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Cultura e scienza / Approfondimento

Una mostra ricorda gli attacchi fascisti a Milano alla vigilia di Piazza Fontana

Da L'Unità del 12 ottobre 1969 © Stefano Nutini

Nel 1969, prima della strage alla Banca nazionale dell’Agricoltura, si contarono in città 23 episodi di matrice neofascista, tra aggressioni individuali, incursioni in sedi del Pci e dell’Anpi e attentati. Inclusi due attacchi alla Biblioteca rionale Calvairate, in piazza Martini, tra fine settembre e inizio ottobre. Alla devastazione nera la popolazione del quartiere reagì scendendo per strada e difendendo il “suo” presidio culturale

Nelle sere del 23 settembre e del 10 ottobre 1969, a due mesi dalla strage di piazza Fontana, picchiatori fascisti attaccarono la Biblioteca rionale Calvairate, in piazza Martini a Milano, di fresca inaugurazione, devastandone i locali e causando alcuni feriti tra i presenti.

Un episodio poco noto, che vide gli abitanti del quartiere scendere in strada e difendere la loro biblioteca, sentita e vissuta come sede di socializzazione culturale e civile.

Quegli eventi sono stati di recente ricostruiti dal Circolo di Rifondazione comunista del Municipio 4 di Milano e sono confluiti in una mostra documentaria, aperta proprio nella Biblioteca Calvairate fino al 20 settembre di quest’anno, che vuole ricostruirne la storia soprattutto grazie alla raccolta delle testimonianze di chi, allora giovane studente od operaio, difese questo presidio culturale.

Un episodio locale ma a suo modo indicativo di una stagione, quella dell’autunno caldo e dell’incipiente strategia della tensione. Convergono infatti, anche in questo evento, dinamiche politiche, sociali e culturali rilevanti, profonde e diffuse. Da un lato l’affermarsi, nelle lotte operaie e studentesche, di rivendicazioni che dai diritti in fabbrica, a scuola e nell’università, acquisiti con vertenze dure e consapevoli, occupazioni e agitazioni, volevano sconfinare nel territorio, con la pratica della democrazia di base e con l’obiettivo di mettere in questione il potere nella società. Dall’altro, la reazione delle classi dirigenti e dello Stato, che si opposero a quell’“assalto al cielo” con mezzi violenti ed eversivi, tali da mettere a rischio l’agibilità politica anche più elementare, a suon di attentati e stragi.

In quel fatidico anno 1969, prima dell’attentato di piazza Fontana, si contarono a Milano ben 23 episodi di matrice neofascista, tra aggressioni individuali, incursioni in sedi del Partito comunista italiano (Pci) e dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) e attentati come quello del 25 aprile alla Fiera di Milano.

Nei due attacchi fascisti alla Calvairate si ritrovano elementi non nuovi: aggressione con catene, mazze, tirapugni e pistole scacciacani ai danni dei lettori presenti in biblioteca e a tutti coloro che in quel momento partecipavano alle folte assemblee del Comitato promotore di cui si dirà tra poco, devastazione dei locali, scontri all’esterno. Solo la pronta reazione degli abitanti del quartiere, scesi in piazza a difesa della Biblioteca, e in particolare degli operai e degli iscritti della vicina sezione del Pci di via Tommei, dei tesserati della locale sezione Anpi e degli studenti dell’istituto “Verri” e del Movimento studentesco -alcuni dei quali sono stati appunto reperiti e interpellati per testimoniare a 55 anni di distanza- scongiurò ben più gravi danni.

Una cartolina raffigurante piazza Insubria a Milano: sullo sfondo, le case minime di via Ciceri Visconti

In particolare, nel secondo attacco, che a differenza del primo era atteso, la schiera dei difensori della biblioteca fu ben nutrita: più di un centinaio tra giovani, operai, militanti, partigiani. Fu un consapevole e orgoglioso ritorno di fiamma dell’antifascismo, di cui parlano le dichiarazioni dei testimoni: per il 10 ottobre, arrivarono alcuni ex comandanti partigiani dell’Oltrepò, che indossavano le loro divise e il fazzoletto rosso, e quella sera -ci è stato detto- “si chiamarono con il nome di battaglia”.

E “Visone”, ossia il comandante Giovanni Pesce, palesatosi al concentramento dei giovani militanti del Movimento studentesco al vicino deposito Atm di viale Molise, riuscì a imporre alle forze dell’ordine, sulla base della sua autorevolezza, il permesso di far sfilare gli studenti in corteo lungo via Calvairate fino alla biblioteca, sulle note di “Bella ciao”, accompagnati nel canto dagli abitanti in piazza e alle finestre.

A proposito delle forze dell’ordine, va detto che risulta che il loro comportamento, specie all’altezza del primo episodio, sia stato ispirato alla più aperta connivenza con gli aggressori fascisti: ne presero decisamente le difese, proteggendoli dalla reazione degli abitanti, fecero alcuni saluti romani e un maresciallo della polizia di Stato urlò che per rimediare ai “mali della democrazia” ci voleva il manganello. I fermati furono tre, scelti con cura solo tra gli aggrediti e poi subito rilasciati.

Ma qual era stato l’innesco, l’intollerabile attacco alla triade “dio, patria e famiglia” che un volantino di Gioventù nazionale -l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano (Msi) che organizzò gli attacchi, con il supporto di alcuni esponenti del partito “adulto”, tra cui l’onorevole Servello, e con l’aiuto di picchiatori milanesi e varesini- denunciava?

Il Dialogo, marzo-aprile 1966

Fin dall’inaugurazione della biblioteca, nel giugno del 1969, l’avvio delle sue attività fu caratterizzato da una larga partecipazione popolare: un “Comitato promotore”, appunto, volle proseguire la forte mobilitazione che aveva preteso la sua costruzione; formato da cittadini/e della zona, utenti, studenti e militanti politici, avviò un’esperienza di gestione dal basso, in particolare della programmazione delle attività, punteggiate da frequenti riunioni, in cui queste istanze di rinnovamento si esplicitarono in modo molto chiaro.

Nelle assemblee si fece viva anche l’opposizione dei fascisti, che a più riprese esplicitarono il loro dissenso verso questa gestione popolare: ostacolavano e disturbavano le riunioni, denunciando il carattere “antidemocratico” e “demagogico” delle istanze di base lì discusse. Il primo attacco alla biblioteca, quello del 23 settembre, fu l’esito della violenta e deliberata degenerazione di quelle provocazioni.

Le testimonianze raccolte forniscono molti particolari, oltre che sul normale servizio offerto dalla biblioteca (la consultazione e il prestito di libri), sul suo funzionamento autogestito dal basso, osteggiato peraltro anche dalla burocrazia comunale che, alle prese con i primi passi del decentramento amministrativo, vedeva nell’agire del Comitato una forte divergenza dalla linea prudente della Giunta Aniasi.

La biblioteca, in riunioni e assemblee molto frequenti, ospitò discussioni politiche, centrate sulla sua gestione dal basso, ma anche rivolte all’attualità e alla riflessione: le testimonianze riferiscono per esempio di incontri con Mario Spinella, intellettuale comunista attento e aperto, o di gruppi di lettura e studio della “Lettera a una professoressa” della scuola di Barbiana, in cui si rese visibile la presenza attiva di un gruppo locale di “cattolici del dissenso” che si impegnarono in quelle lotte e rivendicazioni, anche in questo caso a conferma -nel “micro”- di processi più complessivi che in quegli anni interessavano i credenti, portando spesso a forme inedite di incontro, collaborazione e talvolta confluenza con movimenti e partiti di sinistra e con i nascenti gruppi di “nuova sinistra”.

Occorre anche dire che, dopo le aggressioni fasciste, si evidenziò una progressiva radicalizzazione politica e organizzativa dell’assemblea. Si avviarono gruppi di lavoro e intervento sulla carenza di posti nelle scuole materne e sulla necessità di una gestione sociale delle istituzioni educative, sull’educazione antiautoritaria, sulla lettura critica dei mass media.

Seguirono altre iniziative: dibattiti sulla repressione del movimento degli studenti e contro il razzismo, riunioni di lavoratori del vicino Macello, assemblee del Consiglio di zona sulla sosta dei camion, sul decentramento, sulle destinazioni dell’area dell’Ortomercato, oltre a inchieste popolari sulla composizione sociale e demografica del quartiere e sui problemi lavorativi dei suoi abitanti.

La stagione della rivendicazione della democrazia dal basso, in sintonia con i movimenti e i sommovimenti profondi in Italia, e in particolare nella metropoli milanese, che ne fu indicatore sensibilissimo e sede quanto mai significativa, si riverberò quindi -e non avrebbe potuto essere altrimenti- anche nelle vicende di un’istituzione culturale, una biblioteca rionale di fresca inaugurazione, a confronto con le esigenze e le istanze politiche, sociali e culturali della popolazione del quartiere e della zona, che trovò il coraggio di scendere per strada a difenderla dall’attacco fascista.

Era un altro dei modi, in sé coerenti, di realizzare “la politica nella strada”, per dirla con uno dei testimoni, allora giovane operaio. Ricostruendo la storia di questa mobilitazione, delle sue ragioni e modalità, come di altri episodi di partecipazione e conflitto, non si vuol dar voce a un’istanza nostalgica, ma s’intende individuare quelle motivazioni per trovarne di nuove, adatte con efficacia all’impegno politico, sociale e culturale oggi e sempre necessario.

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