Ambiente
Spagna sotto sfratto
Chi perde la casa si suicida: dal 2008 è la prima causa di morte violenta. Da Valencia, città simbolo della bolla immobiliare, le storie delle vittime del mutuo
Valencia – “Se un tossicodipendente muore, di chi è la colpa? Sua o di chi gli ha venduto la droga?”, chiede Javier. È una domanda retorica, che lui utilizza per spiegare perché le banche non sono le uniche responsabili della crisi immobiliare spagnola. Javier è direttore di filiale di Bankia, principale banca del Paese, ora nazionalizzata. Nel dicembre del 2003 gli enti creditizi concedevano oltre 100mila mutui ipotecari, per un giro d’affari complessivo di 11 miliardi di euro. A distanza di nove anni, il flusso creditizio si è ridotto del 40% mentre le banche hanno avviato circa 400mila procedure di sfratto contro i debitori. Una cifra, raccolta dal Consiglio del potere giudiziario, che include il pignoramento di negozi, posti auto, seconde e prime proprietà. A partire da gennaio sarà possibile distinguere le procedure per natura dell’immobile, con l’obiettivo dichiarato dal governo di “conoscere la situazione reale e prendere le misure adeguate”. L’esigenza nasce dalla recente attenzione mediatica verso un fenomeno rimasto sommerso a lungo: il suicidio per perdita della propria abitazione. Dal 2008 il suicidio è la prima causa di morte violenta in Spagna, più probabile di un incidente d’auto.
“Cerchiamo in tutti i modi di evitare il pignoramento perché non conviene neanche a noi”, spiega Javier.
Un cliente è considerato moroso dopo tre mesi di mancato versamento del mutuo ipotecario. Da quel momento in poi, non c’è disciplina rigida. L’ente può decidere di cancellare il debito in cambio della restituzione della casa, oppure pretendere il suo saldo, maggiorato dagli interessi, anche in seguito all’esproprio. Capita così che in una delle riunioni della Plataforma de los Afectados por la Hipoteca (PAH, afectadosporlahipoteca.wordpress.com), creata per aiutare chi non è in grado di pagare il mutuo della propria casa, siedano una di fronte all’altra Paula e María Jesus.
Paula, estetista di 35 anni con 2 figli, ha smesso di pagare il mutuo sei anni fa. La sua banca, Santander, ha messo all’asta la sua casa e l’ha rivenduta a un prezzo superiore al debito in sospeso. “Non devi più niente -la rassicura José Luis, uno dei responsabili della Plataforma, che ha interpretato per lei le notifiche della banca-. Devi solo trovare un nuovo appartamento”.
María ha la sua stessa età e lo stesso numero di figli, ma la tristezza le ha appesantito gli occhi celesti e il corpo. A casa sua vivono con il sussidio di disoccupazione del marito, 400 euro, mentre il mutuo è di oltre 600. Non hanno mai ricevuto notifiche dalla banca, anche in questo caso il Santander. Il loro avvocato di ufficio li ha chiamati per la prima volta il 7 dicembre 2012, per avvertirli che entro il 21 avrebbero dovuto liberare la casa. María confida: “Molti miei amici hanno degli chalet, vuoti per 11 mesi all’anno. Mi offrirò come custode, in cambio dell’ospitalità”.
Dall’altra parte del tavolo, una coppia racconta di essersi dovuta dividere dopo lo sfratto: ognuno è tornato dai rispettivi genitori.
Paula non riesce a capire perché lei sia sta così fortunata. In realtà, storie come la sua hanno rappresentato la regola per quasi dieci anni.
In Spagna, il prezzo della casa è triplicato dal 2000 al 2008, passando da circa 850 a oltre 2mila euro per metro quadro. Le banche hanno di anno in anno ampliato il credito, prevedendo in caso di insolvenza che l’immobile sarebbe stato rivenduto a un prezzo molto più alto.
Oggi la maggior parte delle case rimangono invendute. “Perché dovremmo assumere una perdita che non è nostra?”, domanda il bancario Javier. Per lui, storie come quella di María rappresentano un’eccezione.
La sede del suo ufficio è nella provincia di Valencia, terza città spagnola per numero di abitanti e prima per incidenza di sfratti insieme alla vicina Alicante. Nelle due province che compongono la Comunidad Valenciana, tre persone ogni mille hanno ricevuto una notifica di pignoramento nell’ultimo anno. Le due province sono tra quelle che hanno maggiormente investito nel settore della costruzione in Spagna; dal 2000 al 2011 sono stati edificati, in tutta la comunità autonoma, 657.961 nuovi alloggi. Nel 2007 già si registravano nella provincia di Valencia più di 70mila abitazioni sfitte; nonostante questo, nello stesso anno, si sono innalzati oltre 30mila palazzi. Dal 2008, il declino: nel 2011 si sono costruite 3.621 unità abitative in tutta la Comunidad Valenciana, tanto quanto si costruiva in un solo mese del 2007.
Gli occupati nel settore sono passati, negli stessi anni, da oltre 300mila a 68mila. Tra coloro che hanno perso il lavoro c’è anche Fatima. Oggi ha perso i contatti con gli altri 44 impiegati di Duapool, impresa di costruzioni fallita nel 2010. “Gli operai mi odiano. Siccome ero la contabile, in qualche modo pensano che la colpa sia stata mia”. La sua impresa lavorava principalmente per appalti pubblici: campi sportivi, scuole, ospedali. Nel 2008 gli enti hanno iniziato a pagare con ritardo, e quando si è esaurito il portafoglio ordini l’impresa si è trovata con uno scoperto di fronte alla banca. Ad aprile del 2012 Fatima e il marito, disoccupato da due anni, non hanno potuto permettersi di pagare il mutuo della casa che, nel frattempo, avevano comprato. Nello stesso mese Fatima ha scoperto di essere incinta del secondo figlio. “L’impresa mi deve 9mila euro, ma non so se vedrò mai questi soldi” dice con una mano sul pancione. Dal 10 al 14 dicembre lei e il marito hanno partecipato al picchetto della PAH sotto la sede valenciana di Bankia.
A metà novembre, quando l’allarme suicidi era da poco scattato, il Parlamento spagnolo ha approvato un decreto governativo che paralizza per due anni gli sfratti delle famiglie che guadagnano meno di 19mila euro all’anno e rispondono ad almeno uno tra i seguenti requisito di carattere sociale: essere una famiglia con più di 3 figli, o madri o padri single con 2 figli, o una famiglia con minori di 3 anni, disoccupata, disabilità o una donna vittima di violenza. La moratoria permette però alle banche di esigere, trascorsi i due anni, il pagamento del debito più i tassi d’interesse maturati.
“Se davvero rappresentiamo un’eccezione, perché non fanno un’eccezione e cancellano il debito?”, chiede Nicolas. È arrivato a Valencia dall’Argentina nel 2004. Nel 2006, dopo aver lavorato due anni come agente immobiliare per Tecnocasa, ha deciso di mettersi in proprio, aprendo una piccola agenzia immobiliare che cura le transazioni tra privati. Lo stesso anno, lui e la moglie hanno comprato una casa perché il mutuo avrebbe inciso solo sul 15% del loro reddito familiare. Con la crisi del mercato immobiliare, il mutuo è diventato ogni mese più pesante, fino a risucchiare il 90% delle loro entrate. “Il cambio nello stile di vita è stato notevole”, afferma. Ha chiuso l’agenzia, sua moglie sta studiando da fisioterapista per inventarsi una professione. “Ma non ho mai pensato di tornare in Argentina”.
Oggi il 65% dei pignorati è di origine spagnola, ma i primi a ricevere notifica di sfratto dalle banche sono stati gli stranieri. Negli anni della crescita economica la Spagna ha accolto milioni di immigrati, provenienti soprattutto dalla Romania e dall’America latina. L’Istituto nazionale di statistica prevede che la popolazione spagnola si ridurrà di almeno 100mila abitanti nel 2013, per l’effetto combinato del basso tasso di natalità e del ritorno in patria dei migranti. Un rimpatrio incoraggiato da una legge del 2008 (del “ritorno volontario”) che copre le spese di viaggio del sollecitante, a patto che questo non rientri in Spagna prima di 6 anni. “Avrei tutte le condizioni favorevoli per tornare in Ecuador, ma come posso imporre una scelta del genere ai miei figli?”. Noemi fino a tre anni fa manteneva tre figli, un nipote e un marito. Guadagnava circa 2mila euro al mese, lavorando la mattina come cuoca e la sera come addetta alle pulizie.
Il marito stava a casa e, una sera, l’ha picchiata. “Nel giro di 24 ore avevo già chiesto il divorzio” spiega Noemi. Si è spostata nella periferia di Valencia, accendendo un mutuo che ora non può più permettersi perché il ristorante ha chiuso e l’impresa di pulizie ha ridotto il personale.
“Fino a poco tempo fa potevi vedere un muratore andare in giro con una macchina più bella del direttore della banca”, ricorda David.
È la stessa immagine utilizzata da Javier per alludere a quando la domanda di lavoro nelle costruzioni era talmente alta che lo stipendio mensile di un operaio poteva raggiungere i 5mila euro. “Sembrava stupido iscriversi all’università”, affermano entrambi. Javier l’ha fatto, mentre David ha iniziato a lavorare come elettricista. Oggi ha ventitré anni ed è disoccupato da due. Come lui, una generazione che risponde al nome di “nini” (ni trabajan ni estudian), ventenni che hanno abbandonato gli studi e ora non trovano lavoro: un’illusione che ha reso la Spagna il Paese dell’Unione europea con il tasso più alto di disoccupazione giovanile. David è nato in Colombia, ma è arrivato a Valencia quando aveva quattordici anni. Oggi è rimasto da solo a difendere la sua casa dallo sfratto, perché entrambi i genitori e il fratello minore si sono trasferiti a Londra dopo aver perso il lavoro. Il 31 ottobre del 2012 David ha trovato la serratura della porta di casa cambiata: la banca gli dava un mese di tempo per liberare l’appartamento. Per questa ragione, si è avvicinato alla PAH, chiedendo un supporto giuridico. L’appiglio arriva il 19 novembre, quando l’Avvocatura generale della Corte di giustizia dell’Ue definisce “abusive e lesive del diritto comunitario dei consumatori” le clausole applicate dalle banche spagnole nelle procedure di pignoramento. David fa una copia del documento, lo porta al giudice e la sentenza di sfratto viene sospesa “in attesa di nuovo processo”.
Oggi i giudici spagnoli stanno chiedendo al governo una riforma della legge sulle ipoteche, che abolisca i privilegi delle banche e garantisca un processo equo. Secondo Joaquin Bosch, portavoce dell’associazione Giudici per la democrazia (www.juecesdemocracia.es), “sarà la stessa giurisdizione europea a obbligare il governo”.
Non esiste una norma, ad esempio, che autorizzi i cittadini spagnoli a rispondere alle notifiche della banca, allegando le ragioni della loro insolvenza. In questo modo, è portata a giudizio la sola documentazione della banca. Se questa clausola fosse inserita, invece, i giudici potrebbero pesare ogni caso e decidere eventualmente di condonare, in tutto o in parte, il debito. Contrarietà rispetto all’attuale prassi procedurale è stata espressa anche dai fabbri e dal sindacato della polizia, entrambi chiamati a operare il giorno dello sfratto nel caso in cui il debitore non voglia abbandonare l’immobile.
“In Spagna non abbiamo una grande tradizione industriale, né un’agricoltura forte. Se vogliamo davvero uscire dalla crisi, dobbiamo riavviare il settore immobiliare” dichiara la proprietaria di UrbyAgri, impresa familiare che gestisce la maggior parte degli edifici residenziali del centro storico della città di Valencia. Dal 2007 la società ha smesso di vendere case, offrendole in affitto a prezzi che variano tra i 300 e i 500 euro al mese. Nella provincia di Valencia e, più in generale, in tutta la comunità autonoma, il prezzo della casa è sempre stato più basso della media nazionale. Nei momenti di massima valorizzazione, il prezzo per metro quadro non ha mai superato i 1.600 euro per metro quadro e, attualmente, è inferiore ai 1.300 euro. Per le oltre 60mila famiglie valenciane che non percepiscono alcun reddito, il prezzo è in ogni caso troppo elevato. Per questo, in uno dei tanti sobborghi della provincia dove giacciono blocchi residenziali inutilizzati, un imprenditore ha deciso di affittare gli appartamenti al prezzo di 50 euro mensili. Iniziative sociali delegate ai privati, in assenza di un intervento chiaro da parte del governo. —