Ambiente / Approfondimento
“Velotopia”, il sogno ciclistico. Come progettare la città del futuro
Case, negozi, luoghi di lavoro con rampe accessibili per le biciclette. Metropoli circolari, senza auto e con bus a velocità ridotta. È l’utopia di Steven Fleming. “Il compito di noi architetti -spiega- è rendere il mondo un posto migliore”
Immaginate di poter portare la vostra bicicletta direttamente dentro casa quando tornate dal lavoro. E non solo nelle villette in periferia, ma anche all’interno dei palazzi del centro dove persino gli appartamenti più piccoli sono dotati di questi spazi e di comode rampe per raggiungere il proprio piano senza scendere di sella. “Un neo-genitore potrebbe anche adagiare il figlio addormentato nel cassone della cargo bike per sfuggire alla noia di un pomeriggio in casa e uscire in tutta comodità e sicurezza a fare spese”, spiega ad Altreconomia Steven Fleming, architetto e progettista urbano dell’agenzia “Cycle-space”, autore del libro “Velotopia” (Edizioni nai010, in libreria il 24 ottobre). “Io e mia moglie abbiamo cresciuto così i nostri figli”, aggiunge.
In questo sogno ciclistico, non solo le case, ma i anche negozi hanno comode rampe per favorire l’ingresso delle biciclette e agevolare al massimo i clienti su due ruote. Il ritorno a casa è sicuro e tranquillo perché per strada non ci sono automobili. Utopia? Sicuramente sì. “Ma io sono un architetto e il compito di coloro che svolgono la mia professione è rendere il mondo un posto migliore. Anche se non sempre ci siamo riusciti, dobbiamo puntare a questo obiettivo”, spiega Fleming.
A duecento anni dall’invenzione della bicicletta, Steven Fleming ha progettato una città totalmente nuova, Velotopia, in cui vige una sola regola: “A niente è permesso ostacolare la ciclabilità”. La città ideale per le biciclette è perfettamente circolare dal diametro massimo di 15 chilometri proprio per ottimizzare gli spostamenti sulle due ruote e perché “a tutti piace vivere vicino al centro”, spiega Fleming. Ci sono solo quattro modalità (legali) per spostarsi: a piedi, in bici, a bordo di un risciò o con un bus a guida automatica la cui velocità è ridotta a soli 15 chilometri all’ora. Non ci sono corsie preferenziali, né aree a traffico limitato. E non ci sono nemmeno semafori perché non c’è nessun rischio di collisioni ad alta velocità: per gestire i flussi di traffico agli incroci sono sufficienti piccole rotonde leggermente sopraelevate. Ovviamente non ci sono tangenziale né grandi parcheggi per auto.
Una visione diametralmente opposta rispetto a quella delle città in cui viviamo oggi. Città costruite su misura per le automobili che però, nella visione di Steven Fleming hanno fallito sotto ogni punto di vista: sono congestionate dal traffico e l’inquinamento atmosferico dovuto anche alle auto le rende luoghi insalubri in cui vivere. I dati dell’Agenzia europea per l’ambiente parlano chiaro: il diossido di azoto (NO2), prodotto dalle automobili e dalle caldaie, provoca circa 71mila decessi precoci l’anno. Tutto questo, ovviamente ha un costo: non solo in termini di vite umane, ma anche sotto forma di spesa sanitaria. Nel Regno Unito, ad esempio, per curare le patologie legate all’inquinamento dell’aria si spendono più di 20 miliardi di sterline l’anno, poco meno del 16% del bilancio annuale del servizio sanitario nazionale.
Ribaltare questa situazione, mettendo al centro della pianificazione urbana la bicicletta produce significativi benefici che sono evidenti (e monetizzabili) anche in un Paese poco bike friendly come l’Italia dove solo il 3,6% dei cittadini usano la bicicletta per i loro spostamenti quotidiani (al 2015). Secondo una stima di Legambiente, infatti, gli spostamenti a pedali generano un fatturato che supera i 6,2 miliardi di euro l’anno. Circa un terzo di questo bilancio (2 miliardi di euro) viene generato dal cicloturismo, mentre altre componenti importanti derivano dai benefici sanitari per gli adulti (poco più di un miliardo) e per i bambini (950 milioni). Mentre la riduzione dei costi sociali e sanitari legati alle emissioni di gas serra supera il mezzo miliardo di euro.
“Mettere la bicicletta al centro della progettazione di una città risponde innanzitutto all’esigenza di spostarsi nel minor tempo possibile. Nelle giuste condizioni, la bicicletta è il mezzo più efficiente per spostarsi in città”, spiega Fleming. Occorre però rendere anche confortevole il viaggio per chi si sposta su due ruote e con gli opportuni accorgimenti architettonici, anche questo problema si può risolvere. E il modello -sebbene un po’ datato- arriva proprio dall’Italia. “A Bologna, in passato, quando volevi spostarti nel massimo del comfort, per evitare la pioggia e il sole cocente, usavi la portantina. Ma se tutti avessero fatto questa scelta sarebbe stato un disastro -riflette Fleming-. E così sono stati costruiti i portici, in modo per dare a tutti la possibilità di spostarsi comodamente”.
Allo stesso modo oggi Fleming suggerisce oggi di installare tendaggi o tettoie leggere per le strade di New York per proteggere i ciclisti durante i loro spostamenti quotidiani. Altri interventi, come quello suggerito a Copenhagen, ad esempio, prevedono una progettazione totalmente nuova degli edifici: lungi parallelepipedi o spirali a più piani che ospitano al loro interno comode rampe inclinate che permettono di lasciare la bici direttamente sul pianerottolo. O meglio ancora dentro casa, in uno spazio all’ingresso appositamente pensato per questo scopo.
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