Ambiente / Intervista
Gianfranco Bettin. Il clima “unisce” le lotte
Dal movimento operaio a quello femminista, passando per l’attivismo giovanile di Extinction rebellion e Fridays for future. Il più grande movimento collettivo della storia
A cinquant’anni dalla pubblicazione del “Rapporto sui limiti dello sviluppo” (1972), con il quale il Club di Roma metteva in guardia sull’infinitezza della crescita economica, è utile continuare a riflettere sull’eredità e “le origini del pensiero e dell’azione ecologista”, come recita il sottotitolo dell’antologia recentemente curata da Gianfranco Bettin -saggista e attivista ecologista, consigliere comunale a Venezia per la lista Verde progressista- per la fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Il libro, “Profezie verdi” (2021), raccoglie testi e riflessioni delle figure chiave (Rachel Carson, Alexander Langer, André Gorz, Laura Conti, tra le altre) che, a partire dagli anni Sessanta, si sono interrogate sui limiti dello sviluppo. “Il libro nasce dall’interesse della Fondazione Feltrinelli e dell’Istituto di storia del movimento operaio, che ne è parte, nei confronti del rapporto tra le culture del movimento operaio e l’ecologia politica”, spiega Gianfranco Bettin ad Altreconomia.
Salute, ambiente e pace sono i filoni che hanno favorito l’incontro tra quelle che potremmo chiamare, per semplificare, la cultura verde e quella rossa.
GB Le diseguaglianze e i diritti, le grandi questioni ambientali, la crisi climatica ed energetica: sono temi che vanno incrociandosi, ma non è accaduto spesso tra i terminali politici di queste sensibilità, che non di rado si sono confrontati in modo conflittuale. Tuttavia, rileggendo i testi prodotti soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta che abbiamo raccolto in questa antologia, scopriamo che ci sono affinità profonde, oltre i punti di vista talvolta divergenti. Sono documenti che, pur nella specificità dei diversi approcci, tracciavano un percorso, costruivano nei fatti un ponte verso l’altra cultura politica riconoscendo la necessità di un incontro.
La questione della salute legata al contesto produttivo era un elemento importante: lo racconta l’atto di nascita di Medicina Democratica, nel 1976, e quello della rivista La nuova ecologia. Si usciva dalla medicalizzazione, cercando un nuovo rapporto con la dimensione sociale e ambientale. La questione della pace -oggi tornata attualissima con la guerra in Ucraina- allora era segnata dalla paura della guerra nucleare e dallo scontro sul nucleare come fonte di energia, un’idea portata avanti anche da esponenti socialisti e comunisti. In realtà come Porto Marghera (Venezia, dove Bettin vive, ndr), lo “sviluppismo” industrialista è stato messo sotto accusa per il suo impatto sulla salute e sull’ambiente. E infatti, tra i testi raccolti, quelli provenienti dall’ambito del movimento operaio suggeriscono di uscire finalmente da questa cultura, di metterla in discussione come parte della critica all’impresa e all’economia capitalistica.
“Buona parte della cultura social-democratica è legata allo status quo ed è favorevole a un andamento lento della transizione ecologica. L’uso dei fondi del Pnrr lo dimostra”
A partire dalla conoscenza della storia, come passare dalla teoria alla pratica? Come attivarsi oggi per concretizzare la transizione ambientale e socio-economica?
GB Buona parte della cultura social-democratica è legata allo status quo ed è favorevole a un andamento lento della transizione ecologica ed energetica. Basti pensare all’uso dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e alla difficoltà di tagliare i sussidi alle fonti fossili. Le energie rinnovabili sono l’unica carta che abbiamo per uscire dalla dipendenza da tali fonti, dalla trappola del carbonio e della crisi climatica. Ma una parte della cultura politica, anche social-democratica, rallenta questi processi, perché è sensibile alle sirene di quel tipo di economia. Questo rende più difficile il confronto. Perciò, se sul piano strategico è facile convergere sulla necessità di una svolta, persistono invece le differenze sulla tempistica con cui realizzarla e si continua a rinviare l’avvio di un vero processo di transizione. Penso dipenda anche dal fatto che l’ecologia politica in Italia conta ancora poco. Quello che si è fatto in direzione della transizione risale agli anni dei governi di centro-sinistra con i Verdi e alcuni esponenti di altri partiti sinceramente convinti delle istanze ecologiste. Da quando quelle esperienze sono finite -con le destre al governo dal 2001 al 2006 e dopo il 2008, e poi con i governi tecnici o di unità nazionale, sempre privi di una vera componente ecologista- c’è stato un forte rallentamento degli investimenti per la transizione ecologica. Ora dobbiamo recuperare questo spazio: se si unissero o convergessero, potrebbero occuparlo le forze politiche eredi del movimento operaio e quelle che meglio interpretano ora l’ambientalismo moderno.
Qual è il ruolo delle generazioni più giovani, in questo processo?
GB Extinction rebellion e Fridays for future esprimono l’urgenza del cambiamento, della transizione, di fronte all’urto della crisi climatica. Anche per questo contestano, per esempio, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani e le sue esitazioni o, peggio, la sua regressiva cautela nei confronti delle fonti fossili e la gestione del Pnrr. I movimenti giovanili rappresentano almeno due risorse: la prima è la loro azione diretta di sensibilizzazione, di protesta e di proposta; l’altra è il loro costante riferirsi alla ricerca scientifica, all’allarme che essa lancia, alle risposte tecnologiche che offre e alla via delle fonti rinnovabili che indica. Alla politica spetta il compito di dar forza a queste soluzioni e organizzare la transizione verso una società nuova, capace di produrre, muoversi e cooperare diversamente. Uno degli obiettivi dell’antologia “Profezie verdi” è proprio quello di favorire il dialogo con le nuove generazioni, offrendo dei sentieri di lettura e, per questa via, di incontro con figure che “profeticamente” hanno visto ciò che stava accadendo e che possono ancora dire molto a chi cerca strade nuove.
“I movimenti giovanili rappresentano almeno due risorse: sia la loro azione diretta di sensibilizzazione, di protesta e di proposta sia il loro costante riferirsi alla ricerca scientifica, all’allarme che essa lancia e alla via delle fonti rinnovabili che indica”
Queste “strade nuove” sono state tracciate anche dal movimento femminista, nelle sue connessioni con l’ecologia politica. Qual è stato l’impatto del pensiero delle madri dell’ecologia, come Rachel Carson (il suo libro più celebre “Primavera silenziosa” è stato pubblicato esattamente sessant’anni fa) e Laura Conti?
GB Rachel Carson, l’iniziatrice dell’ecologismo moderno, e Laura Conti, una delle figure leader dell’ecologia politica italiana, sono state due scienziate, una biologa e un medico, capaci di visione politica. Muovevano da dati di realtà, unendo conoscenza scientifica e sensibilità ambientalista. È la stessa strada che percorrono oggi il movimento femminista e quello eco-femminista. Penso alla filosofa statunitense Donna Haraway, ma anche alla fisica Karen Barad e tante altre. Il loro pensiero ci mostra una via ancora più radicale di critica alle basi distorte del mondo contemporaneo, intrecciando economia, ecologia ed esplorazione soggettiva e libera di nuove relazioni umane e traduzione concreta delle idee in pratiche diffuse e capaci di incidere sulla realtà.
Già alcuni dei testi dell’antologia stavano annunciando un cambiamento. Ora lo sottolinea un altro suo saggio sulla crisi climatica appena pubblicato (“I tempi stanno cambiando. Clima, scienza, politica”, edizioni E/O). Come si parlano questi libri?
GB Ritrovo nei temi e nei protagonisti di cui tratto in questo saggio lo sviluppo dei nodi emersi negli anni di cui si parla, con materiali d’epoca, in “Profezie verdi”. La centralità della scienza nella denuncia precoce della crisi climatica e nella documentazione accurata di cosa sta avvenendo tra l’atmosfera e la biosfera, delle sue cause antropiche, dell’impatto devastante dell’industrialismo, dell’estrattivismo, del consumismo. E l’opportunità che i movimenti rappresentano: quelli giovanili, in primis, ma la rete vasta e capillare di attivisti, associazioni, sindacati, comitati che copre tutto il Pianeta e che più volte, negli ultimi decenni, ha dato voce ed espresso proposte concrete e pratiche reali mostrando che un’alternativa è possibile. Sempre facendo riferimento alla comunità scientifica, in tutti i campi e in tutte le discipline, più sensibile alla stessa sfida. In questo senso, i due testi si integrano, mostrano da dove venga e dove possa oggi andare quello che si configura sempre più come il più grande movimento collettivo della storia di fronte alla sfida più importante e radicale mai affrontata dall’umanità.
Da questo numero a quello di settembre 2022, Altreconomia dedicherà mensilmente alcuni approfondimenti in preparazione della Conferenza sulla decrescita di Venezia, che si terrà il 7-8-9 settembre 2022 presso l’Università Iuav, dieci anni dopo la Terza Conferenza Internazionale sulla decrescita, la sostenibilità ecologica e l’equità sociale del 2012
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