Ambiente
L’unione della biodiversità
Agricoltori, associazioni e cittadini europei rivendicano il diritto a coltivare, conservare e scambiare sementi antiche e varietà locali
Nella capanna di paglia che presidia la collina sono custoditi i semi della famiglia Otero, che dal 1962 coltiva la terra a Olvera, nella Sierra spagnola di Cadice, tramandando i saperi contadini e le tecniche per recuperare i semi e mantenere viva la biodiversità sui campi. Semi e frutti di oltre 100 varietà, raccolte direttamente in campo o scambiate con altri contadini, sono conservati in barattoli con tappi colorati, sacchetti, retine, ceste e cestini di ogni forma, posti in equilibrio instabile sopra alle mensole di legno, poggiati a terra o, ancora, appesi sopra alle nostre teste e riconoscibili grazie a delle curiose etichette scritte a mano. Angel Otero -54 anni-, con i fratelli porta avanti l’azienda che era del nonno ed è testimone della trasformazione di questo angolo di mondo rurale: “Un tempo qui era tutto orto”, ricorda. Ora buona parte della proprietà è occupata dagli ulivi: “L’orticoltura sta scomparendo, non è più competitiva”. Con la concorrenza della grande distribuzione e senza un sistema organizzato per la vendita diretta, i contadini smerciano con difficoltà quel che producono. L’azienda della famiglia Otero resiste perché Angel e i fratelli hanno un altro lavoro, sono dipendenti comunali, e passano nell’orto il loro tempo libero: quel che producono -dal peperone choricero, usato per colorare le salsicce, al melone piel de sapo (pelle di rospo), dall’anguria amarilla (gialla) al cece negro- lo consumano in famiglia, portando avanti l’azienda del nonno “per continuare mantenere la biodiversità sul campo e conservare le sementi”. L’azienda fa parte della Red de semillas andaluza “Cultivando biodiversidad”, che dal 2003 lavora per preservare i saperi contadini della regione, facilitando lo scambio di semi tra gli agricoltori e sensibilizzando la popolazione sulla coltivazione e il consumo di varietà locali. Insieme alle piccole aziende biologiche andaluse, la Rete -che è una delle 24 realtà nazionali riunite dal 2006 nella Red de semillas “Resembrando e intercambiando”– ha recuperato 430 varietà locali che rischiavano di essere perdute. Alcune di queste sono coltivate dalla cooperativa La verde, che a Villamartín produce ortaggi biologici e sementi di varietà locali su 14 ettari di terra. La cooperativa -una delle prime esperienze di agricoltura biologica in Andalusia- è partita da 2 ettari di terra negli anni 80, con l’intenzione di produrre per l’autoconsumo e riprodurre le sementi. Oggi La verde dà lavoro a 6 persone e distribuisce i propri prodotti in tutta la regione tramite la cooperativa Pueblos blancos, di cui è socia insieme ad altre 21 realtà tra piccole aziende e cooperative bio. Zucche sin rastra -dalla buccia molto sottile-, pomodori mini neri, piccoli fagiolini verdi e melanzane lunghe bianche, secondo le stagioni, sono distribuiti in negozi specializzati, nei mercati contadini e tramite i gruppi d’acquisto. A gruppi di almeno 5 persone, la cooperativa propone anche le “eco-cajas”, ceste con frutta e verdura bio di stagione e coltivate il più possibile vicino al consumatore finale: ognuna costa 20 euro e contiene almeno dieci prodotti diversi, per un peso tra i 9 e i 12 chili. L’“eco-cassetta” è uno strumento che anche in città, a Siviglia, permette a chi ha deciso di diventare contadino in area urbana di vendere i propri prodotti senza dover fare i conti con le logiche della grande distribuzione. Hernan e sua moglie Maria coltivano biologicamente 6 ettari di terra alla periferia di Siviglia, in stretto contatto con i propri consumatori. “C’è un accordo che si rinnova ogni anno”, spiega Hernan, seduto all’ombra di un grande fico: il patto prevede che per un anno i consumatori si impegnino ad acquistare direttamente il suo prodotto. L’azienda si sta specializzando in varietà dimenticate e autoriprodotte: Hernan sa bene che queste sono “più tenere e difficili da conservare” rispetto a quelle prodotte da semi ibridi, ma ha deciso di orientare la produzione in questo senso per rispondere alla domanda dei consumatori. Ogni settimana confeziona 40 cassette da 12 euro l’una, con 7 diversi prodotti di stagione e bio, per sette chili di peso: lattuga oreja de mulo (orecchia di mulo), melone nero tardivo, cipolla azul d’inverno, pomodoro verde… a seconda della stagione.
Siviglia -dove a fine settembre si sono incontrate alcune realtà di Francia, Germania, Spagna e Italia, per mettere in rete buone pratiche di tutela della biodiversità (vedi box)- è una città che fa “scendere in campo” anche gli orticoltori per passione: è quanto avviene nel Parque de Miraflores, dove nel ‘89 è stata avviata una delle prime esperienze di orti urbani biologici in città. Il progetto è gestito dal Comité pro-parque educativo Miraflores, una cooperativa sociale di quartiere nata nel 1983, quando i cittadini si mobilitarono contro la crescente cementificazione per rivendicare un polmone verde per la città e promuovere un progetto ripartendo dal verde urbano. Grazie all’attività del collettivo e all’appoggio del Comune, oggi negli 86 ettari del Parco si organizzano visite guidate e itinerari tematici, corsi di orticoltura e laboratori con le scuole (dal 1991 sono 11 le scuole pubbliche di Siviglia che partecipano a progetti di orti scolastici a Miraflores). Chi è maggiorenne può fare richiesta per avere in gestione, gratuitamente e senza limiti di tempo, uno dei 162 piccoli orti -150 m2 l’uno- in cui è suddivisa la parte coltivabile del Parco. Ognuno può scegliere che varietà coltivare -secondo i principi dell’agricoltura biologica-, impegnandosi a prediligere quelle meno diffuse e locali, e la produzione non può essere venduta. Gli attrezzi per lavorare la terra sono in condivisione e gli ortolani urbani possono contare sull’aiuto di alcuni agricoltori professionisti che offrono le proprie competenze per le semine e la coltivazione e -soprattutto- per recuperare i semi e rimetterli a dimora nei vivai del Parco.
Proprio per sensibilizzare la popolazione sulla necessità di tutelare la biodiversità agricola e fare pressione sul governo perché avvii delle politiche concrete in questo senso, la Rete spagnola ha redatto il Manifiesto por el derecho de los agricultores y agricultoras a vender sus propias semillas de variedades tradicionales e lanciato la campagna nazionale Cultiva diversidad, siembra tus derechos. Se è vero infatti che il governo spagnolo, nella Ley de semillas del 2001, riconosce agli agricoltori alcuni diritti -supportandoli nella conservazione, l’uso e la vendita delle sementi, tutelando le conoscenze tradizionali e riconoscendo il loro diritto di partecipare al processo decisionale sulle questioni relative alle risorse genetiche-, ancora non ha avviato alcuna strategia per implementare tali diritti. Secondo la Rete spagnola è necessario un riconoscimento legislativo per tutelare le varietà tradizionali e il patrimonio culturale che esse racchiudono, verso un’agricoltura libera dal controllo delle grandi ditte sementiere.
Su questi temi c’è fermento in tutta Europa: ad agosto i rappresentanti del mondo rurale e della società civile europea si sono ritrovati a Krems (Austria), in occasione del Forum europeo per la sovranità alimentare. A conclusione del Forum, i partecipanti hanno sottoscritto un documento (disponibile su www.nyeleni.org) per rivendicare il diritto al cibo e alla sovranità alimentare dei popoli, la realizzazione di politiche pubbliche in difesa del mondo contadino, la possibilità di fare ricerca in agricoltura e di vedere riconosciuto ai piccoli produttori un prezzo equo, delegittimando le grandi imprese e ditte sementiere che controllano il mercato. Anche l’Unione europea si muove, e dalla fine del 2008 ha avviato un processo di revisione della legislazione sementiera. Come spiega l’ultimo notiziario della Rete semi rurali italiana, è la stessa Direzione generale della salute e della tutela del consumatore -che a Bruxelles è responsabile per il settore- ad affermare che “aumentare la produttività non è più il principale obiettivo da raggiungere: concetti come le buone pratiche agricole, la sostenibilità e la protezione dell’ambiente incluso la protezione della diversità genetica sono ora inclusi nella politica agricola”: la conservazione della biodiversità coltivata e della tutela ambientale diventano così nuovi obiettivi cui dovranno rispondere le future politiche sementiere dell’Ue.
Intanto, sul filone di Nyeleni, anche in Francia 18 realtà nazionali che si occupano di biodiversità e agricoltura bio hanno avviato una campagna in difesa dell’agricoltura contadina, che rivendica il diritto degli agricoltori di “conservare, seminare, scambiare e vendere i semi, proteggendoli dalla biopirateria e dalla contaminazione degli Ogm”, ma anche di essere riconosciuti come parte attiva quando vengono prese decisioni sulla biodiversità. In Francia, come in tutta Europa, gli agricoltori vendono con difficoltà le sementi delle varietà locali e, nel caso di varietà moderne e commerciali, non possono nemmeno utilizzare il seme riprodotto nelle loro aziende senza pagare i diritti alle ditte sementiere: il lavoro degli “artigiani dei semi”, che autoriproducono le sementi e mantengono la biodiversità in campo rischia così di sfociare nell’illegalità.
Anne-Marie è una di queste artigiane e aderisce alla Réseau semences paysannes, una rete francese nata nel 2003 che riunisce 50 realtà che si occupano a diverso titolo di biodiversità in agricoltura biologica. La sua Ferme de la Saubes è una piccola azienda biologica di 1 ettaro e mezzo a St. Laurent; da un paio d’anni Anne-Marie si dedica solo alla riproduzione delle sementi di varietà tradizionali per conto di Germinance, una ditta indipendente di sementi biologiche e biodinamiche con sede a Baugé, in Aquitania. Fondata nel 1982, Germinance si appoggia a una rete di 30 produttori di semi, dedicando un’attenzione particolare alle varietà più antiche, e commercializzando i semi in tutta la Francia. Anche Claudette è francese, e forma gli agricoltori di domani. Dagli anni 40, alla Ineople formation Mfr Midi-Pirenei, a Brens, si lavora con giovani e adulti in base ai principi della “pedagogia dell’alternanza”: la formazione si svolge in strutture associative riconosciute dal ministero dell’Agricoltura alternando l’apprendimento a scuola e con il mondo del lavoro. Nella scuola dei Pirenei centrali ci sono 320 studenti e 22 insegnanti; i percorsi formativi sono diversificati. Uno è dedicato agli agricoltori biologici professionisti: in questo caso, l’analisi teorica delle “sfide ambientali e sociali dell’agricoltura” e delle “dinamiche sociali e del territorio” è la base del “saper fare” in azienda, dalla gestione del vivaio alla cucina con i prodotti bio dell’orto.
Anche Udo e Astrit, che vengono dalla Germania, si occupano di sementi, ma di cereali, anziché ortive. Nella regione del lago Costanza portano avanti il recupero di antiche varietà di cereali -le più vecchie hanno 50 anni e fino ad ora ne hanno “salvate” cinquanta-, che coinvolge 17 agricoltori e 4 panifici. “La nostra associazione, Keyserlingk-Institut, si occupa della ricerca varietale, del recupero e della selezione dei semi in agricoltura biodinamica -racconta Udo-: a ogni produttore forniamo ogni anno 4 diverse varietà di frumento o segale, perché siano messe in campo e coltivate con il metodo biodinamico”. La produzione è di circa 300 tonnellate di cereali all’anno, dai quali si ricava la farina per il pane, che viene venduto in tutta la regione in un centinaio di negozi al prezzo di 4 euro al chilo. Jinan, Hans-Werner, Lore e Margarete, invece, sono produttori di sementi nell’orto-giardino gestito dalla Stiftung Kaiserstühler Garten a Eichstetten, vicino a Friburgo. Si tratta di una fondazione regionale nata nel 2001 per “dare una risposta alla privatizzazione globale dei semi e alla scomparsa della diversità genetica -spiega Jinan-, preservando la biodiversità regionale e sostenendo l’autoproduzione delle sementi di varietà antiche tipiche dell’alto Reno”. Su 4 ettari di terra sono conservate oltre 200 varietà, tra ortaggi, erbe aromatiche e cereali, e c’è un “museo della frutta”, con varietà locali e dimenticate. Il giardino è aperto al pubblico e ogni seconda domenica del mese si organizzano visite guidate gratuite. La fondazione gestisce anche l’“Accademia rurale”, luogo d’incontro, orientamento e formazione sul recupero dei semi, della selezione vegetale e della diversità agricola, aperto a studenti, professionisti e dilettanti. La biodiversità si tutela, e s’impara, in campo. —
A dicembre il congresso dell’Aiab
La salvezza viene da bio
Biodiversità, autoproduzione di semi, politiche comunitarie e nuovi modelli economici: l’agricoltura biologica raccoglie le sfide — Pietro Raitano
“IL 70% delle sementi al mondo è in mano a 5 multinazionali. Dobbiamo promuovere un nuovo protagonismo dei produttori e riconvertire il modello di produzione”.
Andrea Ferrante è presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica (www.aiab.it), che dal 1° al 4 dicembre terrà, a Milano, il suo congresso federale. Un appuntamento importante, a cadenza triennale, per fare il punto sul biologico nostrano -oggi equivale all’8% del suolo coltivato- e confrontarsi con le organizzazioni e le reti internazionali. “Un appuntamento che, oltre alla componente ‘interna’, che vede incontrarsi i 100 delegati delle 18 associazioni regionali, sarà per la maggior parte aperto al pubblico, che vogliamo partecipe ai nostri momenti di confronto e studio”. La biodiversità sarà uno degli argomenti “sul piatto”: “Esiste un problema reale e grave rispetto all’impoverimento che l’agricoltura industriale ha causato in termini di biodiversità. E i semi sono al centro di questa rivoluzione necessaria. Le politica agricola comunitaria -pur se con qualche passo avanti, come il riconoscimento dei piccoli produttori- sembra ignorare alcuni tra i problemi più gravi dell’agricoltura, volatilità dei prezzi innanzitutto, e guarda ancora a regole scritte 15 anni fa. Noi vogliamo ribadire il ruolo centrale dei contadini nella società, contro chi ancora oggi prospetta paradossalmente un’agricoltura senza agricoltori. E vogliamo continuare a ragionare su filiere alternative, che soprattutto in Italia si stanno dimostrando vincenti. Perché l’agricoltura è in grado di fronteggiare la crisi, creando occupazione”.
Ne è esempio l’agricoltura biologica italiana: 47mila operatori e 43mila aziende, guidate da giovani e donne in misura molto superiore alla media dell’agricoltura tradizionale (altre info su www.sinab.it). —
“Columella”, una rete per i semi rurali
Il progetto europeo “Columella”, promosso da una rete di realtà che lavorano per un’Europa biodiversa (rappresentate in Italia dalla Rete semi rurali e Aiab) ha l’obiettivo di mettere in rete le buone pratiche dei diversi attori coinvolti nella tutela della biodiversità agricola.
È nell’ambito di questo progetto che si sono incontrati a Siviglia, a fine settembre, gli agricoltori di Francia Germania, Spagna e Italia, che insieme hanno partecipato all’ottava Fiera della biodiversità andalusa (la terza iberica, grazie alla presenza della rete portoghese delle varietà tradizionali “Colher para semear”, gaia.org.pt),un momento di confronto molto importante anche a livello politico.
La campagna italiana
“Chi controlla i semi, controlla l’alimentazione” è il sottotitolo della campagna sulle varietà da conservazione, “Semi locali, semi legali”, lanciata lo scorso ottobre dalla Rete semi rurali in collaborazione con le ong Acra e Crocevia. L’obiettivo della campagna è ottenere l’approvazione di un decreto ministeriale che formalizzi e regolamenti il diritto degli agricoltori di produrre, scambiare e vendere i semi delle varietà da conservazione, locali e moderne, che non sono protette da proprietà intellettuale e quindi non rispondono strettamente ai requisiti del registro nazionale, coltivate in modo tradizionale e minacciate dall’erosione genetica Nell’appello si chiede la tutela dell’agricoltura di piccola scala, basata sulla stagionalità, sui mercati locali e sulla ricerca partecipata, che “è già in atto” ed è l’unica possibilità per difendere il diritto alla sicurezza e alla sovranità alimentare delle comunità, in contrapposizione al sistema agricolo industriale, nel quale ciò che conta sono “gli interessi del mondo del petrolio, della chimica, della finanza”.
“Un elemento fondamentale di questa alternativa è legato ai semi -si legge nell’appello-. Il diritto allo scambio e alla vendita delle varietà da conservazione garantisce agli agricoltori il miglioramento e la differenziazione delle loro coltivazioni e a tutti i cittadini la tutela del bene comune della biodiversità agricola che è alla base del diritto ad una alimentazione libera e sana”. Per aderire alla campagna si può indirizzare un’e-mail al ministero delle Politiche agricole (cosvir9@pec.politicheagricole.gov.it), rivendicando l’attuazione del decreto previsto dall’articolo 19-bis della legge 1096 del ‘71.