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La resistenza necessaria lungo il “bel viaggio” che ci ha dato Itaca

La testa di Ulisse dal gruppo scultoreo noto come Gruppo di Polifemo. Databile al I secolo d.C. circa è conservato nel Museo archeologico nazionale di Sperlonga (Latina) - it.wikipedia.org/wiki/Ulisse

Questo mese Altreconomia entra nel suo ventesimo anno di vita e tutto è cambiato da allora. Dell’isola che diede vita a questa avventura non ricordiamo forse più le mappe, o quasi, eppure rimangono intatte la rotta, le motivazioni, le sfide, le fatiche. L’editoriale del direttore, Pietro Raitano

Tratto da Altreconomia 209 — Novembre 2018

“Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga, / fertile in avventure e in esperienze. / I Lestrigoni e i Ciclopi / o la furia di Nettuno non temere, / non sarà questo il genere di incontri / se il pensiero resta alto e un sentimento / fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. / In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, / né nell’irato Nettuno incapperai / se non li porti dentro / se l’anima non te li mette contro”. Comincia così la poesia “Itaca” che Constantino Kavafis scrisse nel 1911. Di solito la si interpreta come una poesia che utilizza il viaggio come metafora della vita, e questo è certamente vero. Molti hanno aggiunto però altre interpretazioni, altre sensibilità (tra questi dobbiamo ringraziare ad esempio Michele Marmo, presidente di AssociAnimAzione). Infatti, se si allarga lo sguardo, l’Ulisse che viaggia verso Itaca è l’uomo della nostalgia, la persona che desidera ritornare, che rifiuta l’immortalità proposta da Calipso. Nostalgia deriva dal greco e sta per “dolore del ritorno”.

A livello planetario, una nuova crisi economica globale si profila all’orizzonte: i mercati finanziari sono zeppi di derivati, le Borse gonfie come bolle, le regolamentazioni messe in campo dopo il 2008 ininfluenti (e la situazione somiglia pericolosamente a quei giorni).

I cambiamenti climatici sono diventati la tragedia che è stata annunciata da anni, e oggi siamo con le spalle al muro, come scrive il nostro Stefano Caserini in questo numero. Aumentano le disuguaglianze tra chi ha sempre di più e chi perde diritti che sembravano acquisiti. Il vecchio crolla, e il nuovo non si vede, o non siamo capaci di vederlo.

Al nostro livello, cresce la paura di tutto, il rancore, costruiamo nuovi muri sempre più alti, sempre più inutili. Cerchiamo un nemico, qualcuno con cui prendercela. Ci tappiamo le orecchie quando qualcuno racconta come stanno le cose, e le cose non stanno come vogliamo, come ci consola saperle.

Di fronte all’impossibilità di investire nel futuro, guardiamo dunque al passato con nostalgia. A quando si stava meglio, a quando eravamo ancora in tempo.

Quando ad esempio il lavoro delle organizzazioni non governative, delle cooperative, delle associazioni di volontariato era visto con favore dall’opinione pubblica, e nessuno era accusato di buonismo. Quando il razzismo era qualcosa di cui vergognarsi, e non un programma di governo. Quando c’erano ancora risorse pubbliche, motivazioni private, relazioni comunitarie. Quando la debolezza era considerata un luogo di forza, e non impotenza. Quando era concreta la possibilità di incidere nei processi sociali.

Proviamo allora a ribaltare lo sguardo e, anziché struggerci per qualcosa che non c’è più, giocare con le parole e immaginare una nostalgia di futuro, un’accettazione della quotidianità, del tempo che ci è dato di vivere, e dei limiti che abbiamo nel nostro agire.

Questo mese Altreconomia entra nel suo ventesimo anno di vita e tutto è cambiato da allora. Dell’Itaca che diede vita a questa avventura non ricordiamo forse più le mappe, o quasi, eppure rimangono intatte la rotta, le motivazioni, le sfide, le fatiche. Anche quelle inutili, che non bisogna tacere, semmai nominare (fatiche economiche, perlopiù), come nominiamo ogni mese le responsabilità (e i responsabili) di quel che non funziona nell’economia, nella società, nella politica. Perché accanto alle fatiche inutili c’è la fatica utile, necessaria, che produce ricompensa e spesso gratitudine.

“Sempre devi avere in mente Itaca / raggiungerla sia il pensiero costante. / Soprattutto, non affrettare il viaggio; / fa’ che duri a lungo, per anni, e che da vecchio / metta piede sull’isola, tu, ricco / dei tesori accumulati per strada / senza aspettarti ricchezze da Itaca. / Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / in viaggio: che cos’altro ti aspetti? / E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. / Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso / già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare”.

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