Excelente di nome e di fatto
Un nuovo progetto di commercio equo e solidale per mettere in rete -dal basso- cooperative di produzione e di trasformazione, gruppi di acquisto solidale, botteghe del mondo e singoli cittadini.
Un Commercio equo e partecipato, alla maniera zapatista, quello proposto dall’Associazione “Tatawelo”, nonno in tzeltal, una delle lingue indigene del Chiapas, in Messico, quella parlata nella regione Tzoz choj da cui provengono i chicchi del nuovo caffè Tatawelo excelente, una miscela di grani chiapanechi e guatemaltechi (www.tatawelo.it) importato in Italia da metà ottobre.
L’obiettivo è quello di “passare da un progetto in cui il commercio equo si riduce a pagare un prezzo ‘giusto’, a uno in cui si lavora per costruire una reale autonomia dei produttori”, spiega ad Altreconomia Norman Cili, responsabile per le relazioni con i produttori per l’Associazione “Tatawelo”, nata nell’ottobre scorso per accompagnare le comunità zapatiste del Chiapas, quei Municipi autonomi ribelli che, dopo la sollevazione armata dell’Ezln nel 1994, avanzano al Governo messicano la richiesta di poter vivere dignitosamente sulle proprie terre e rispettando la propria cultura, nel raggiungimento di una reale autonomia, e nella creazione di condizioni per uno sviluppo sostenibile.
Norman passa in Chiapas almeno sei mesi all’anno. Fu lui a seguire, nel 2003, il primo container di caffè Tatawelo importato e distribuito in Italia da Commercio Alternativo. Il nuovo progetto rappresenta, però, un passo avanti: una lavorazione di qualità e la garanzia di una filiera etica, dal produttore fino al consumatore. “L’importazione diretta da parte della Associazione “Tatawelo” -racconta ancora Norman- è stata decisa per garantire che ogni passaggio, dal produttore al consumatore, sia coerente con l’obbiettivo di fondo, e avvenga col massimo valore aggiunto etico e sociale”. Ed è per questo che il Tatawelo excelente nasce da una collaborazione con la cooperativa Pausa Café (www.pausacafe.org), che importa già caffè dal Guatemala e lo lavora in una torrefazione allestita nei locali della Casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino (Le Vallette), impiegando quattro lavoratori detenuti.
Dal 15 ottobre il caffè excelente di Tatawelo sarà distribuito nel circuito del commercio equo e solidale in Italia, grazie all’impegno di decine di associazioni, gruppi di acquisto solidale e botteghe del mondo. Presupposto del successo del progetto, infatti, è il coinvolgimento attivo del mondo delle Botteghe e dei gas di tutta Italia, a cui l’Associazione Tatawelo si rivolge con una campagna di pre-acquisto. Entro fine luglio si può prenotare il caffè con il 25% di sconto, mettendo così a disposizione delle comunità e dell’associazione i fondi necessari allo sviluppo del progetto (ad oggi, hanno aderito al progetto il “Chicco di Senape” di Pisa, il “Villaggio dei Popoli” di Firenze, “Equazione” di Firenze, “Ad Gentes” di Pavia, il “Circolo Amerindiano” di Perugia, “Eticamente” di Scandicci, il “Mondo in Sesto” di Sesto Fiorentino, il “Circolo Island” di Perugia, “Roba dell’Altro Mondo” di Camogli, il “Caffè de la Paix” di Bologna, la “Compagnia Alimenti Puliti” di Torre Pellice, oltre ai Gas “Todo mundo”, Gaspiagge, Le Locuste, Equobaleno e Gastella di Firenze e Gas Roba di Camogli).
Anche i singoli, però, possono sostenere l’attività dell’Associazione attraverso il Fondo caffè “Tatawelo”: un prestito infruttifero -che rende in modo automatico soci dell’Associazione- che serve a finanziare l’acquisto del container e le spese di trasformazione necessarie alla commercializzazione del caffè (l’importo minimo che ogni può sottoscrivere è di 100 euro; quello massimo di 2.000).
Altreconomia ha intervistato Norman Cili.
Quando è nato e in quale contesto il progetto Tatawelo?
Il primo container è arrivato in Italia nel 2004. All’inizio si trattava di un progetto di (puro) commercio equo e solidale, finalizzato a sostenere la lotta delle comunità zapatiste. Poi, preso atto del valore solo simbolico di un commercio “giusto” di cui può “beneficiare” solo una piccolissima minoranza di produttori, si è passati a sostenere lo sviluppo di una reale autonomia, dove ciò che conta non è la quantità di caffè che si può comprare ma come il mondo del commercio equo riesce a porsi come stimolo ed occasione di uno sviluppo economico equilibrato. Ogni singolo passo non deve esser fatto “per aiutare i poveri”, ma per liberarli dal bisogno di aiuti esterni per soddisfare i bisogni primari di una vita degna.
Quand’è nata la cooperativa di produttori? Quante famiglie coinvolge?
La cooperativa Yochin Tayel Kinal (Entrando nella terra) è nata nel 2002 ed era formata da circa 800 soci, che si sono ridotti a 500 quando è iniziato il processo di certificazione biologica. Dallo scorso anno i soci sono circa 1.400 l’anno scorso, con l’ingresso di 800 nuovi cafeticultores della Zona Norte de Chiapas e di altri 100 da Municipi autonomi zapatisti corrispondenti al caracol di Oventic (Zona Altos de Chiapas).
Quanto caffè viene esportato oggi dalla cooperativa?
Quest’anno (parlo del raccolto 2005-06), un totale di 3 container da 17-18 tonnellate. Uno per Cafè Libertad di Amburgo, uno per Commercio Alternativo ed uno per Libero Mondo e l’Associazione “Tatawelo”.
Quali sono state le difficoltà iniziali? E come le avete superate?
Volendo e dovendo essere un progetto di commercio equo, il primo ostacolo è stato trovare uno spazio tra i tanti caffè esistenti in commercio. Abbiamo così deciso di fare una miscela per coinvolgere/beneficiare anche altri produttori e impegnandoci a sviluppare nuovi canali di vendita dedicati, chiamati “miniGAS”. Ma fondamentale fu la partecipazione di alcune botteghe del mondo al prefinanziamento, ovvero la costituzione di un collettivo che, anche se informale e spesso delegando a pochi la gestione pratica delle cose da fare, assunsero la promozione del caffè Tatawelo come un proprio progetto.
Quali sono i principali risultati -sociali, non solo economici- raggiunti all’interno delle comunità grazie al lavoro della cooperativa (e alla creazione di un mercato in Italia per il caffè Tatawelo)?
Senz’altro la decisione dei soci della Zona Norte di costituire la loro cooperativa. Che non sarà una cooperativa aperta solo ai cafetaleros, ma di tutti, per promuovere un commercio tra comunità e municipi e permettere la riduzione della dipendenza dal caffè come unica fonte di entrate in denaro per le famiglie. Tutto questo grazie anche allo scambio di conoscenze con realtà di Messico e Guatemala.
Qual’è il tuo ruolo (e quello dell’Associazione Tatawelo) nel progetto?
Dipende se mi trovo in Italia o in Messico, oltre che dall’evoluzione del progetto. All’inizio ero un “procacciatore d’affari”, poi un “facilitatore” (per cercare di far capire le esigenze “dell’altro”: i produttori quando stavo in Italia, il consumatore finale quando ero in Chiapas). L’Associazione, oltre a essere il soggetto collettivo che rende possibile tutto questo, rappresenta uno spazio di sperimentazione per un Comes che non sia solo un coyote (un intermediario, ndr) buono.