Speciale Hong Kong – La lunga marcia dei movimenti sociali
“Abbiamo bisogno di bloccare questa ministeriale, perche’ siamo convinti che i negoziati in particolare su servizi ed agricoltura stiano andando nella direzione sbagliata, contro gli interessi delle persone, dei contadini, dei cittadini del nostro paese”. Choong-Ho Kang, 45 anni, e’ uno dei responsabili della segreteria internazionale dell’FKTU, la Federation of Korean Trade Unions, arrivata ad Hong Kong con diverse migliaia di rappresentanti di contadini, che insieme a Via Campesina ed ai movimenti filippini saranno gli spezzoni piu’ corposi dell’intera manifestazione del 13 dicembre.
La delegazione di Tradewatch è raggiungibile a Hong Kong attraverso cellulari locali: Monica Di Sisto [FAIR/Tradewatch] + 852 94332746 Alberto Zoratti [Tradewatch] + 852 63420613
Parlare di Corea significa parlare di un ex tigre asiatica, che costrui’ il suo successo su un’accurata protezione dei propri investimenti interni, delle proprie industrie e con una presenza statale per lo meno significativa. L’esatto contrario delle ricette che Monsieur Lamy ha voluto proporre durante il suo discorso d’inaugurazione, dove la parola libero mercato si e’ riconfermata la panacea globale per curare ogni male. Ma vuol dire anche parlare di centinaia di suicidi all’anno tra i contadini, messi sul lastrico da una volatilita’ dei prezzi ingestibile, da una presenza quanto meno ingombrante delle grandi multinazionali, dal rischio sempre piu’ evidente di trovarsi faccia a faccia sui mercati internazionali con colossi di dimensioni inimmaginabili.
Le diverse decine di migliaia di persone che oggi hanno partecipato alla manifestazione promossa dall HKPA, l’Hong Kong People Alliance, hanno sfilato per le vie di Hong Kong in maniera ordinata ma decisa, il mondo rappresentato era tutto fuorche’ noglobal, molto eterogeneo, ma unito dalla parola d’ordine per cui “No deal is better than a bad deal”, “Meglio nessun accordo piuttosto che un brutto accordo”. Un accordo difficile viste le posizioni degli attori in campo, ma non per questo destinato necessariamente al fallimento. Il G6 (cioe’ il gruppo informale interno alla Wto composto da UE, Usa, Giappone, Cina, India, Brasile) continua il confronto in una modalita’ oramai diventata plurilaterale, efficace ma fortemente escludente per gli altri paesi membri, alla faccia della presunta democraticita’ della Wto millantata oggi da un’ottimista Pascal Lamy.
Ed in particolare sia Brasile, che India, ma soprattutto Cina sono assolutamente inclini a raggiungere un accordo di basso pro filo e di relativo compromesso, rimandando tutto ad un prossimo Consiglio Generale che potrebbe tenersi in primavera a Ginevra. Ancora una volta l’impressione e’ di stare in una rappresentazione teatrale, con un copione scritto per meta’, nonostante il volto apparentemente deciso di Lamy campeggi sullo schermo del Centro Stampa durante una sessione quasi a rassicurare gli animi. Un copione che pero’ non aveva previsto un centinaio di coreani che a nuoto hanno provato a raggiungere il Convention Center, un gruppo d’impatto di contadini Coreani e Filippini che hanno giocato a tira e molla con la polizia cinese (coordinata da ufficiali inglesi) e il lavoro che le Ong ed i movimenti sociali stanno svolgendo sia fuori che dentro il vertice. Il copione e’ gia’ scritto, ma l’happy end non e’ stato ancora deciso, stara’ a noi, nei prossimi giorni, saper scrivere la parola “The End” a questa farsa della liberalizzazione mascherata da sviluppo e lotta alla poverta’.