Ambiente / Attualità
Acqua in bottiglia, l’anomalia italiana
Le aziende imbottigliatrici fatturano circa 2,8 miliardi di euro l’anno, a fronte di un canone medio di appena 1 millesimo di euro per litro imbottigliato. Legambiente e Altreconomia: basterebbe applicare una concessione unica nazionale di 2 centesimi di euro al litro imbottigliato per portare nelle casse dello Stato almeno 280 milioni di euro
È un bene primario, vitale e da preservare. L’acqua, invece, continua spesso a essere gestita come se fosse proprietà privata a vantaggio di pochi che si assicurano enormi guadagni a discapito di cittadini, dell’ambiente e delle stesse casse statali. Il settore dell’acqua in bottiglia non conosce crisi: con consumo pro-capite di 206 litri all’anno, l’Italia si piazza al secondo posto nella classifica mondiale (preceduta solo dal Messico), che si traduce in un giro d’affari stimato di circa 10 miliardi di euro l’anno per le aziende imbottigliatrici.
E mentre le aziende imbottigliatrici fatturano -secondo le stime dei rapporti di settore- circa 2,8 miliardi di euro, alle casse statali vanno solo le briciole. Le aziende infatti pagano canoni alle Regioni che raggiungono al massimo i 2 millesimi di euro al litro (un costo di 250 volte inferiore rispetto al prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia) per un totale di circa 18 milioni di euro l’anno, secondo le stime di un’inchiesta di Repubblica.
A riportare l’analisi sul business dell’acqua in bottiglia sono Legambiente e Altreconomia che, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, hanno presentato il dossier “Acque in bottiglia. Un’anomalia tutta italiana”, in cui si riporta la non sostenibilità dell’attuale modello di gestione della risorsa idrica e le carenze strutturali del nostro Paese. “Nessuno si indigna del fatto che una risorsa pubblica così preziosa, che avrebbe bisogno di una gestione attentissima, oggi venga svenduta per pochi euro al litro a fronte di guadagni stratosferici per chi la gestisce come se fosse una proprietà privata”, si legge nel report.
“I dati riportati nel rapporto evidenziano come in Italia l’acqua in bottiglia garantisca ancora oggi un business miliardario, in costante aumento negli ultimi anni, così come i consumi – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. Alla base del record tutto italiano il falso mito che sia migliore e più controllata di quella del nostro rubinetto e soprattutto un costo della materia prima (l’acqua), per chi imbottiglia, praticamente nullo: una media di appena 1 millesimo di euro per ciascun litro imbottigliato”.
I canoni
Alle aziende che hanno una concessione per imbottigliare l’acqua vengono, infatti, concessi canoni a dir poco irrisori e che spesso addirittura vengono ridotti ulteriormente se, invece, della plastica utilizzano vetro o meccanismi di vuoto a rendere. Un’attenzione che fa sicuramente bene all’ambiente, peccato però che il prezzo al consumatore finale non cambi mai. Nel migliore dei casi le aziende concessionarie infatti pagano 2 millesimi di euro al litro, cioè cento volte meno del prezzo di 50 centesimi che i cittadini pagano in media per una bottiglia d’acqua in un supermercato; anche mille volte inferiore, invece, a quello che si paga per una bottiglietta venduta al dettaglio in bar, ristoranti, stazioni o negli aeroporti.
I canoni che le Regioni applicano, in maniera differente da Regione a Regione, seguono tre criteri in funzione degli ettari in concessione, dei volumi emunti e di quelli imbottigliati. I prezzi applicati ai canoni di concessione sono molto eterogenei tra loro: si passa da un minimo di 21,38 euro per ettaro previsto in Emilia Romagna (che applica però tutti e tre i canoni previsti) ai 130 euro/ettaro previsti in Puglia (che applica invece un solo canone per la concessione) o ai 587,68 applicati in Veneto nelle concessioni di pianura. L’aspetto più interessante riguarda però il canone per i quantitativi imbottigliati, che presentano un valore medio di 1,15 euro/metro cubo, ovvero 1 millesimo di euro al litro, che può salire nel migliore dei casi ai 2,70 euro/metro cubo applicato dalla Provincia Autonoma di Bolzano (corrispondente comunque a 2,7 millesimi di euro al litro) e che invece può ridursi fino a 0,30 euro a metro cubo come avviene in Abruzzo. Regioni come Puglia, Umbria e Sardegna non percepiscono dalle aziende un canone per i quantitativi di acqua imbottigliata.
Per questo motivo, Legambiente e Altreconomia propongono l’applicazione di un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato. Un canone comunque irrisorio, ma già dieci volte superiore a quello attuale. “E che permetterebbe alle Regioni di incrementare gli introiti di almeno 280 milioni di euro l’anno, da reinvestire in politiche e interventi in favore dell’acqua di rubinetto e per la tutela di della risorsa idrica, oggi messa a dura prova anche dai cambiamenti climatici e dalle continue emergenze siccità.
Ridurre i consumi e l’inquinamento
L’obiettivo di incrementare l’utilizzo dell’acqua di rubinetto e ridurre l’eccessivo uso di bottiglie di plastica è anche al centro dei recenti cambiamenti in atto nella legislazione europea, dalla “Plastic Strategy” alla nuova proposta di revisione della direttiva sulle acque potabili presentata lo scorso 1 febbraio, con una riduzione del 17% dei consumi di acqua in bottiglia di plastica e un risparmio conseguente per le famiglie europee pari a 600 milioni di euro l’anno.
In base ai dati elaborati da Legambiente, il 90-95% viene imbottigliato in contenitori di plastica e solo il 5-10% in contenitori in vetro: in pratica ogni anno vengono utilizzate tra i 7 e gli 8miliardi di bottiglie di plastica. Numeri impressionanti anche rispetto agli impatti ambientali: più del 90% delle plastiche prodotte derivano da materie prime fossili vergini (il 6% del consumo globale di petrolio). Plastica che -se non viene smaltita correttamente- rappresenta una delle principali fonti di inquinamento per l’ambiente. Dall’indagine Beach Litter condotta da Legambiente lo scorso anno emerge che oltre l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge italiane tra il 2014 e il 2017 sono oggetti in plastica e che bottiglie e tappi ne rappresentano il 18%: in pratica l’equivalente di oltre 15mila bottiglie. Senza calcolare che i rifiuti visibili sono stimati in una percentuale di circa il 15% rispetto a quelli in realtà sommersi e presenti sui nostri fondali.
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