Mettetela in brocca!
L’acqua del rubinetto contro l’acqua in bottiglia. Al ristorante o in pizzeria è ormai prassi bere acqua minerale: ma non è un obbligo, semmai, anche qui, un balzello. Nulla vieta, ma davvero nulla, di chiedere “l’acqua in brocca”. Gli esercenti non possono rifiutare la richiesta (anche se spesso capita che restino spiazzati, e si arrampichino sugli specchi). Chiedere l’acqua in brocca è un modo non tanto per risparmiare quanto di riaffermare che l’acqua pubblica è la migliore, inquina di meno (non viaggia su e giù per l’Italia con i tir) e non può diventare oggetto di scambio. Un’azione “politica”, come la definisce Camilla Lattanzi, ideatrice della proposta, nell’articolo che segue.
“Imbroccatela!”, dopo essere stata pubblicata da Altreconomia, è stata rilanciata dalla trasmissione radiofonica Caterpillar di RadioDue ed è quindi arrivata anche a un largo pubblico. Forza dunque: non solo in casa, ma ovunque si può bere “l’acqua del sindaco”.
Per maggiori informazioni e per scaricare il volantino informativo da lasciare ai ristoratori: www.imbrocchiamola.org
A casa, ma quest’estate anche al ristorante, in pizzeria, al bar; e all’esercente che vi dirà che non può servirvi l’acqua del rubinetto spiegate che non è vero. Storia di un’idea che si diffonde. di Camilla Lattanzi
Un invito alla seduzione? Anche, ma non solo. “Imbrocchiamola!” è l’invito a reagire, come consumatori critici, a chi sta tentando di obbligarci a bere sempre acqua in bottiglia, riportando invece sulle tavole le vecchie brocche riempite di acqua del rubinetto.
In Italia siamo i primatisti mondiali nel consumo di acque minerali. Le grandi marche dell’imbottigliamento ringraziano, e condizionano le nostre vite. Ci infliggono mal di schiena e stimmate alle mani conseguenti al trasporto in casa delle pesantissime confezioni da sei bottiglie da un litro e mezzo. Ci inquinano l’aria con le diossine prodotte dall’incenerimento delle bottigliette in pet e con i gasoli dei trasporti su strada. Strapagano veline, calciatori e ora anche passerotti parlanti da fare invidia a San Francesco, per convincerci a consumare addirittura l’acqua “a zero calorie”, e il bello è che ci riescono, visto che ogni italiano consuma oggi in media 188 litri di minerale in bottiglia, tre volte più di vent’anni fa.
Come se non bastasse, ci hanno anche scippato la brocca d’acqua dal “coperto” quando mangiamo al ristorante.
E provate a chiedere a un bar un bicchiere d’acqua: vi guarderanno come se foste un malato contagioso.
La campagna “Imbrocchiamola!” nasce per reagire a questa situazione insopportabile. Se l’acqua “del rigattiere”, controllata e imbottigliata mesi or sono, dal prezzo circa duemila volte superiore a quella del rubinetto, ha sfondato, allora vuol dire che la mano invisibile del mercato di Adam Smith è diventata più lesta della mano di Arsenio Lupin: urge passare al contrattacco.
La campagna è stata ideata dall’associazione ConsumAttori di Firenze, che promuove il consumo critico e la cittadinanza attiva.
“Imbrocchiamola!” intende svelare, dal basso, i paradossi legati al consumo smodato di acque minerali, e così i ConsumAttori e Controradio -nell’ambito della trasmissione “Questione di stili”, un programma su stili di vita e consumo critico arrivato quest’anno alla terza edizione- hanno lanciato una campagna per una guida ai ristoranti di Firenze e dintorni che evidenzi “chi la dà” e “chi non la dà”, intendendo naturalmente i ristoranti, le pizzerie, le trattorie che sono disposti -o meno- a servire la brocca d’acqua del rubinetto.
È un esercizio di scrittura collettiva, un’inchiesta, una campagna di pressione, da compiersi con una buona dose di ironia.
Per portare avanti la campagna non c’è bisogno di alzare i toni: si chiede gentilmente la brocca, si registra la risposta, e, casomai, si accetta con un sorriso “quel che passa il convento”. Il ristoratore che non la dà, finirà tra ”i cattivi”. Con possibilità di redimersi al prossimo turno. Per agevolare la “redenzione” e per diffondere la campagna si suggerisce di lasciare sul tavolo il volantino che si può scaricare dal sito di Ae (www.altreconomia.it) che spiega, in perfetto stile nonviolento, le ragioni della richiesta e il senso della campagna.
Non sarà facile contrastare una manipolazione culturale che raggiunge livelli paradossali. Quando al ristorante si chiede la brocca, le risposte sono le più fantasiose: “Non c’è”. “Non è buona”. “Non è potabile”. “È vietata”. “Non abbiamo le brocche. Non ce la chiede nessuno”. “Non ve la consiglio”. “Non ci possiamo prendere la responsabilità”. E ancora: “Se è per il prezzo, ve la regalo”. E via così, in un crescendo di affermazioni surreali; in realtà non solo il regolamento igienico sanitario (L.283/62 e Reg. Comunitario 852/2004) ma anche la logica più elementare ci dicono che un esercizio pubblico che fosse davvero privo di acqua potabile meriterebbe la revoca della licenza: non si vorrà mica insinuare che c’è chi lava l’insalata con acqua minerale?
Insistere per esercitare il diritto alla brocca non è da intendersi come un capriccio, né come un modo per risparmiare denaro. Al contrario, vuole diventare un atto politico, una prima “goccia” che potrebbe produrre una serie di cerchi concentrici, sempre più ampi.
Per esempio: le amministrazioni comunali (dalle quali dipendono le licenze per bar e ristoranti) potrebbero prevedere l’obbligo per gli esercenti di mettere a disposizione acqua in brocca sui tavoli, come servizio per la comunità. Accade all’estero, può accadere anche in Italia.
In ogni caso, la campagna “Imbrocchiamola!” è una strada tra le molte sulla quale sarà utile avviarci per non trovaci, un giorno, a dover acquistare anche l’aria che respiriamo.