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Crisi climatica / Opinioni

Gli “ultimi fuochi” del mondo fossile e la transizione inevitabile

© Efe Kurnaz, unsplash

I recenti report della Iea fotografano la crescita esponenziale delle rinnovabili. Ma c’è chi non si arrende. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 265 — Dicembre 2023

Dopo aver visto il record delle temperature medie globali di settembre 2023, così accentuato da far paura (1,75 gradi più caldo rispetto al settembre medio del periodo 1850-1900) conviene cercare sul fronte della mitigazione qualcosa che possa assomigliare a una buona notizia sul cambiamento climatico. E se si leggono gli ultimi due rapporti pubblicati dall’Agenzia internazionale dell’energia (International energy agency, Iea) qualcosa si trova. Non è mai stato un organismo ottimista o visionario sulle prospettive delle tecnologie green: in molti report passati ha sottostimato, anche pesantemente, le proiezioni sullo sviluppo futuro dell’energia solare o eolica.

Per vent’anni le installazioni di pannelli fotovoltaici e pale eoliche sono state più consistenti di quanto la Iea aveva previsto l’anno precedente. Oggi sono già a livelli venti volte maggiori di quelli prospettati per il 2030 nei rapporti di dieci anni fa. Per questo la “Net zero roadmap” e l’“Energy outlook 2023” (l’annuale rapporto sulle prospettive del settore) possono essere considerati in qualche modo storici, un segno che anche alla Iea il clima è cambiato.

I due report mostrano che senza ombra di dubbio il mondo dell’energia è già in trasformazione. Negli ultimi due anni l’adozione di alcune delle principali tecnologie utili per la transizione (solare fotovoltaico, batterie per l’accumulo, auto elettriche e pompe di calore) è cresciuta a un ritmo senza precedenti. L’Agenzia si spinge a dire che con i progetti già annunciati l’evoluzione al 2030 di fotovoltaico e auto elettriche è congruente con lo scenario che porta a emissioni di CO2 nette pari a zero a metà secolo. Di conseguenza, l’uso dei combustibili fossili inizierà a calare: il picco globale dei consumi di carbone è previsto nel giro di due anni, seguito da quello di petrolio e gas entro il 2030. Mentre il picco delle emissioni di CO2 è atteso entro il 2025. In questo scenario, secondo la Iea, non c’è spazio per nuovi investimenti in infrastrutture per lo sviluppo di estrazioni di carbone, petrolio e gas. Risorse che invece sono necessarie per accompagnare il declino e il superamento del mondo fossile.

Sono buone notizie, ma non c’è molto da festeggiare perché siamo molto in ritardo: le emissioni di gas serra rimangono a livelli troppo elevati e le due spaventose guerre in corso sono un grande fattore di distrazione per gli Stati. Mentre i finanziamenti per missili, bombe e altre armi di distruzione sembrano non avere limiti, quelli per la transizione energetica rimangono insufficienti. In particolare nei Paesi più poveri, dove i progressi sull’accesso all’energia sono in fase di stallo mentre milioni di persone non hanno ancora accesso all’elettricità e a tecnologie pulite per la cottura dei cibi, in particolare nell’Africa sub-sahariana.

Il picco globale dell’uso del carbone è previsto per il 2025, mentre quello di petrolio e gas sarà il 2030. Il mondo fossile vede la sua fine, ma l’orizzonte è comunque troppo lontano

Con obiettivi più ambiziosi, politiche aggiuntive e cooperazione internazionale si potrebbe accelerare ulteriormente la fuoriuscita del fossile, senza compromettere il benessere delle nazioni. Di solito i rapporti dell’Agenzia internazionale per l’energia sono il riferimento della classe dirigente globale che si occupa di questo tema, vengono considerati nel valutare le decisioni di investimento e hanno molta eco sui mezzi d’informazione. Quest’anno su diversi media si è dato invece risalto agli studi dell’Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio (Opec) secondo cui non è detto che il picco dei combustibili fossili sia così vicino e ci vorrebbe molto più tempo. È inevitabile il dubbio che si tratti, più che di valutazioni tecniche ponderate, degli ultimi fuochi di un mondo che ormai vede la propria fine e non sa ancora farsene una ragione.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (People, 2022)

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