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Il flop dei Giochi del Commonwealth 2026 è una spia della crisi dei grandi eventi

© Sigmund - Unsplash

Lo Stato australiano di Victoria ha comunicato il passo indietro da sede ospitante della 23esima edizione degli ex Giochi dell’Impero britannico. Motivo: la crescita incontrollata dei costi (oltre sette miliardi di dollari). “Il vecchio modello dei grandi eventi si è rotto e ne serve uno nuovo”, spiega l’ex atleta olimpionica Cath Bishop

L’edizione del 2026 dei Giochi del Commonwealth può saltare: lo Stato australiano di Victoria, nel Sud-Est del Paese, dopo essere stato selezionato per l’organizzazione dell’evento, a metà luglio di quest’anno ha deciso infatti di ritirarsi. Il governatore dello Stato, Daniel Andrews, ha spiegato al Guardian che la scelta è stata presa per via della crescita incontrollata dei costi, inizialmente stimati a 2,6 miliardi di dollari e rapidamente cresciuti oltre i sette miliardi. Andrews ha affermato che il budget previsto verrà reindirizzato a favore dell’edilizia sociale e per costruire impianti sportivi. 

I Giochi del Commonwealth si sono svolti per la prima volta nel 1930 con il nome di Giochi dell’Impero britannico e dal 1950 vengono organizzati ogni quattro anni. La competizione comprende diverse discipline, migliaia di atleti e il coinvolgimento di oltre 70 Paesi. L’edizione 2026 avrebbe dovuto essere la 23esima.

Il Comitato organizzatore (Commonwealth games federation, Cgf) ha sostenuto di essere “profondamente deluso” dalla scelta dello Stato di Victoria e ha imputato la crescita dei costi proprio alla gestione operata dal governatore. “Da quando è stata assegnata a Victoria l’organizzazione dei Giochi, il governo ha deciso di includere più sport e un ulteriore polo regionale, e ha cambiato i piani per le sedi, il che ha comportato un notevole aggravio di spesa, spesso contro il parere della Cgf e della Commonwealth games Australia (Cga)”, ha dichiarato la Cgf in un freddo comunicato.

Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha dichiarato che la decisione è stata “presa dal governo dello Stato” e ha inoltre risposto alle accuse della Cgf sottolineando la storia positiva del Paese nell’ospitare grandi eventi, citando i prossimi Mondiali di calcio femminile, che si terranno dal 20 luglio al 20 agosto in Australia e Nuova Zelanda, e i Giochi olimpici del 2032 previsti a Brisbane, la capitale dello Stato del Queensland.

Non è la prima volta che l’edizione dei Giochi del Commonwealth è a rischio cancellazione. Proprio questa 23esima occasione era infatti prevista inizialmente a Durban, in Sudafrica, ma la città è stata esclusa per problemi finanziari. L’organizzazione è stata affidata alla città di Birmingham e infine allo Stato di Victoria, quando la città ha deciso di ospitare l’edizione 2022. A seguito del ritiro degli organizzatori diversi Stati australiani hanno rifiutato la ri-assegnazione dell’evento. Secondo il Guardian, gli Stati della Tasmania, dell’Australia meridionale e dell’Australia occidentale, che nel 2022 erano tra i candidati a ospitare la competizione, hanno fatto sapere che non si sarebbero fatti avanti per sostituire Victoria. Alla loro presa di posizione hanno fatto eco Nuovo Galles del Sud e Queensland.

Non si tratterebbe di una crisi della competizione ma di un sintomo che indica come l’attuale modello organizzativo dei grandi eventi sia in crisi e non più sostenibile. “La decisione del governo di Victoria di ritirarsi dall’ospitare i Giochi del Commonwealth lancia una sfida più ampia ai leader sportivi, ai governi, ma anche agli atleti e ai cittadini di tutto il mondo. Questa crisi va oltre la crescente indifferenza verso lo scopo dell’evento. Le Olimpiadi stanno affrontando un problema simile, con due sole candidature per i Giochi estivi del 2024, con il risultato che Parigi e Los Angeles che si sono aggiudicate rispettivamente le edizioni del 2024 e del 2028, mentre Brisbane era l’unica candidatura per il 2032. Il vecchio modello di organizzazione e di svolgimento dei grandi eventi si è rotto e ne serve uno nuovo”, ha scritto giustamente sul Guardian Cath Bishop, ex atleta olimpionica ed editorialista della testata inglese.

Tra le criticità individuate da Bishop vi sono la crescente consapevolezza dell’insostenibile impatto ambientale di queste manifestazioni, l’aggravarsi dei cambiamenti climatici che in futuro renderà diverse località troppo calde (sia in estate sia in inverno) oltre al loro effetto negativo su cittadini e diritti civili. L’assegnazione di grandi eventi a Paesi autoritari come Cina e Qatar avrebbe favorito violazioni di diritti umani e consentito ai regimi di utilizzare la competizione per “ripulirsi” la reputazione (sportwashing).

L’alternativa sarebbe un’organizzazione partecipata che coinvolga davvero cittadini e società civile. “È chiaro che, al di fuori dei regimi autoritari, ospitare eventi sportivi internazionali non può più essere imposto alle popolazioni locali. Dobbiamo evitare un mondo in cui Olimpiadi e Coppe del mondo ruotino intorno a Mosca, Pechino e Dubai. I cittadini devono essere coinvolti fin dall’inizio, progettando il modo in cui ogni evento sportivo si integra e si sposa con la loro visione economica sociale e ambientale. Non dovremmo chiedere ai cittadini semplicemente di ‘sostenere la candidatura’, ma di partecipare e di ‘costruire la candidatura’”, ha concluso Bishop. 

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