Ambiente / Opinioni
La lezione di Giovanni (Castellucci) su autostrade e aeroporti
La fusione tra Atlantia e Gemina, le società che controllano Autostrade per l’Italia e Aeroporti di Roma, è un caso esemplare di che cosa succede in Italia intorno alle infrastrutture affidate in concessione ai privati. Il gruppo veneto vuole utilizzare il cash flow autostradale per realizzare il raddoppio di Fiumicino. Il nuovo Parlamento è chiamato a riflettere sulle distorsioni del settore
In questi giorni si sta compiendo un’importante operazione industriale che riveste un rilevante interesse pubblico: l’incorporazione di Gemina in Atlantia.
Atlantia e Gemina sono entrambe controllate dalla famiglia Benetton: la prima è proprietaria di Autostrade per l’Italia, gestore privato di gran parte della rete autostradale italiana, la seconda è proprietaria di AdR, altra società privata che gestisce gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino.
Dopo la fusione questa sarà la catena di comando: Edizione -la “ cassaforte” dei Benetton- controlla il 66% di Sintonia, che a sua volta controlla il 46% di Atlantia-Gemina. Risultato: con un apporto del 30% del capitale, i Benetton sono a tutti gli effetti i padroni di Autostrade per l’Italia e di AdR (gli altri azionisti di minoranza sono sotto il 5%, e ben il 42% è la quota flottante in Borsa). Sin qui nulla di nuovo, è il sistema delle ‘scatole cinesi’ con il quale -non solo in Italia- si comandano le società per azioni senza eccessive esposizione finanziarie.
Ma il motivo ultimo dell’operazione lo rivela candidamente l’amministratore delegato di Atlantia –Giovanni Castellucci– con una lunga intervista pubblicata su Il Sole-24 Ore del 10 marzo. Vale la pena di riportare testualmente le sue parole, perché il ragionamento è cristallino: “Abbiamo tra 4 e 5 miliardi di investimenti per la realizzazione delle terze corsie […] che non sono state ancora autorizzate, anche perché l’utilità di alcune è stata obiettivamente rimessa in discussione dai livelli di traffico più bassi del previsto. E poi c’è la Gronda di Genova, opera da più di 3 miliardi su cui c’è un punto interrogativo, soprattutto di carattere politico”. E poi: “Atlantia avrà investimenti che cominceranno a flettere già dai prossimi anni […] ed il gruppo si troverà con un cash flow che potrà essere utilizzato a supporto degli importanti investimenti del Contratto di Programma AdR”.
Per capire appieno il significato di queste affermazioni bisogna fare un passo indietro e spiegare come funziona la regolazione del settore autostradale in Italia. Da sempre -da quando la Società Autostrade era dell’Iri, cioè pubblica- i pedaggi autostradali sono serviti non solo per sostenere i costi di manutenzione e gestione dell’infrastruttura, ma anche per finanziare gli investimenti per il potenziamento della rete. Così si sono costruite le autostrade italiane negli anni ’60 e ’70, e così sono state ulteriormente potenziate -sino a tempi recenti-, anche quando i gestori sono diventati privati (ma, non è male ricordarlo, l’infrastruttura è rimasta di proprietà dello Stato). Ora che cosa succede? Succede che gli ulteriori potenziamenti della rete autostradale sono sottoposti a pesanti critiche, o perché non c’è abbastanza traffico, o perché le popolazioni locali non le vogliono. E allora che si fa?
Facciamo un ulteriore passo indietro. Come qualcuno denunciò, prima e dopo la vendita della Società Autostrade ai Benetton, i pedaggi autostradali sono troppo alti. In questo modo si generano extra-profitti: Atlantia nel 2011 e nel 2012 ha portato a casa oltre il 20% di utili, al netto degli oneri finanziari e delle tasse; un risultato che in altri Paesi avrebbe fatto scalpore, visto che si tratta di un privato che sta gestendo un bene dello Stato. E, cosa forse ancora più importante, si generano extra-ricavi: sempre nel 2011 e nel 2012, Atlantia ha incassato dai pedaggi circa 3,3 miliardi di euro. Un sacco di soldi, ma come si fa a dire che sono extra-ricavi? Basta guardare i costi operativi, cioè quelli effettivamente associati alla gestione delle autostrade: sono “solo” 1,5 miliardi. La differenza tra ricavi da pedaggio e costi operativi è dunque enorme (circa 1,8 miliardi l’anno), e con questa si assicurano gli extra-profitti ai Benetton e si genera il cash flow di cui parla Castellucci.
Fino a tempi recenti -come già detto- questo enorme cash flow era usato per finanziare l’estensione e l’ammodernamento della rete autostradale, che però ora non si può fare più. Ecco allora che entra in gioco la fusione Atlantia-Gemina: il cash flow generato dai super-pedaggi autostradali potrà essere utilizzato per la costruzione dell’aeroporto di Fiumicino Nord (sui terreni di una società sempre dei Benetton, ma questa è un’altra storia…).
Due punti prima di concludere:
1. stiamo parlando di miliardi di euro, e lo facciamo in un periodo in cui siamo bombardati da un messaggio univoco, “non ci sono i soldi”, declinato all’occorrenza -per l’assistenza, per l’edilizia pubblica, per la sanità, per la scuola e l’università, per la ricerca e la cultura-. E, siccome non ci sono i soldi, si tagliano le pensioni o si aumentano le tasse sulla casa, con interventi di finanza pubblica che sono dello stesso ordine di grandezza: appunto, miliardi di euro;
2. i pedaggi sono molto più alti di quanto servirebbe a ricoprire i costi di gestione delle autostrade: potrebbero essere tranquillamente dimezzati, lasciando ai Benetton profitti soddisfacenti. (Giorgio Ragazzi, nel suo libro “I signori delle autostrade”, ha scritto che le autostrade dovrebbero essere gratuite…). Il cash flow generato è stato usato in passato per costruire nuove strade e ora lo si vuole usare per potenziare il principale aeroporto del Paese. Ma siamo sicuri che non ci sia un modo migliore di usare questo fiume di danaro? Non ci sono altri investimenti che dovrebbero avere la precedenza? Un piano di edilizia pubblica? La messa in sicurezza del territorio e delle scuole? Il potenziamento delle ferrovie regionali e metropolitane?
Chi scrive è perfettamente consapevole che i piani d’investimento di Atlantia, Gemina -e di tutti gli altri concessionari privati di infrastrutture pubbliche- sono sanciti da Contratti di programma sottoscritti dallo Stato italiano. Ma è anche risaputo che la pianificazione del settore autostradale (e aeroportuale) è da sempre in Italia “in ostaggio” dei concessionari: sono questi infatti a mettere in campo una pressione colossale, capace di condizionare le scelte della controparte pubblica, che a sua volta è spesso connivente per motivi elettoralistici (la nuova bretella o l’ammodernamento dell’aeroporto nel mio collegio…) o, peggio, mera corruzione.
Non è allora venuto il momento di aprire una discussione pubblica su tutta la vicenda, riscrivere i contratti di programma e farla finita con lo strapotere privato cresciuto intorno alle infrastrutture pubbliche? Non sarebbe il caso di imporre dei canoni di concessione ai gestori di autostrade ed aeroporti in maniera tale che extra-profitti e cash flow tornino allo Stato? E che sia lo Stato a decidere sul loro uso?
Che tutto ciò sia possibile è consapevole persino Castellucci, che infatti ricorda -nella citata intervista a Il Sole 24 Ore– che per il momento la fusione Atlantia-Gemina è stata solo approvata dai rispettivi consigli d’amministrazione, e che vi sono ancora “una serie di condizioni sospensive tra cui la registrazione della Corte [dei Conti, ndr] del Contratto di programma di AdR”.
Chissà che il nuovo Parlamento non riesca a bloccarla e a riscrivere -per una volta nell’interesse pubblico- le regole di questo importante (e ricco) settore?
* Università di Sassari