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Ambiente

Venezia in alto mare

Le opere per difendere la città dall’acqua alta costeano oltre 4 miliardi. Intanto i cambiamenti climatici rischiano di rendere inutili i lavori, affidati senza gara Venezia sta morendo, sommersa dalle acque alte e dagli interessi delle lobby. Lo Stato, intanto,…

Tratto da Altreconomia 113 — Febbraio 2010

Le opere per difendere la città dall’acqua alta costeano oltre 4 miliardi. Intanto i cambiamenti climatici rischiano di rendere inutili i lavori, affidati senza gara

Venezia sta morendo, sommersa dalle acque alte e dagli interessi delle lobby. Lo Stato, intanto, spende 4 miliardi e 272 milioni di euro per la sua salvaguardia: la grande opera progettata e finanziata per questo scopo è il Modulo sperimentale elettromeccanico, noto come Mo.s.e., ma più i lavori proseguono più la laguna sembra affondare. Uno studio internazionale, finanziato dal Comune di Venezia la scorsa estate, spiega chiaramente che con le maree più alte è impossibile prevedere il comportamento delle barriere mobili. Quest’opera faraonica, progettata per salvare un patrimonio dell’umanità, inizia il suo iter negli anni Ottanta; i cantieri per l’installazione del Mo.s.e. vero e proprio, cioè le paratie subacquee, devono ancora partire, ma l’opera è già costata oltre 3 miliardi; all’opera stanno lavorando 3mila operai, ma sembra invisibile, tanto è lontano dalla vista di turisti e veneziani. Nel 2004, varie associazioni ambientaliste presentarono 8 ricorsi contro il Mo.s.e. al tribunale amministrativo, per la mancata esecuzione della valutazione di impatto ambientale e altre irregolarità, ma sono bastate 48 ore al Tar per rigettare le istanze, con buona soddisfazione dell’allora sindaco Paolo Costa, di centro-sinistra, e del governatore del Veneto Giancarlo Galan, di centro-destra. Il successivo ricorso alla Corte europea si è concluso lo scorso anno con l’ennesimo via libera all’opera, sbloccando un finanziamento da  un miliardo e mezzo. Non è servita l’opposizione della giunta Cacciari, che è arrivata a dichiarare i cantieri “illegittimi”. Il sindaco, ormai uscente, ha deciso di gettare le armi: se il Cipe è stato estremamente munifico con il Consorzio Venezia nuova, il pool di imprese che sta costruendo le dighe, i fondi per la ristrutturazione della città lagunare previsti dalla legge speciale per Venezia non solo sono pochi, 38 milioni di euro, ma tardano costantemente ad arrivare; così la “non belligeranza” al progetto, sostenuto da tutti i governi dagli anni 80 ad oggi, è il prezzo da pagare in cambio dei soldi per non far cadere a pezzi Venezia.
Oggi, è un altro illustre veneziano a riportare sulle prime pagine la questione. Stanco di vedere il suo locale allagato, Arrigo Cipriani, ha lanciato la proposta di una class action contro il Porto e il Magistrato alle acque, rei, secondo il proprietario del leggendario Harry’s Bar, di non aver tutelato la città dalle piene, ma anche responsabili dell’aumento del fenomeno: nel 2009 la marea è salita diciassette volte sopra i 110 centimetri, quattro volte sopra i 130, due sopra i 140, dati assolutamente fuori media. Una presa di posizione che, pur criticata per il ritardo, è piaciuta allo storico movimento “No Mose”, che non ha mai smesso di opporsi all’enorme cantiere in laguna. È del mese scorso l’assoluzione di una trentina di persone, imputate per l’occupazione di uno dei cantieri nel 2005. Gli attivisti lagunari  sono fermamente convinti che il danno fin qui provocato non sia del tutto irreparabile, almeno dal punto di vista della salvaguardia della città e del complesso ecosistema che la circonda. Lo stesso non può essere invece affermato per le casse dello Stato, private ad oggi di oltre 3 miliardi di euro che, alla fine dell’opera, saranno almeno il doppio di quanto preventivato nel 2002. Nel febbraio dello scorso anno, la Corte dei Conti, in un’ordinanza di 50 pagine corredata da centinaia di note a margine, ha chiaramente evidenziato i problemi che da oltre un ventennio accompagnano i lavori di costruzione delle dighe mobili. Innanzitutto la Corte si è concentrata sul monopolio: “L’affidamento a trattativa privata senza gara pubblica e l’assenza di un confronto tecnico ed economico tra diverse soluzioni progettuali -si legge- ha reso impossibile mettere a confronto soluzioni alternative, con la maggior parte degli studi e delle ricerche affidati al concessionario”. In sostanza, chi ha avuto in concessione i lavori non ha dovuto confrontarsi con nessuno: alcune imprese del Consorzio sono cambiate nel corso degli anni ma non il modus operandi con i fondi pubblici, lontano da qualsiasi tipo di concorrenza.
Del resto la legge lo consente: il Mo.s.e. è un capolavoro della “prima Repubblica”, un’idea dal veneziano Gianni De Michelis, che nella seconda legge speciale per Venezia, la numero 798/84, introdusse -in deroga a tutta la legislazione sui lavori pubblici- la possibilità di dare in concessione unica a un unico soggetto gli studi, le progettazioni e le opere per la salvaguardia della laguna, di competenza statale. Ai tempi De Michelis, esponente di spicco del Governo, poi condannato per tangenti prese in Veneto, era soprannominato il “doge”.
“Guarda caso, il Consorzio Venezia nuova si era appena costituito -ricorda Stefano Micheletti, uno degli esponenti più attivi dei No Mose- la parte del leone nel Consorzio. all’epoca la faceva Impresit, emanazione della Fiat, poi diventata, cambiando nome ed in parte assetto societario, Impregilo”. Già nel 1983 la Corte dei Conti aveva ritenuto “illegittima”, perché in contrasto con le norme europee, la convenzione firmata dallo Stato con il Consorzio Venezia nuova, e fu proprio la legge 798 dell’anno successivo ad aggirare l’ostacolo. Manco a dirlo, la concessione è a tutto vantaggio del Consorzio: “Gli oneri di concessione appaiono ingenti (il 12% contro il 10, fissato come tetto massimo dalla legge 183 del 1989). Risorse che avrebbero potuto essere utilizzate per rafforzare l’apparato amministrativo del concedente” scrive la Corte. Per “concedente” a Venezia si intende il Magistrato alle acque, la longa manu del ministero delle Infrastrutture in laguna, che aveva quindi il compito di controllare l’andamento del lavori, sia dal punto di vista tecnico sia finanziario; attività di fatto impedita, non solo per carenze di organico ma anche per l’assenza di un progetto esecutivo definitivo. Anche la Corte dei Conti scrive chiaro: “In 25 anni i costi dell’opera sono passati da da 1.540 a 4.271 milioni di euro. Si sono incrementati -recita il provvedimento- per una serie di cause come le continue rimodulazioni, l’introduzione di nuove opere, indeterminatezza progettuale. Un rischio di spesa ancora presente, aggravato dal sistema dei mutui”. In sostanza il Consorzio non ha mai dovuto definire in modo specifico l’insieme delle fasi progettuali e prosegue i lavori con stralci progressivi, facendo così aumentare, di fatto, le spese. “Anche i costi di manutenzione e gestione -si legge nell’ordinanza- potrebbero risultare superiori alle stime” (il documento integrale è sul nostro sito). Il presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati, respinge le accuse al mittente: “Bisogna capire qual è il costo cui si fa riferimento, se è quello contenuto nel progetto di massima è evidente che non può più essere quello attuale. L’aumento verificatosi dal 1992, cui risale la redazione del progetto di massima, a quando è stato approvato il progetto definitivo, è determinato dal decorso del tempo e dalla richiesta di introduzione di opere aggiuntive da parte delle diverse amministrazioni che hanno partecipato all’approfondito iter approvativo del progetto”. In effetti, nel corso degli anni,  la giustizia ha dato ragione a Mazzacurati per una decina di volte, poiché tutte le fasi erano state approvate dal Comitato di indirizzo, controllo e coordinamento deputato a vigilare sull’opera, presieduto dal presidente del Consiglio e composto dalle istituzioni competenti a livello nazionale e locale. “Che il ‘Comitatone’ (così viene chiamato comunemente, ndr) abbia approvato il progetto non può stupire -spiega Cristiano Gasparetto, rappresentante comunale in Commissione di salvaguardia della Laguna- poiché è composto dalle stesse forze politiche che il Mo.s.e. l’hanno voluto, sostenuto e fatto finanziare; sui vari ricorsi, purtroppo, appare ormai chiaro che in Italia le sentenze sulle grandi opere non si oppongono mai ai poteri che le hanno sponsorizzate”. Fin qui le discussioni a livello economico ma, come spiega Gianfranco Bettin, ex pro-sindaco di Venezia ed esponente dei Verdi, “se tutto ciò servisse a salvare la città, ben venga”.
Il presidente del Consorzio difende a oltranza il progetto: “Il Mo.s.e. proteggerà Venezia e l’intera laguna da tutti gli eventi di marea, sia quelli medi che quelli eccezionali -spiega-. È in grado di fronteggiare una marea di 3 metri e, nei prossimi cento anni, un innalzamento del livello del mare almeno fino a 60 centimetri”. Uno studio recente arriva a conclusioni inquietanti: la Principia R.D., società internazionale specializzata in studi di ingegneria marittima, ha condotto delle simulazioni ed evidenziato che le paratoie, in particolari condizioni di mare, diano una “risposta caotica con elevata amplificazione dinamica”; in pratica, non c’è alcun grado di certezza sul reale funzionamento dell’opera.
Un lieto fine, se non per le tasche dei contribuenti, potrebbe ancora esserci: “Se è vero che il Mose è al 63% della sua realizzazione -riprende Gasparetto-, lo è altrettanto che mancano i lavori più importanti, cioè l’installazione delle cerniere subacquee su cui si dovranno muovere le barriere. Se i cantieri si fermassero adesso, i bacini costruiti potrebbero essere riutilizzati come approdi e innalzando i fondali delle tre bocche di porto, uno dei progetti alternativi non presi in considerazione, le acque alte si ridurrebbero da subito di quasi 30 centimetri”.

Tutti gli attori del "M.o.s.e."
Nella vicenda del Mo.s.e. s’intrecciano interessi economici e politici dell’Italia della prima e seconda Repubblica. Ecco un elenco degli “attori protagonisti”:
– Gianni De Michelis: veneziano, socialista, è ministro del Lavoro nel governo Craxi quando -nel 1984- viene emanata la seconda legge speciale per Venezia, la numero 798/84;
– Consorzio Venezia nuova: ai tempi della costituzione del Consorzio, l’azionista di maggioranza era Impregilo (all’epoca il nome era Impresit e l’impresa era diretta emanazione della Fiat). Oggi dentro Venezia nuova operano, tra le altre, Società italiana condotte d’acqua, Astaldi, Mantovani (sotto), Fincosit, Consorzio Veneto Cooperativo, Saipem, Consorzio Cooperative Costruzioni;
– Mantovani spa: detiene complessivamente il 32% delle quote del pool di imprese ed è legata a molte grandi opere venete ( bonifica delle aree inquinate di Porto Marghera, ospedale di Mestre, Nuova Romea, passante autostradale);
– Silvio Berlusconi: nel 2003 posa la prima pietra del Mo.s.e., definendola “l’opera più importante oggi nel mondo per la tutela ambientale”;
– Romano Prodi: nel 2004 esprime il proprio apprezzamento per il progetto al soddisfatto primo cittadino di Venezia, Paolo Costa, attualmente commissario governativo per il Dal Molin.
– Antonio Di Pietro: nel 2007, in qualità di ministro delle Infrastrutture, approva la relazione sul Mo.s.e.;
– Giancarlo Galan: governatore del Veneto da 15 anni, da sempre grande sponsor dell’opera.

Cronologia di una storia lunga 30 anni
La vicenda del Mo.s.e. inizia con l’alluvione di Venezia del 1966.
1973: prima legge speciale che dichiara il problema di  Venezia “di preminente interesse nazionale”;
1980: i 6 progetti presentati al Cnr vengono respinti ma utilizzati per il “Progettone”;
1984: seconda Legge speciale per Venezia, che istituiva un Comitato di indirizzo, controllo e coordinamento (il “Comitatone”, presieduto dal Presidente del Consiglio e composto dalle istituzioni competenti a livello nazionale e locale) e conferiva al ministero dei Lavori pubblici l’autorizzazione a procedere ad una concessione da accordarsi in forma unitaria e trattativa privata.
La progettazione e l’esecuzione degli interventi per la salvaguardia fisica della città furono quindi affidate dal Magistrato alle acque al Consorzio Venezia nuova, un pool di una cinquantina di imprese che si era costituito nel 1982;
1989: il Consorzio Venezia nuova presenta il Progetto “Rea” (Riequilibrio e ambiente), che comprende anche il “Progetto preliminare di massima sulle opere alle bocche di porto”, che segna l’atto di nascita del Mo.s.e.;
1994: il nuovo progetto di massima delle opere mobili passa al giudizio del Consiglio superiore dei lavori pubblici. L’organismo, esaminati anche altri progetti di difesa dalle acque alte, approva il sistema Mo.s.e.;
1997: il Magistrato alle acque e il Consorzio Venezia nuova presentano lo studio di impatto ambientale (Sia), valutato positivamente nel 1998 da un collegio di cinque saggi internazionali nominato dal presidente del Consiglio Romano Prodi; nello stesso anno, il progetto di barriere mobili subì un parere negativo da parte della commissione di valutazione ambientale del ministero dell’Ambiente. Il Mo.s.e., su richiesta del “Comitatone”, venne quindi sottoposto ad ulteriori approfondimenti;
2001: il Consiglio dei ministri, presieduto dal presidente del Consiglio Giuliano Amato, conclusa la procedura di valutazione di impatto ambientale, dà il via alla progettazione esecutiva dell’opera definendo alcune prescrizioni progettuali;
2002: il Cipe finanzia la prima tranche dell’opera per il triennio 2002-2004, pari a 453 milioni di euro;
2003: la posa della prima pietra da parte del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
2006: il Consiglio dei ministri approva a maggioranza la relazione del ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, sul sistema Mo.s.e.;
2008: il CIPE ha approvato il finanziamento della sesta tranche da 800 milioni di euro, che comporterà l’avvio della costruzione degli alloggiamenti delle paratoie;
2009: la Banca europea degli investimenti (Bei) stanzia 1,5 miliardi di euro per il M.o.s.e.;
2014: per quell’anno è prevista la fine dei lavori.

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