosa 2” e “Caldarosa 3”.
Le 2 associazioni -promotrici di un esposto al ministero dell’Ambiente e alla Comunità europea e di una petizione popolare– denunciano come i 2 pozzi andranno ad incidere in prossimità di Siti di interesse comunitario (SIC) e Zone di protezione speciale (ZPS) della Rete Natura 2000 nella fattispecie la ZPS IT9210270 Appennino Lucano, Monte Volturino e il SIC IT9210170 Monte Caldarosa distanti dalle postazioni “Caldarosa 1” e “Caldarosa 2” rispettivamente 680 metri e 700 metri.
E proprio in merito alle distanze da alcune aree sensibili regionali che si giocherebbe l’esito della procedura di Via (Valutazione d’impatto ambientale) in corso di istruttoria presso i preposti uffici regionali. Analizzando le mappe dell’area e il punto dove dovrebbero sorgere, i pozzi “Caldarosa 2” e “Caldarosa 3” sarebbero “fuori misura”, perché le norme di salvaguardia della Rete Natura 2000 emanate dalla stessa Regione Basilicata (BUR n. 23 del 1 agosto 2012, ndr) prevedono “il divieto di nuove attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi all’interno dei siti Rete Natura 2000 (ZPS e ZSC) e in una fascia di rispetto pari a 1.000 (mille) metri esterna ai suddetti”. I due pozzi, però, ricadrebbero all’interno della stessa.
Si tratta, cioè, di una localizzazione insidiosa, che coinvolge direttamente l’Ente Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese, che il 20 settembre 2012 rilasciò all’Eni il nulla osta per i lavori di adeguamento della strada di accesso alla futura area pozzi, quasi 2 mesi prima che la società presentasse alla Regione il relativo progetto. Probabilmente un “vizio di forma“ che, ancora una volta, apre enormi interrogativi sul ruolo che giocherebbero i parchi lucani in un territorio devoluto allo sfruttamento petrolifero come quello lucano, con prospettive di sviluppo in netta contrapposizione ai valori della biodiversità e della sostenibilità.